Sabato 12 marzo 2022 il vescovo Daniele ha presieduto l’Eucaristia domenicale anticipata della seconda domenica di Quaresima nella parrocchia della SS.ma Trinità in Crema, dove c’è una cappella dedicata a san Francesco Saverio, nel 400° anniversario della canonizzazione santo, avvenuta il 12 marzo 1622. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.
Entriamo nella seconda domenica di Quaresima, illuminata dalla luce della Trasfigurazione, in questo giorno, nel quale ricorre il quattrocentesimo anniversario della canonizzazione di cinque santi: il fondatore dei Gesuiti, sant’Ignazio di Loyola, e uno dei suoi primi compagni, san Francesco Saverio, che la Chiesa ha poi proclamato patrono delle Missioni; santa Teresa d’Avila, grande contemplativa e riformatrice dell’Ordine carmelitano; san Filippo Neri, santo educatore nella Roma del XVI secolo, fondatore della Congregazione dell’Oratorio da cui veniva anche il nostro vescovo Carlo Manziana.
Questi quattro sono santi «grandi», molto noti, veri pilastri della storia di santità e di rinnovamento della Chiesa. Mi piace ricordare che con loro, però, quattrocento anni fa veniva canonizzato un santo molto meno conosciuto, che è la bella figura di un santo cristiano «normale», un contadino, sposato, che si chiamava Isidoro; visse in Spagna a cavallo tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo e, appunto, camminò nella santità di Dio nella sua vita di contadino, dedito al lavoro, alla preghiera, all’attenzione privilegiata per i poveri, insieme con la sposa, Maria Toribia, a sua volta proclamata beata alla fine del Seicento.
È bello pensare che il Vangelo susciti santi così diversi, allegri e contemplativi come Filippo Neri, mistici come Teresa d’Avila, soldati dello Spirito come Ignazio di Loyola, missionari intrepidi come Francesco Saverio, sposi contadini come Isidoro e Maria, resi capaci di far germogliare la vita dello Spirito nei solchi della laboriosità quotidiana.
In qualche modo, ciò che la Trasfigurazione del Signore indica, si compie sempre, anche se in modi diversi, nella vicenda di ogni santo e santa, conosciuti o sconosciuti. Ma lo vogliamo vedere un momento soprattutto attraverso la figura di san Francesco Saverio, il compagno di Ignazio di Loyola che spinto da grande passione per il vangelo navigò fino alle Indie, e poi a Ceylon, alle Isole Molucche, al Giappone, arrivando fino in vista della Cina, nell’isola di Shangchuan, di fronte alla baia di Canton: qui, invano, cerca di approdare sul continente, ma muore il 2 dicembre 1552, a soli 46 anni di età.
La sua è la storia di una grandissima attività missionaria, ma è anche quella di un sogno che agli occhi del mondo sembra incompiuto: e possiamo aggiungere che ciò riguarda sia lui personalmente, san Francesco Saverio, che non riuscì a coronare il sogno di arrivare a portare il Vangelo in Cina; sia la storia complessiva della Chiesa in questo paese immenso, dove pure il cristianesimo è presente, ma in misura certo assai minoritaria, e non senza persecuzioni. E lo stesso si può dire di molti paesi dell’Asia, tanto che si potrebbe concludere che l’evangelizzazione in Asia è stata fallimentare!
Ma, appunto, l’evento della Trasfigurazione del Signore sta lì a dirci che lo sguardo vero, la luce vera, sulla storia nostra personale, e anche sulla storia del mondo, è quella che viene da Dio, e non quella che i nostri poveri occhi possono vedere.
In definitiva, fallimentare poteva sembrare – e sembrò, nei fatti – la stessa vicenda di Gesù: per come i discepoli la stavano vivendo in quel momento, quando Gesù li porta con Sé sul monte della trasfigurazione: ed è un momento della sua vicenda nella quale egli sembra già respinto dalle folle e incamminato su un itinerario di rifiuto e condanna; e a maggior ragione quando poi effettivamente si arriverà alla passione e alla croce.
C’è una parola, nel racconto di Luca, che ci aiuta a capire meglio il senso della cosa, ed è la parola «esodo» (cf. Lc 9,31): parola che vuol dire appunto ciò che Gesù sta vivendo. Egli sta per incamminarsi con decisione verso Gerusalemme (cf. 9,51), ma che cosa significa, questo viaggio? È il buttarsi sconsiderato nelle mani del nemico, è una sfida che nasce dall’orgoglio, è una fuga dalla Galilea, per paura di Erode, che aveva fatto decapitare Giovanni il Battista?
Il racconto dà una risposta chiara: dice che il cammino di Gesù è un esodo, che proprio a Gerusalemme troverà la sua meta. Come dire: se vuoi capire il destino di Gesù, leggilo nella luce della fede; leggilo attraverso le Scritture (Mosè ed Elia rappresentano «la Legge e i Profeti», cioè appunto le Sacre Scritture), e capirai che quello che Dio ha fatto un tempo per Israele – trasformare, cioè, la fuga di un gruppo di profughi perseguitati in un «esodo» che li avrebbe condotti alla Terra donata da Dio – adesso lo fa con Gesù: e se ti sembra che Gesù vada verso la sconfitta, attraverso la fede, la preghiera, la meditazione delle Scritture vedrai trasfigurato il suo destino, imparerai a leggerlo con lo sguardo di Dio, che è quello vero.
Noi credenti siamo sempre esposti alla tentazione di pensare che ciò che chiamiamo «lo sguardo di Dio» – cioè la nostra vita, la nostra storia, il nostro passato, presente e futuro (e ovviamente la cosa vale per i singoli, per una famiglia, per una comunità, per un popolo…), interpretati nella fede – sia un’illusione, e che abbiano invece ragione quelli che vorrebbero ridurre tutto a uno sguardo puramente umano, a una prospettiva puramente terrena, dove il fallimento è fallimento e la speranza viene calpestata.
L’itinerario quaresimale ci invita a salire sul monte della trasfigurazione; a lasciarci dire da Dio, cioè – attraverso il suo Figlio Gesù (cf. 9,35) –, il senso vero di tutto ciò che viviamo, specialmente degli aspetti più faticosi e penosi. Si tratta, in definitiva, di tornare a imparare che il senso vero di tutto è la Pasqua del Signore, anticipata nella trasfigurazione; il senso vero di tutto è il Dio che nell’oscurità umana fa rinascere una speranza che non viene meno.