Messa per la beatificazione dei Martiri del Quiché – Omelia del vescovo

Venerdì 23 aprile 2021, a Santa Cruz del Quiché, la diocesi del Guatemala di cui è vescovo il cremasco mons. Rosolino Bianchetti, sono stati beatificati dieci martiri, uccisi durante la repressione militare fra gli anni 1980 e 1991: tre di loro erano preti, gli altri laici; tra questi, anche un adolescente di dodici anni.
In contemporanea con questa celebrazione, alle ore 18, il vescovo Daniele ha presieduto una Messa nella basilica di S. Maria della Croce, in segno di comunione con la Diocesi del Quiché e con tutte le Chiese del Guatemala, con le quali la Diocesi di Crema ha collaborato negli anni passati attraverso il ministero di diversi preti fidei donum. Due di loro, don Erminio Nichetti e don Roberto Sangiovanni, hanno concelebrato con il Vescovo Daniele, mentre don Federico Bragonzi ha inviato una testimonianza che è stata ascoltata alla fine della Messa. Hanno concelebrato, con altri preti, anche p. Angelo Riboli, missionario della Consolata, e p. Gigi Maccalli della Società delle Missioni Africane.
Riportiamo di seguito il saluto iniziale del vescovo Daniele e la sua omelia.

 

Saluto iniziale

Questo nostro ritrovarci intorno alla Parola e all’Eucaristia, nella stessa ora in cui a Santa Cruz del Quiché, in Guatemala, si celebra la beatificazione di dieci nostri fratelli, sacerdoti e laici di quella Chiesa, uccisi in odio alla fede negli anni tra il 1980 e il 1991, è un gesto di comunione e di rendimento di grazie, e anche un po’ di riparazione, se possiamo dire così, all’impossibilità di essere fisicamente vicini alla Chiesa del Quiché e al suo vescovo, il ‘nostro’ mons. Rosolino Bianchetti, e anche alle altre Chiese del Guatemala.
A queste Chiese ci legano anni di collaborazione pastorale, incarnata principalmente, oltre che nel vescovo Rosolino, nei nostri preti che hanno operato in Guatemala come missionari fidei donum. Due di loro, don Pino Lodetti e don Imerio Pizzamiglio, riposano là in attesa della risurrezione; qui con noi, questa sera, ci sono don Erminio Nichetti e don Roberto Sangiovanni; e poi sentiamo vicino don Federico Bragonzi, che ha operato proprio nel Quiché, e che dall’Uruguay ci ha mandato una bella testimonianza, che ascolteremo poi.
Il nostro legame con le Chiese del Guatemala continua oggi in iniziative di sostegno e condivisione, ai quali i cremaschi rispondono sempre con generosità. E anche questa nostra celebrazione vuol rendere visibile questa fraternità e rinnovarla nel suo fondamento, che è l’amore di Dio manifestato in Cristo morto e risorto. E questo è anche il fondamento di ogni martirio, che risplende nei nostri fratelli martiri del Quiché: di loro, adesso, ci verrà letto un breve profilo.

 

Omelia

Desidero lasciare spazio, al termine della celebrazione, alla testimonianza che don Federico Bragonzi ha registrato per noi, per questa occasione. La mia parola sarà quindi molto breve, e per lo più farà appello a ciò che i vescovi del Guatemala hanno scritto, un mese fa, proprio in vista della beatificazione che si celebra oggi: anche perché io per primo desidero soprattutto stare in ascolto di ciò che Dio ci dice, attraverso la testimonianza dei suoi martiri, e anche attraverso la testimonianza di chi ha vissuto quell’esperienza di Chiesa, di cui i martiri sono un segno particolarmente luminoso.
Perché questo mi sembra di aver colto, nella vicenda dei martiri del Quiché: essi sono come l’espressione visibile di un intero popolo, che è passato attraverso «la grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello», come dice la parola rivolta al veggente dell’Apocalisse. Come hanno scritto i vescovi del Guatemala nell’annunciare la beatificazione, «in ciascuno dei nomi dei nostri martiri e nelle loro vite scopriamo la fede del ‘santo popolo di Dio’».
Ciò che ha condotto questi uomini (tra i quali, come abbiamo sentito, anche un ragazzo di dodici anni) al martirio, non è una specie di eroismo solitario della fede. «Negli anni del conflitto armato interno al Guatemala – cito ancora le parole dei vescovi del Guatemala – essi hanno versato il loro sangue perché erano convinti che non c’è amore più grande che dare la vita per i fratelli, soprattutto quando la Chiesa cattolica si impegnava per difendere i valori del Regno di Dio, proclamati dal Signore Gesù: la difesa della dignità umana, il rispetto dalla vita, la giustizia sociale e la difesa dei più deboli e vulnerabili».
Il martirio di alcuni suoi figli – e senza dimenticare i tanti altri che, a motivo della loro piena adesione al Signore Gesù, furono vittime della violenza omicida – ringiovanisce il volto della Chiesa, le toglie via un po’ delle «macchie e rughe» (cf. Ef 5,27) che finiscono per deturparne l’aspetto.
A patto, naturalmente, che la Chiesa sia aperta ad accogliere questa testimonianza, a riconoscere che ciò che la fa vivere è l’amore fedele del Signore, che la chiama a impegnarsi con tutte le forze per offrire a tutti questo stesso amore, che diventa sorgente di vita, e di vita «in abbondanza» (cf. Gv 10,10) per il mondo.
«Dare la vita» non richiede chissà quali mezzi umani. I martiri che oggi celebriamo – e tutti i martiri – non sono beati in virtù di qualche capacità o prerogativa mondana, ma perché (ci ricordano i vescovi del Guatemala), «cercarono il Regno di Dio e la sua giustizia; perché sempre hanno aperto le loro mani per condividere, la loro bocca per benedire, il loro cuore per amare – e per amare anche quelli che li ammazzarono».
Rendiamo grazie a Dio per questa testimonianza, e anche perché la nostra Chiesa di Crema ha avuto la grazia di essere per un po’ di tempo compagna di viaggio della Chiesa del Quiché e delle Chiese del Guatemala; sicché anche noi possiamo dire, con le parole dei vescovi guatemaltechi, che «Dio è stato grande con noi perché in mezzo alla violenza incontrollabile di quegli anni terribili, brillò la luce, la speranza e oggi si raccolgono frutti di fedeltà e santità grazie alla loro testimonianza. Sono per la nostra Chiesa e i nostri contemporanei “una nube di testimoni”» (Eb 12,1).
Chiediamo questa sera la grazia di raccogliere questa testimonianza e di lasciarci così anche noi purificare e rinnovare nel sangue dell’Agnello, che ci conduce alle sorgenti della vita.