Cattedrale di Crema, 25 marzo 2018
Dobbiamo essere onesti: se ci fossimo trovati là, in quel momento drammatico, sotto la croce, chi avremmo scelto, tra coloro che ai piedi della croce deridono Gesù, e dicono: «Ha salvato altri, e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo» (Mc 15, 32), e il centurione romano che, «vistolo spirare in quel modo, disse: ‘Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!’» (v. 39)?
Io – parlando per me personalmente – non sono tanto sicuro che sarei stato dalla parte del centurione. Riconoscere adesso, nella luce della Pasqua e dopo duemila anni di tradizione cristiana, che proprio il Crocifisso è il Figlio di Dio è (relativamente) facile.
Ma non posso dimenticare (e l’evangelista Marco è addirittura ‘crudele’ nel ricordarmelo) che allora, in quel venerdì santo, non furono i discepoli di Gesù a riconoscerlo come Figlio di Dio: tutti erano fuggiti e l’avevano abbandonato (cf. 14, 50), uno l’aveva tradito (14, 10s.), un altro l’aveva rinnegato tre volte (cf. 14, 66-72).
E non furono nemmeno i capi religiosi del popolo di Israele, che anzi avevano fatto arrestare Gesù e ne avevano chiesto la condanna a morte.
Un vescovo è appunto un’autorità religiosa; e un vescovo che si dice cristiano dovrebbe essere discepolo di Gesù. E la figura che fanno i discepoli di Gesù e le autorità religiose, nel corso della passione, è appunto quella che abbiamo ascoltato.
Davvero non ho elementi per pensare che sarei stato migliore di quei discepoli e di quelle autorità.
A che titolo avrei potuto identificarmi con un militare pagano, appartenente all’odiata potenza occupante (e che, tra l’altro, aveva anche collaborato alla effettiva crocifissione di Gesù), e riconoscere che sì, proprio lui aveva visto giusto, proprio lui aveva capito?
«Vistolo spirare in quel modo, [il centurione] disse: ‘Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!’». Ci vuole una vera conversione, profonda e radicale, per credere questo, per non stare, invece, dalla parte di chi dice: «Salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!» (cf. Mt 27, 40).
Ci vuole una vera conversione, anche perché il problema non consiste soltanto in una convinzione che pure appartiene al centro della fede – «Gesù è il Figlio di Dio»: il problema diventa poi anche quello del modo in cui viviamo il nostro rapporto con Dio, perché se Gesù è il suo Figlio, e si rivela così nella croce, allora lì sta la chiave di volta del nostro incontro con Dio e del nostro rapporto con lui, del nostro essere «figli di Dio».
E il problema è ancora di dove vogliamo stare, come cristiani e come Chiesa: perché anche noi siamo sempre confrontati con la tentazione di scendere dalla croce, di percorrere le vie più comode e più facili, più in linea con le attese del mondo e con le nostre inclinazioni naturali.
Attraverso le celebrazioni pasquali ci viene offerta, ancora una volta, la grazia di una conversione di tutto noi stessi al Dio di Gesù Cristo, il crocifisso. Prendiamoci il tempo, esteriore e interiore, di rimanere con il centurione sotto la croce, per poter proclamare, contemplando la morte di Gesù: «Veramente quest’uomo è il Figlio di Dio!».