Natale del Signore 2022 – Messa della notte

Il Vescovo Daniele ha presieduto nella Cattedrale di Crema la Veglia di preghiera e la santa Messa della Notte di Natale, alle 22 del 24 dicembre 2022. Riportiamo di seguito la sua omelia.

La nascita di un bambino, per quanto possa rallegrare i genitori, rischia di rimanere un evento molto circoscritto: non in sé, naturalmente, ma perché potrebbe rimanere nell’ombra, sconosciuto ai più. Se poi quella nascita avviene di notte, in un rifugio di fortuna, mentre i genitori sono in viaggio, lontano dalle proprie famiglie e dai propri paesi, il rischio è ancora più grande.
Per evitare questo rischio, Dio stesso si fa carico di divulgare la notizia: e lo fa attraverso i suoi messaggeri ufficiali, gli angeli – la parola stessa ‘angelo’ vuol dire, appunto, “messaggero”, qualcuno che porta un annuncio.
E fin qui, tutto bene. È più problematico capire perché i primi destinatari di questo annuncio siano dei pastori. Qualcuno dice: è perché erano persone di infima categoria, disprezzati, gente che non contava niente; “ultimi”, insomma, nella società del tempo; e per questo Dio li sceglie come primi destinatari dell’annuncio del Natale.
Personalmente non sono molto convinto di questo. Nella Bibbia, sono paragonati ai pastori personaggi di prima importanza, come Mosè o Davide (cf. Sal 77,21; 78,70-72). Soprattutto, Dio stesso si presenta come il vero pastore del suo popolo (cf. Ez 34,10-16; Sal 23), e anche Gesù riprenderà questa immagine, per parlare di sé (cf. Gv 10,10-16). Difficile pensare, secondo la Bibbia, che il lavoro del pastore abbia, in quanto tale, dei lati negativi.
Proprio a Betlemme e nei suoi dintorni, lo stesso Davide, ancora ragazzino, aveva fatto il pastore (cf. 1Sam 16,4.11); e mille anni dopo, negli stessi territori, non ci stupisce di trovare dei pastori, e che a loro si rivolga prima di tutto la parola di Dio, per annunciare non solo ciò che è successo – la nascita di un bambino – ma anche il senso di ciò che è successo: «oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11).
Ma la cosa forse più sorprendente, in questo annuncio, è l’indicazione del “segno” che i pastori troveranno, andando a Betlemme: «troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12; cf. v. 7). Quel “segno”, dunque, è Gesù stesso. Ma cosa vuol dire che è “segno”, se poi ciò che quel segno indica è… di nuovo Gesù!
Come capire questo che sembra un errore “logico”?
Gli angeli hanno detto ai pastori: è nato per voi un Salvatore, è nato il Messia, è nato il Signore! Sono titoli grandi, ma sono anche titoli che possono essere fraintesi: all’epoca, per fare un esempio, “salvatore” era un titolo molto usato addirittura per gli imperatori! E anche i titoli di Messia e di Signore si prestavano a molti equivoci.
Per questo gli angeli dicono: guardate il “segno”, se volete capire quale Salvatore, quale Messia, quale Signore, vi è nato in questa notte santa.

È un bambino, e un bambino piccolo: da solo, non è capace di fare niente. È debole, fragile, indifeso; qualcuno deve prendersene cura. Ma non è solo questione del fatto che adesso è piccolo – poi, si potrebbe dire, una volta cresciuto diventerà grande, potente, importante… Gesù, invece, farà proprio dei bambini il “modello” di chi ha parte di quel “regno di Dio” che egli è venuto ad annunciare (cf. Lc 18,15-17).
Come a dire: qui c’è il segno di una via nuova, che Dio ha scelto, per farsi conoscere all’uomo: non quella dell’onnipotenza che schiaccia e domina su tutto, ma quella della debolezza che domanda di essere accolta nella vita e nella storia degli uomini.

È avvolto in fasce: si faceva così, pare, in Palestina al tempo di Gesù (mentre in altri luoghi ci si regolava diversamente). Ma forse questo particolare vuole rinviarci all’altro estremo della vicenda di Gesù, quello della sua passione e morte, quando le mani di Gesù saranno legate per condurlo alla croce, quando il suo corpo crocifisso, avvolto in un lenzuolo, sarà deposto nel sepolcro (cf. Lc 23,53).
Le icone orientali della natività presentano così il luogo della nascita di Gesù: è come il sepolcro, porta in sé l’oscurità della notte e della morte. Ma Gesù, fasciato, addirittura legato, scendendo fino a questa morte, irradia la luce della vita e della speranza, e rompe le catene della morte e di ogni prigionia.

È deposto in mangiatoia. Descrivendo il gesto di Maria, che aveva «posto» Gesù nella mangiatoia (cf. v. 7), l’evangelista usa un verbo che, di solito, indica il «mettersi a tavola» (cf. Lc 12,37; 13,29). Come dire: questo Signore, questo Re-Messia, siede alla tavola degli uomini, vuol essere partecipe della loro vita, loro “compagno” (quello che mangia lo stesso pane). Non cerca posti riservati, non si tiene a distanza, se non perché non c’era posto per lui nell’alloggio riservato alle persone, gli tocca di essere sistemato nella stalla, fra gli animali domestici…

Questo, dunque, il “segno”. È, in definitiva, il segno del presepe: ma bisogna leggerlo attraverso tutta la vicenda di Gesù, fino alla Pasqua, se lo si vuol capire fino in fondo (e sempre, s’intende, nella fede).
Chiediamoci, per concludere, che cosa può suggerire a noi, in questa notte santa, il “segno” del bambino, avvolto in fasce, deposto in una mangiatoia.

Questo segno ci parla di un Dio che non viene a noi con la potenza schiacciante, ma nella piccolezza che chiede accoglienza: e ci propone di fare di questa accoglienza anche un criterio decisivo del nostro modo di vivere, che si orienta in particolare ai piccoli, agli ultimi, a quelli che non hanno forza o potere, e anzi rischiano di rimanere schiacciati o messi ai margini dalle dinamiche della nostra società.
Ci parla ancora, questo segno, di fasce che stringono, di legami che imprigionano. Gesù li accetta, per amore nostro, e per questo diventa liberatore: libera dalle catene del peccato e della morte, perché anche noi diventiamo capaci di liberare gli altri, operando perché nessuno più sia vittima di schiavitù, di oppressione, di dinamiche di violenza e di ingiustizia.
Deposto nella mangiatoia, il Bambino del presepio anticipa quella condizione di fraternità alla quale Dio chiama tutti i popoli, perché tutti possano partecipare della sua benedizione e condividere con gli altri quella stessa vita buona che ciascuno cerca per sé; se accetta che non ci sia posto per lui, è perché quando cerchiamo il nostro posto nella vita, ci ricordiamo di chi rischia di essere dimenticato e lasciato fuori.
Il segno del Bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia è annuncio di salvezza e proposta di vita, che vengono da Dio stesso, attraverso il messaggio dei suoi angeli. Come i pastori, andiamo anche noi a vedere questo segno, e poi rimettiamoci in cammino, seguendo la traccia che quel segno ci mette davanti.