Natale 2018 – Messa di Mezzanotte – Omelia

Cattedrale di Crema, 25 dic. 2018

Nella selva di messaggi augurali arrivati in questi giorni e in queste ore, un antico compagno di studi mi ha inviato una terzina di Dante, dal ventesimo canto del ‘Purgatorio’, dove il poeta ricorda di aver udito il canto natalizio degli angeli:

Gloria in excelsis’ tutti ‘Deo’
dicean […]

No’ istavamo immobili e sospesi
come i pastor che prima udir quel canto
(Purgatorio, c. XX, 136-140)

Anche noi abbiamo sentito questo canto, poco fa, nella proclamazione del vangelo; e lo abbiamo anche cantato, nei riti iniziali di questa solenne Eucaristia, nella quale celebriamo il mistero della nascita di Gesù, il Figlio della Vergine, che gli stessi angeli indicano ai pastori come il Salvatore, il Cristo (cioè il Messia), il Signore, e che le parole di Paolo a Tito confessano come «il nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo» (cf. Tt 2, 13).
Vorrei fermare la mia attenzione proprio su questo canto angelico, e riflettere un momento sulle implicazioni di queste due parole, gloria e pace, nelle quali si riassume la «grande gioia» del Natale per gli uomini, destinatari del «compiacimento» di Dio.

E possiamo partire proprio da qui, da questo «compiacimento»: così infatti suonerebbe la versione letterale delle ultime parole del canto angelico, «pace sulla terra per gli uomini del compiacimento», della benevolenza. Si tratta, quasi certamente, del «compiacimento» di Dio per l’uomo. Il che suscita parecchie domande: in che cosa Dio dovrebbe compiacersi, a proposito dell’uomo? Soppesando il bene e il male che si potrebbero ascrivere all’uomo, non è affatto sicuro che il piatto del bene sarebbe più pesante di quello del male, anzi…
Il fatto è che il compiacimento per l’uomo non si basa sugli eventuali titoli di merito dell’uomo stesso, ma solo sulla fedeltà dell’amore di Dio. Come si legge nell’epistola della seconda Messa di Natale, quella dell’aurora, «quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia…» (Tt 3, 4 s.). Così il «compiacimento» di Dio si spiega alla luce della sua bontà, della sua «filantropia», del tutto gratuite e insperate, che sono poi come dei riflessi della sua «gloria».

Perché la gloria di Dio non ha niente a che fare con gli applausi umani: la gloria di Dio è, per così dire, il volto visibile di Colui che resta sempre l’invisibile, il trascendente; ma un invisibile che ha voluto manifestarsi, un trascendente che ha voluto farsi vicino, all’uomo e al mondo. La gloria di Dio non risplende per le nostre luci o i nostri canti o la bellezza delle nostre opere d’arte, per quanto significative e gratificanti siano, ma solo perché Egli si fa conoscere a noi come il Dio che ama e salva, precisamente nel suo Figlio Gesù Cristo.
La gloria di Dio è proprio la sua «buona volontà», non la nostra; la sua volontà di bene, di salvezza, di vita, di pace che, dopo essersi manifestata in modo parziale e provvisorio nel corso dei secoli, giunge a pienezza nel suo Figlio, fatto uomo per noi: e come ci dirà il vangelo della Messa del giorno di Natale, proprio in lui, e nella sua «carne», nell’umanità di Gesù di Nazaret, noi abbiamo contemplato la manifestazione definitiva della gloria di Dio.
La gloria di Dio è dunque per la vita e la salvezza dell’uomo amato da Dio: è per la sua «pace» – parola che, nel linguaggio biblico, riassume tutta la pienezza dei doni di Dio: perdono, riconciliazione, gioia, speranza, futuro, comunione, vita e vita piena… sono tutte sfaccettature della pace che Dio offre all’uomo che egli ama.

La gratitudine per il «compiacimento» di Dio, per la sua buona volontà che noi abbiamo vita e vita piena, la contemplazione riconoscente della gloria di Dio che risplende in Gesù bambino – e che risplenderà in modo ancor più paradossale nel Cristo crocifisso – non può trascurare la domanda: e noi, che cosa ne facciamo, della gloria di Dio e della sua pace? Riusciremo mai a fare veramente nostra la sua «buona volontà», ossia la sua volontà di bene e di vita per l’uomo?
Non possiamo nasconderci che troppe volte l’uomo ci sembra più calpestato che glorificato, più offeso che amato, più vittima di violenza, di inganno, di dimenticanza, di sfruttamento, di esclusione… che non cercato, curato, accolto, sfamato, rivestito, onorato come colui che Dio ama «a prescindere», come la sua creatura prediletta in una creazione chiamata tutta alla pace e a essere riflesso della gloria di Dio.
Per noi che ci professiamo cristiani si gioca, qui, una questione molto seria: perché la gloria di Dio e il suo dono di pace sono fragili come il Bambino nella mangiatoia, e sono posti anche nelle nostre mani, perché non possono ridursi a un dolce pensiero nel quale cullarci la notte di Natale. Ascoltare il canto degli angeli e parteciparvi con le nostre lodi sarebbe davvero troppo poco, se non onorassimo al tempo stesso la gloria divina nell’uomo amato da Dio e non ci adoperassimo con tutte le nostre forze e il nostro ingegno per la sua pace, per la sua pienezza di vita.
Cominciamo pure a farlo da chi ci sta accanto, da chi ci è più vicino: senza dimenticare che intorno alla mangiatoia di Betlemme sono invitati tutti, vicini e lontani, perché la gloria di Dio è la pace e la salvezza di tutta l’umanità e di tutto il creato.

Colui che ha condiviso la nostra umanità si è fatto vicino a ogni uomo, e a ogni uomo vuole offrire la bellezza della gloria divina e la pienezza della pace. Chiediamo a Lui che la nostra partecipazione al canto degli angeli avvenga dunque non solo con la voce, ma con tutto noi stessi, perché anche attraverso la nostra dedizione Dio sia glorificato, e ogni uomo possa gustare la pace: e sia davvero, così, il buon Natale che ci auguriamo in questa notte santa.