Messa per i genitori e familiari defunti – Omelia del vescovo Daniele

Sabato 8 maggio 2021, a un mese di distanza dalla morte della mamma Malvina Terenziani, in Cattedrale a Crema il vescovo Daniele ha presieduto una santa Messa di suffragio per lei, per i genitori dei preti morti durante gli anni del suo episcopato (in particolare le mamme di preti morte negli ultimi mesi), e per tutti i genitori e familiari defunti. Hanno concelebrato mons. Oscar Cantoni, vescovo di Como, già vescovo di Crema, e mons. Maurizio Malvestiti, vescovo di Lodi, diversi sacerdoti diocesani e anche di altre diocesi; hanno partecipato alla celebrazione anche le sorelle e il fratello del vescovo Daniele, con le loro famiglie. Riportiamo l’omelia del vescovo.

È passato un mese dalla morte della mia mamma, ultimo di una serie di lutti che hanno segnato nei mesi scorsi il nostro presbiterio: in trenta giorni, da metà gennaio a metà febbraio, cinque nostri preti hanno perso le loro mamme! Mi è sembrato giusto ricordarle in questa occasione, insieme con gli altri genitori dei preti morti in questi anni, da quando sono qui a Crema, e unendo in questa commemorazione anche tutti i nostri genitori e famigliari defunti.
La parola della Scrittura di questa liturgia ci aiuta a vivere con riconoscenza a Dio il ricordo dei nostri genitori, nella fiduciosa speranza che essi ormai godano della pienezza della vita in Dio.
L’accenno, apparentemente marginale, all’inizio della prima lettura, ai genitori di Timoteo – il discepolo destinato a diventare uno dei principali collaboratori dell’apostolo Paolo – è particolarmente prezioso per noi.
Del padre di Timoteo, in realtà, non sappiamo altro se non ciò che viene detto in questa breve notizia: era «greco», ciò che, in questo contesto, sembra indicare che fosse pagano (cf. At 16,1.3). Della madre di Timoteo, invece, sappiamo qualcosa di più, perché Paolo ne parla nella seconda delle lettere inviate a questo suo collaboratore: sappiamo che si chiamava Eunice, e Paolo si riferisce a lei con parole di elogio per la «schietta fede» che questa donna, e anche la madre di lei, Lòide, hanno trasmesso a Timoteo (cf. 2Tm 1,5).
Se Paolo, intorno al 49/50 dopo Cristo, incontra Timoteo, che è già cristiano, e può lodare la fede della sua nonna e di sua madre, dobbiamo pensare che queste donne, e il loro figlio, siano diventati cristiani molto presto. Non solo: poco più avanti, sempre nella stessa lettera, Paolo osserva che Timoteo conosce «le sacre Scritture fin dall’infanzia» (3,15); se il padre era pagano, bisogna pensare che proprio la madre, o la nonna, o probabilmente entrambe, siano state per il figlio e nipote le prime guide nella conoscenza delle Sacre Scritture.
Sono pochi cenni, ma bastano ad accostare l’esperienza di Timoteo a ciò che molti di noi, vescovi e preti, e consacrati, e senz’altro anche fedeli laici, hanno vissuto: e cioè l’aver ricevuto non solo la vita, ma anche le prime parole della fede, i primi gesti e preghiere, proprio dai nostri genitori, e in particolare dalle nostre mamme. Sono stati loro, la nostra prima Chiesa. Non avevano certo studiato alla Gregoriana o al Biblico, eppure sono stati in grado di farci fare i primi passi nella conoscenza del Signore, di aprirci all’amore per Lui, forse anche di farci percepire il desiderio di servirlo anche attraverso il ministero al quale siamo poi Dio ci ha voluto chiamare.
Ci hanno trasmesso quella che Paolo chiama una «fede schietta, sincera» (cf. 2Tm 1,5), semplice ma profonda. Ce l’hanno trasmessa, certo, non solo con i gesti e le parole esplicite della fede, ma con tutto il comportamento che hanno tenuto nei confronti nostri, dei nostri fratelli e sorelle, di altre persone incontrate nella loro vita.
Ci hanno trasmesso una fede irrobustita anche dalle prove. Forse non hanno fatto l’esperienza di quell’«odio del mondo» o di quella persecuzione, di cui parla il Signore nel vangelo (cf. Gv 15,18-21). Ma altre prove, certo che le hanno vissute. Le nostre mamme, morte nei mesi scorsi, erano tutte nate tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30 del secolo scorso: il che vuol dire che la loro adolescenza ha coinciso con gli anni della seconda guerra mondiale.
In questi mesi abbiamo giustamente notato come la pandemia abbia pesato parecchio sui nostri giovani e ragazze, sottraendo loro molte cose importanti per la loro età. Ogni epoca ha le sue tribolazioni, naturalmente: ma le nostre mamme, adolescenti durante i cinque anni della guerra e nel periodo immediatamente successivo, o i nostri papà, magari chiamati addirittura sul fronte di guerra, non hanno avuto certo un’adolescenza e una giovinezza spensierate!
Penso che abbiano sperimentato, nel loro contesto e nella loro condizione, qualcosa di simile a ciò che è raccontato nell’ultima parte della prima lettura, che è un testo che io amo molto. Vi si dice, infatti, qualcosa di paradossale: per due volte lo Spirito Santo si mette di traverso, rispetto ai programmi di Paolo e dei suoi collaboratori. Lo Spirito «impedisce loro» di predicare la Parola nella provincia di Asia (cioè la regione di Efeso); e poi ancora lo Spirito non permette loro di avviare la missione in Bitinia (cf. At 16,6-7).
È abbastanza sorprendente che proprio lo Spirito crei ostacolo all’azione missionaria! Da parte mia, sono convinto che ci sia qui una rilettura di fede di circostanze che non conosciamo, ma che possiamo a grandi linee immaginare: e cioè che l’azione di Paolo e dei suoi abbia incontrato opposizioni e difficoltà di vario genere, sicché la missione si era come bloccata, non andava più avanti. Ma questi ostacoli finiscono per aprire una via nuova: la visione che Paolo ha a Troade riassume come indicazione di Dio un’intuizione, o forse un invito esplicito, che qualche Macedone rivolge a Paolo: «Vieni in Macedonia e aiutaci!» (16,9). E comincia così una nuova missione, quella che porta il vangelo in Grecia, e quindi in Europa.
Gli Atti degli Apostoli, insomma, ci invitano a rileggere come voce dello Spirito anche gli ostacoli, le difficoltà, le prove alle quali va incontro l’azione missionaria, perché sono prove che vogliono aprire a orizzonti nuovi.
Credo che questo sia vero non soltanto dell’azione missionaria, ma di tutte le prove e tribolazioni alle quali la vita ci espone, quando le sappiamo leggere e vivere in spiri­to di fede. E mi piace pensare che i nostri genitori, confrontati con una prova molto dura come quella della guerra, quando erano ancora adolescenti, o nella prima giovi­nezza (e probabilmente anche più tardi nella loro esistenza), abbiano vissuto un’espe­rienza del genere: e siano stati capaci di rileggere e sopportare nella fede ciò che stavano vivendo e di aprirsi a ciò che la vita chiedeva loro anche attraverso queste prove. Per questo hanno potuto poi trasmetterci un certo modo di vivere, di credere, di lavorare, di affrontare le fatiche e anche le gioie che la vita porta con sé.
Di tutto questo noi, oggi, vogliamo semplicemente rendere grazie a Dio, e chiederGli di non lasciar cadere l’insegnamento di fede e di vita che ci è stato trasmesso.
Non presumiamo di dire che i nostri genitori siano stati perfetti. Piuttosto, con le parole della liturgia, chiediamo al Signore: «Sii misericordioso, o Dio, verso i nostri genitori defunti. Tu sai che nel corso della vita terrena, essi hanno cercato di mantenersi fedeli alla tua volontà. La fede li congiunse quaggiù alla comunità dei credenti; la tua misericordia li unisca ora al coro degli Angeli in cielo. Amen».