Nell’anniversario della nascita del b. Afredo Cremonesi

Nell’anniversario della nascita del beato Alfredo Cremonesi (16 maggio 1902), il vescovo Daniele ha presieduto, il 16 maggio 2023, la santa Messa celebrata nella chiesa di Ripalta Guerina, paese natale del beato. Riportiamo di seguito il saluto iniziale e l’omelia del vescovo.

 

Saluto iniziale

All’inizio di questa celebrazione, nel giorno della nascita del beato Alfredo Cremonesi, e ricordando anche il suo battesimo, in questa chiesa, vorrei ancora una volta ringraziare Dio per l’udienza avuta il 15 aprile scorso con papa Francesco, e per il ricordo che ha avuto del beato Alfredo. Richiamo alcune parole che il papa ci ha rivolto:

«Negli scritti lasciati da Padre Alfredo c’è una frase molto bella sullo spirito missionario. Dice così: “Noi missionari non siamo davvero nulla. Il nostro è il più misterioso e meraviglioso lavoro che sia dato all’uomo non di compiere, ma di vedere: scorgere delle anime che si convertono è un miracolo più grande di ogni miracolo”. In queste parole sono riassunte alcune caratteristiche importanti del missionario, su cui vi invito a riflettere e che vi invito a fare vostre: l’umile consapevolezza di essere un piccolo strumento nelle grandi mani di Dio; la gioia di svolgere un “meraviglioso lavoro” facendo incontrare fratelli e sorelle con Gesù; lo stupore davanti a quello che il Signore stesso opera in chi Lo incontra ed accoglie. Umiltà, gioia e stupore: tre bellissimi tratti del nostro apostolato, in ogni condizione e stato di vita».

In questo spirito di umiltà, gioia e stupore, celebriamo questa Eucaristica, e affidiamo noi stessi alla misericordia di Dio.

 

Omelia

Noi insistiamo molto, e giustamente, sulle diverse forme della presenza del nostro Signore Gesù, morto e risorto, nella sua Chiesa. Lui stesso, del resto – lo sentiremo nel vangelo di domenica, festa dell’Ascensione – ha assicurato ai suoi discepoli: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
Riflettiamo un po’ meno, invece, sulla sua “assenza”: forse perché noi non abbiamo vissuto l’esperienza dei suoi discepoli di duemila anni fa, di quelli che avevano condiviso con lui la vita quotidiana, per mesi, forse per qualche anno… E che a un certo punto si trovavano di fronte alla consapevolezza che Gesù non sarebbe stato più presente, visibilmente, in mezzo a loro.
A questa esperienza rimandano, appunto, le prime parole del vangelo di oggi: dove Gesù constata che l’annuncio della sua “partenza” (che, non dimentichiamolo, avverrà nella forma traumatica della Pasqua, passando quindi attraverso la passione e la croce) ha riempito di tristezza il cuore dei discepoli (cf. Gv 16,6). E possiamo capirli: anche se erano un po’ testoni, e si riveleranno paurosi al punto di fuggire, durante la passione, e di rinnegarlo apertamente, come farà Pietro, possiamo però immaginare che si erano attaccati a Gesù; che, insomma, gli volessero bene, anche se in un modo un po’ maldestro…
Eppure, Gesù rincara la dose, e arriva a dire: «È bene per voi che io me ne vada…» (v. 7): ed è bene, perché il vuoto lasciato dalla partenza di Gesù sarà “riempito”, per così dire, dal dono dello Spirito Santo, e dalla sua azione molteplice.

Vorrei fermare un momento l’attenzione sul fatto che appunto il “vuoto” lasciato da Gesù, con la sua partenza verso il Padre, cioè verso la pienezza della vita di Dio, è un vuoto che lascia spazio allo Spirito Santo e alla sua azione.
Non è un vuoto che i discepoli dovranno preoccuparsi di riempire loro, con le loro risorse – altrimenti, chissà cosa sarebbe successo… Vi ricordate, ad esempio, che cosa ci dice il vangelo di Giovanni a proposito di Maria Maddalena: di come, il mattino di Pasqua, scoprendo che la tomba di Gesù è vuota (ecco: c’è un vuoto da riempire!), continua a cercare il corpo, il cadavere, di Gesù! Finché il Risorto la incontrerà, e la chiamerà per nome, e le permetterà di capire che non è quello il modo giusto per cercare di riempire il “vuoto” che le si presenta davanti (cf. Gv 20,1-18).
Quando abbiamo davanti dei “vuoti” – cioè delle situazioni difficili, che ci sembrano dolorose, insensate, faticose … – noi, facilmente, cerchiamo di riempirli a modo nostro: ma, quasi sempre, sono tentativi dettati soprattutto dalle nostre paure, dalle nostre incomprensioni, dai nostri egoismi… E così, sono tentativi che rischiano di produrre disastri.

Ci sono due esempi che mi sembrano particolarmente significativi, nella vita del beato Alfredo, di queste situazioni: uno in negativo, l’altro in positivo. In negativo: quando il giovane seminarista Alfredo chiede ufficialmente di diventare missionario, di entrare in quel che sarà il Pontificio Istituto Missioni Estere, questa sua scelta non viene capita, non viene accettata, specialmente nel Seminario di Crema.
Uscendo dal Seminario per diventare missionario, egli lasciava un vuoto, certo: un prete in meno, per la diocesi (che, peraltro, aveva molti più preti e seminaristi di adesso…). I superiori del tempo reagirono in modo poco evangelico – lo diciamo con tutta la carità possibile, perché al loro posto, forse, non avremmo fatto tanto meglio – a questo “vuoto”, creato dalla vocazione del b. Alfredo! Fu una reazione di incomprensione, di derisione, di presa in giro anche pubblica del giovane Alfredo: una reazione di cui fece le spese il fratello Ernesto, che era anche lui in seminario; una reazione che in un primo tempo rese difficile anche per i famigliari del b. Alfredo accettare la scelta del loro figlio…
È un esempio di come si può reagire a una situazione di “vuoto” in modo troppo umano, troppo legato ai criteri di questo mondo, anche se è una reazione che avviene all’interno della Chiesa: perché, se non ci affidiamo allo Spirito, non siamo mai veramente al riparo da queste tentazioni.
In positivo, raccogliamo invece l’esempio del beato Alfredo quando, verso la fine della sua vita, chiede insistentemente di tornare tra i suoi cristiani, a Donoku, nonostante il pericolo cui andava incontro, e di cui è ben consapevole. È un passaggio di una lettera al suo vescovo, dell’11 gennaio 1951, che abbiamo sentito citare diverse volte, e di cui riprendo solo qualche riga:

Io sono pronto ad andar giù che adesso… E andrò a stare laggiù per sempre, e stavolta, almeno se l’anima mia sarà risoluta com’è adesso, non scapperò più, capiti quel che capiti. Al massimo mi potranno ammazzare, il che non sarà di gran danno, giacché adesso, al posto di un missionario ammazzato, lasceranno venire un missionario nuovo, pieno di salute, di brio e di entusiasmo che farà certamente mille volte meglio di me. L’agonia di questi mesi di esilio, al pensiero di tante anime abbandonate senza pastore, in mezzo a così gravi pericoli e dolori, è stata certamente più dolorosa di qualunque morte.

Qui c’è un modo tutto diverso di guardare al “vuoto”: al vuoto che si potrebbe creare con la sua morte, e la sua morte violenta, che padre Alfredo sa di non poter escludere, e che subirà poi, il 7 febbraio di settant’anni fa. Sembra quasi dire: «Mi ammazzeranno? È un bene che io me ne vada, perché se me ne andrò, verrà qualcuno migliore di me…». È comunque un modo di guardare al “vuoto”, che fa conto sulla fedeltà di Dio e sull’azione sempre rinnovatrice dello Spirito.

Prego Dio perché, attraverso l’intercessione del beato Alfredo, aiuti anche noi, come singoli cristiani, come comunità, come diocesi, a non aver paura dei “vuoti” che ci sembra di avere davanti. Quei “vuoti”, sono gli spazi nei quali può operare lo Spirito, dono del Risorto. Ci aiuti il Signore ad avere la stessa fede coraggiosa del beato Alfredo, la stessa fede che porta Paolo e Sila, nel cuore della notte, perseguitati, prigionieri, a cantare e lodare Dio (cf. At 16,25: I lettura); e a scoprire che proprio così il Signore Gesù continua a essere presente in mezzo a noi.