Natale 2018 – Messa del giorno – Omelia

Cattedrale di Crema, 25 dicembre 2018

Il giorno della nascita – il “Natale”, appunto (il dies natalis dei latini) – è il punto di partenza convenzionale della nostra vita. Sappiamo bene, però, che se cerchiamo il vero punto di partenza, dobbiamo risalire più indietro: dal punto di vista biologico, quanto meno al nostro concepimento; ma se poi l’orizzonte si allarga, può nascere una domanda più ampia, che si interroga sull’origine radicale, per così dire, dell’esistenza nostra e del mondo.

Una domanda di questo tipo attraversa tutto il vangelo di Giovanni, a proposito di Gesù: continuamente, soprattutto nei primi dodici capitoli del vangelo, ci si chiede: da dove viene, Gesù? Perché all’evangelista, chiaramente, non basta la risposta più terra terra, più immediata: Gesù viene da Nazaret di Galilea, oppure Gesù è nato a Betlemme, è il figlio di Maria… E l’evangelista dà voce alla riflessione delle prime generazioni cristiane intorno a Gesù, alla sua opera e alla sua persona, per arrivare a dire: Egli viene da Dio!
In un certo senso, ciò può e deve essere detto di tutto ciò che esiste, e quindi anche di ogni uomo e donna: in prospettiva credente, Dio, il Creatore, è l’origine di tutto. Ma la fede cristiana – e l’evangelista – non si accontenta neppure di questo e scopre, in Gesù, un’origine ancora più radicale, ancora più singolare. Egli viene da Dio non soltanto nel senso della creatura che deriva dal Creatore: egli viene da Dio perché ha un rapporto unico con Lui;è il suo Figlio, che è entrato nella nostra condizione umana, perché ha assunto la nostra carne, è diventato uno di noi.

Il Prologo del vangelo di Giovanni dice tutto questo mettendo, «al principio», una parola speciale, che è la parola Logos (diventata poi Verbum nel latino e di lì passata in italiano). Il logos designa insieme la ‘parola’ e la ‘ragione’: è un termine-chiave di quella cultura greca, che costituisce una delle radici fondamentali anche della nostra cultura. Ritroviamo il logos, ad esempio, in tutte le parole che finiscono con -logia, ma esso ha a che fare con tutto il campo della ragione, della matematica, della filosofia, delle scienze… insomma con un ambito straordinariamente ricco della nostra cultura e civiltà.
Riflettere su questo ci porterebbe molto lontano. Del resto, l’evangelista, quando contempla il mistero di Gesù in questa prospettiva, probabilmente non pensa tanto a ciò di cui dicevo prima – la cultura, la filosofia, le scienze, la razionalità… – quanto piuttosto alla Parola creatrice di Dio, alla Parola che non solo ‘dice’, ma fa esistere le cose, le chiama all’esistenza. Questa Parola, appunto, chiama all’esistenza: e dove c’è una chiamata, c’è anche attesa di una risposta. E quando l’evangelista, per andare all’origine di Gesù e del suo mistero, risale fino al «Logos che era in principio presso Dio», potrebbe avere in mente proprio il mistero di un Dio che è «di parola», di un Dio che vuole entrare in relazione, che vuole creare un legame.

Per capire meglio la cosa, proviamo a spazzare via, per un momento, dalla nostra testa, i milioni di libri e di altri testi stampati, e anche tutte le parole che circolano sui nostri mezzi di comunicazione e di interconnessione; proviamo a pensare a che cosa doveva essere la parola quando ancora non si era in grado di trascriverla né di registrarla in nessun modo – ed è stato così, almeno fino a questo momento, per la maggior parte della storia dell’umanità. Proviamo a fare tutto questo, e allora forse intuiamo che la parola è anzitutto ciò che ci mette in relazione: perché di solito non si parla da soli, ma si parla a e con qualcun altro, si parla per stabilire un legame, aspettando una risposta. La parola crea legami – e i greci lo sapevano molto bene, tanto che tra il ‘logos’ e i ‘legami’ c’è una radice comune.

Quando, insomma, l’evangelista vuol andare alla radice dell’origine di Gesù, e ce lo presenta come il ‘Logos fatto carne’ (cf. Gv 1, 14), vuole dirci questo: Gesù viene dal desiderio eterno di Dio di stabilire un legame; egli viene da Dio, perché incarna e dà volto a un Dio che non vuole essere solitario nella sua onnipotente perfezione, ma che parla e, parlando, manifesta la sua volontà di comunione, il suo desiderio di legame, di relazione.
Del resto, ciò che Giovanni dice con le parole profonde del suo Prologo, tutto il mistero del Natale ce lo dice con le sue immagini, a partire da quella di un bambino che, proprio perché è un bambino, ha bisogno degli altri, ha bisogno di entrare in una relazione, di essere accolto, nutrito, accudito… da solo, non può vivere! Il mistero del Natale si presenta così come un mistero di relazione e come una proposta di legami; e, in qualche modo, ci invita ad accogliere una sfida: perché i legami, certo, legano; e noi forse vorremmo più libertà, meno dipendenza – e così, però, rischiamo in realtà di chiuderci nelle nostre solitudini e di intristirci in forme di egoismi sempre più sterili.
I legami, certo, sono impegnativi, perché ci chiedono sempre lo sforzo di uscire da noi stessi; la parola data e ricevuta, offerta e scambiata in un dialogo paziente, è difficile: per questo forse preferiamo la via più facile della parola gridata, della parola che non cerca risposta, che rifiuta di entrare nella pazienza del dialogo, dell’ascolto, del confronto. Tutto questo, però, se sembra darci più soddisfazione nell’immediato, non rende migliore la vita nostra e degli altri.
Nel Natale, Dio torna a invitarci all’ascolto: ascolto di Lui, anzitutto, che ci parla proprio in quel Bambino, e continuerà a parlarci in tutta la vita, i gesti, le azioni e le parole di Gesù di Nazaret, fino all’ultima e più inquietante parola, quella della Croce; ci invita all’ascolto ma ci chiede anche di rispondere con la nostra fede, e ci propone di imparare a vivere come uomini e donne di parola, uomini e donne che non rifiutano di creare legami, di accettare la sfida della relazione, di comprendere le ragioni dell’altro e di spiegare le proprie ragioni, costruendo così, pazientemente, un’umanità più fraterna.
Nel suo Figlio, nato dalla Vergine Maria, in quel Figlio che è la sua Parola eterna, Dio ha voluto legarsi indissolubilmente con la nostra umanità. Da questo dono, raccogliamo l’invito a entrare in relazione con Lui e tra di noi. Dio è un Dio di parola: egli non vuole rimanere chiuso nella solitudine della perfezione, perché in questa solitudine non c’è vita, e propone anche a noi di cercare la vita piena scambiandoci la parola, accettando i legami, costruendo relazioni di vera comunione.