Natale 2020, Messa della notte – Omelia del vescovo Daniele

Riportiamo l’omelia del vescovo Daniele per la Messa della notte di Natale, celebrata in Cattedrale la sera del 24 dicembre 2020 alle 20.30

Abbiamo corso il rischio di sprecare inutilmente tempo ed energie, qualche settimana fa, quando incominciavano a profilarsi le misure di contenimento della lotta alla pandemia per questo periodo di Natale, con la previsione di anticipare l’orario di questa Messa, detta tradizionalmente «di mezzanotte» – mentre la liturgia la chiama semplicemente «Messa della notte»: abbiamo forse perso tempo in inutili polemiche, quasi che il problema centrale fosse l’orario di questa Messa, anziché ciò che il mistero del Natale annuncia, e che anche questa Messa ribadisce, indubbiamente anche attraverso la simbolica dell’orario in cui è celebrata.
Perché effettivamente – l’abbiamo sentito nelle parole di Isaia, nella prima lettura – «Il popolo che camminava nelle tenebre / ha visto una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa / una luce rifulse» (Is 9,1); e a queste parole del profeta fa riscontro l’annuncio del Vangelo, che ci parla delle luci e dei suoni degli angeli, la cui presenza rompe il buio nella notte dei pastori, per annunciare loro la grande gioia della nascita del Salvatore; e altri testi della liturgia cantano questa luce che splende nella notte.
C’è senza dubbio un valore profondo, dunque, nel simbolo di questa celebrazione che si compie mentre fuori è buio. Ma è chiaro che l’orario non importa, e che è rischioso fissarsi sull’orario, perché l’attenzione potrebbe essere distolta da ciò che è più importante: ed è, naturalmente, la tenebra della nostra esistenza, quando fosse priva della presenza di Dio, di quella presenza che assume per noi, in questa notte, il volto mite e indifeso di un bambino appena nato.
Per questa nostra tenebra, purtroppo, non c’è orario; non è un buio condizionato dai cicli astronomici. In un altro passo, scritto da un profeta attivo centocinquant’anni dopo Isaia, ma raccolto sempre nel libro di Isaia, si legge questa condanna, per quanti fanno il male:

… Non conoscono la via della pace,
non c’è giustizia nel loro procedere;
rendono tortuosi i loro sentieri,
chiunque vi cammina non conosce la pace.
Per questo il diritto si è allontanato da noi
e non ci raggiunge la giustizia.
Speravamo la luce ed ecco le tenebre,
lo splendore, ma dobbiamo camminare nel buio.
Tastiamo come ciechi la parete,
come privi di occhi camminiamo a tastoni;
inciampiamo a mezzogiorno come al crepuscolo,
nel pieno vigore siamo come i morti (Is 59,8-10).

È per questo buio, che ci può avvolgere anche in pieno giorno, che il Signore è nato; è per fugare questa tenebra, che egli è venuto. E infatti ancora Isaia, nella prima lettura, ci ha detto di questo bambino che «grande sarà il suo potere / e la pace non avrà fine / sul trono di Davide e sul suo regno, / che egli viene a consolidare e rafforzare / con il diritto e la giustizia, ora e per sempre» (9,6).

C’è tenebra, quando Dio è dimenticato e quando, di conseguenza, «diritto e giustizia» sono calpestati, quando i deboli sono messi ai margini, quando iniquità e violenza dilagano nel mondo, e anche le nostre speranze, il nostro desiderio di una vita buona, è messo in questione dalle ansietà, dai pericoli, dall’ignoto che le vicende del mondo portano con sé – come ci ha ben insegnato la pandemia in questi mesi.
Proprio per questo abbiamo bisogno di vedere accendersi ancora una volta la luce di Cristo, e di rinnovare la fiducia che lui, proprio lui, vince le tenebre e accende nel mondo la luce della speranza. Proprio lui è il Salvatore, come l’angelo annuncia ai pastori (cf. Lc 2,11); proprio lui, il bambino che i pastori, e noi con loro, contemplano nella stalla di Betlemme, accende la luce che vince le tenebre; perché – come poi sentiremo proclamare nel vangelo di Giovanni, domani, nella «Messa del giorno» – «la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5). Nascendo tra di noi, il Figlio di Dio incomincia a far risplendere questa luce: ma incomincia, appunto. E affida a noi, che ci diciamo suoi discepoli e amici, di completare l’opera, di accendere altre luci.

Chissà se una volta o l’altra ci è stato dato di contemplare un cielo notturno limpido e sereno, e di vedere accendersi poco alla volta la luce delle stelle, a migliaia, a milioni di milioni. A questo dovrebbe assomigliare la storia del mondo, di noi cristiani, dopo la venuta di Cristo: a un cielo che progressivamente si accende di stelle, grazie alla luce di Cristo di cui anche noi possiamo essere un piccolo riflesso. Piccolo, ma non importa: come ha ricordato p. Gigi Maccalli, rievocando la sua prigionia di due anni e il cielo stellato che accompagnava le sue notti nel deserto, accendendo in lui la speranza, «nel buio si vede meglio la bellezza e la forza anche di una piccola luce».
Io non so cosa ricorderemo di questo anno 2020, segnato dalla pandemia, di questo Natale vissuto in mezzo a tante limitazioni (e ancor più il mio pensiero va alla Pasqua, ai giorni santi celebrati senza la presenza dei cristiani nelle chiese, nel mezzo della fase più acuta della pandemia…).
A me piacerebbe che ricordassimo soprattutto le tante luci che abbiamo visto accendersi, anche in modo inaspettato. Le luci dei nostri medici e infermieri in ospedale. Le luci dei volontari che si sono prodigati in aiuto di chi rimaneva chiuso in casa. Le luci di chi ha continuato lavori e servizi pubblici difficili e impegnativi. Le luci dei nostri catechisti che hanno continuato ad accompagnare i ragazzi nel cammino della fede. Le luci di chi ha offerto beni e denaro in aiuto dei più poveri. Le luci delle famiglie che hanno dovuto affrontare prove durissime e impreviste. Le luci degli insegnanti e di chi opera nella scuola… In mezzo a sofferenze e prove di ogni genere (e non possiamo questa notte non ricordare chi ci ha lasciato, le tante famiglie private di una persona cara…), tante luci si sono accese. C’è tutto un cielo stellato da ricordare, e di cui ringraziare Cristo, luce che splende nelle tenebre.
Ma sono da ricordare anche per renderci consapevoli che tante altre luci, tante altre stelle aspettano di essere accese: e proprio da noi, proprio da te. Guardando magari agli orizzonti più bui, meno illuminati, di adesso e dei prossimi mesi.
Ci saranno luci da accendere per chi ha perso o perderà il lavoro. Per chi esce da questa prova schiacciato nello spirito, stanco, demoralizzato. Per le nuove situazioni di povertà che si delineano. Già adesso ci sarebbero da accendere luci per chi sta ai margini: per i carcerati; per chi non ha un tetto sotto il quale dormire (la nostra Caritas cerca volontari per il dormitorio, nel quale ogni sera trovano rifugio quindici senza tetto…); per le famiglie dove ci sono persone disabili; per chi è vittima della violenza e dello sfruttamento; per chi è solo e disperato…
«Il popolo che camminava nelle tenebre / ha visto una grande luce; / su coloro che abitavano in terra tenebrosa / una luce rifulse». Questo popolo, oggi, qui siamo noi, che contempliamo ancora una volta la luce di Gesù Cristo, il bimbo nato da Maria, il Salvatore promesso e donato da Dio. La grazia che gli chiediamo, in quest’ora notturna, in questa santa notte, è di lasciarci raggiungere dalla sua luce, e di uscire da questa Cattedrale impegnandoci a portare in noi, per gli altri, un riflesso di questa luce benedetta.