Messa per la “Pasqua interforze” – 23 marzo 2022

Nella Cattedrale di Crema, mercoledì 23 marzo 2022 il vescovo Daniele ha presieduto la Messa per la “Pasqua interforze” dei diversi corpi militari presenti nel territorio cremasco; hanno concelebrato anche i cappellani interessati. Riportiamo di seguito l’omelia.

Quando si leggono i Vangeli, ci si rende conto che Gesù è stato visto, da un parte dei suoi contemporanei, come un soggetto «eversivo», un soggetto che metteva in discussione, e violava apertamente, i precetti della «legge»: che erano precetti «religiosi», ma che avevano anche forti implicazioni sociali (pensiamo, ad es., al divieto di lavorare in giorno di sabato; oppure al divieto di frequentare persone poco raccomandabili; o alle norme sul digiuno…).
D’altra parte, come abbiamo sentito adesso nel Vangelo, Gesù dice di se stesso di non essere venuto «ad abolire la Legge o i Profeti… ma a dare pieno compimento»; al punto che persino «un solo iota o un solo trattino della Legge» vanno scrupolosamente osservati (cf. Mt 5,17-18).
Come stanno, allora, le cose? Gesù è uno scrupoloso osservante della Legge, o è colui che insegna a trasgredirla, e la trasgredisce lui stesso, come lo accusavano i suoi avversari? E, naturalmente, nel provare a rispondere a questa domanda, ci chiediamo anche: che cosa ha a che fare con noi, questo problema? Perché può essere una curiosità storica, quella che riguarda Gesù e il suo tempo; ma che portata ha per noi, questa problematica?
Non è una domanda scontata, perché quando si parla della Legge, nel Vangelo, ci si riferisce alla Legge di Dio, alla Legge che riguardava il popolo di Israele, non alla legge in generale. Gesù non sta parlando del problema generale se si debba o meno osservare la legge ‘civile’ di uno stato. Forse non si è mai posto questo problema – e quando glielo hanno posto (ricordate il quesito se fosse giusto o no pagare il tributo a Cesare, cioè all’imperatore) la sua riposta si può intendere, credo, in questo modo: sì, la legge umana va osservata e rispettata, ma non è la cosa più importante.
E, in generale, i cristiani hanno seguito questo criterio: rispettare le leggi dei paesi nei quali vivevano (a meno che non imponessero di fare cose che ritenevano peccaminose), sapendo che per un discepolo di Gesù c’è qualcosa di più importante, che è la Legge di Dio.
E qui torniamo al punto: come si poneva, Gesù, di fronte a questa Legge? Voleva rispettarla fino all’ultima lettera, all’ultimo trattino o – come lo hanno accusato – era uno che disprezzava la Legge di Dio? E che cosa ne consegue, per chi anche oggi voglia ascoltare Gesù e cercare di fare quello che lui ha fatto?

Per provare a rispondere, brevemente, credo che sia utile ricordare che «legge» è solo una delle traduzioni della parola ebraica Torah: che è, appunto, la parola della Bibbia che di solito traduciamo con «legge» – anche perché la parola greca, che troviamo nei Vangeli, per indicare la Torah è appunto nomos, che significa «legge».
Però anche questa parola, nomos, come quella ebraica, Torah, hanno ‘prima’, per così dire, un altro significato, che è quello di «consuetudine», di «usanza», e anche di «tradizione», termini che rispondono alla domanda: come si fa, per vivere bene? Quali sono le consuetudini, le regole, la «sapienza», potremmo anche dire, che ci permette di vivere bene? E chi ce le insegna, queste cose?
Nel mondo antico, era soprattutto nel contesto della famiglia, del «clan», della parentela o della tribù, che si imparava questa «legge». Potremmo dire che si imparavano (per esperienza, prima di tutto), le «leggi della vita». La Torah era anzitutto un «insegnamento», una «istruzione» su come fare per vivere una vita buona, per sé e per gli altri.
Nel popolo ebraico, la questione diventava allora questa: chi ci insegna la «via giusta», chi ci insegna la strada buona della vita? Chi ci dà le «istruzioni per vivere bene»? E la risposta era: ce le dà Dio!
Da Lui viene «l’insegnamento», l’«istruzione» (Torah) circa il buon vivere. E – cosa importante – ci dà questa istruzione prima di tutto per come si comporta verso di noi. L’agire di Dio verso di noi è la prima e fondamentale Torah di Dio.
Quando noi elenchiamo i comandamenti – che sono come il nucleo fondamentale della Legge di Dio – siamo soliti incominciare dicendo: «Io sono il Signore, Dio tuo. Non avrai altro Dio al di fuori di me». Ma ci dimentichiamo che tra queste due frasi ce n’è un’altra in mezzo: «Io sono il Signore, Dio tuo, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla terra di schiavitù…» (Es 20,2).
La Legge di Dio incomincia con il ricordo di ciò che Dio ha fatto per te. Al popolo di Israele dice: ricorda cosa ho fatto per te, ricorda come nel mio amore sono venuto a toglierti da una condizione di schiavitù; ricorda la liberazione che ti ho donato gratuitamente, senza che tu lo meritassi… Ricordati di questo, e cerca di vivere conformemente a questo ricordo.
Per dirla in una formula: il mio amore per te, la salvezza che ti ho portato, questa sarà la «legge» della tua vita. Per questo il Deuteronomio, che è il quinto libro della Bibbia e che parla a lungo della legge – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura – insiste moltissimo sul fatto che il popolo di Israele deve ricordare ciò che Dio ha fatto, non deve dimenticarselo, deve insegnarlo alle nuove generazioni (cf. Dt 4,9), perché proprio la memoria riconoscente di Dio e del suo amore deve diventare la «legge» a cui conformare la propria vita.
Capiamo allora che non basta dire, ad esempio, «Non uccidere»: questo è il minimo – e purtroppo dobbiamo constatare ogni giorno quanto venga violato questo comandamento… Ma il «non uccidere», nella Torah di Dio, vuol dire molto di più: vuol dire che l’altro è degno di rispetto, di attenzione, di benevolenza… persino se facesse del male, persino se fosse un delinquente: cercherai di correggerlo, di impedirgli di fare del male, se necessario; ma sapendo che resta qualcuno che Dio ama, qualcuno per il quale Gesù Cristo ha dato la sua vita. «Non uccidere» vuol dire fare tutto il possibile per onorare, preservare e custodire la vita dell’altro, di tutti gli altri, come fa Dio.
Questo – all’incirca, e come esempio – è il significato di ciò che Gesù intende, quando dice di essere venuto non ad abolire, ma a dare pieno compimento alla Legge di Dio. Per farci capire che per mettere in pratica questa legge non basta dire: «non ho ucciso nessuno, sono a posto»; si tratta, invece, di comportarsi con l’altro guardando a Dio, e cercando di vedere l’altro come Dio lo vede – e come Gesù ci insegna a vederlo.
Diventa molto impegnativo, certo! È per questo che da Dio, in Gesù Cristo, riceviamo non soltanto una legge: Fa’ questo! Ma riceviamo anche, e soprattutto, il dono dello Spirito Santo, capace di trasformare il nostro cuore e di renderci capaci di «fare questo», di vivere in pienezza la Legge di Dio come legge di amore e di vita per noi e per tutti.
Questo dono deriva dalla Pasqua del Signore, che in queste settimane ci prepariamo a celebrare. Chiediamo dunque a Dio di aprire il nostro cuore, perché sappiamo accogliere il suo Spirito, dono di Gesù morto e risorto, e con la sua luce e la sua forza possiamo diventare capaci di praticare con gioia e dedizione quella Legge di Dio, che Gesù Cristo ha portato al suo pieno compimento.