Messa “nella cena del Signore” – 6 aprile 2023

Giovedì 6 aprile 2023 il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale la Messa ‘nella cena del Signore’, con il rito della Lavanda dei piedi. Riportiamo di seguito l’omelia.

Questa liturgia, che stiamo celebrando, è come un’entrata solenne nel mistero della Pasqua del Signore, nei tre giorni santi del Signore Gesù crocifisso, sepolto e risorto. Le letture bibliche, e in particolare il Vangelo che abbiamo appena ascoltato, ci aiutano a entrare in questo mistero guardando al modo in cui ci è entrato Gesù stesso. E l’evangelista Giovanni è molto chiaro nel dirci che Gesù è entrato nella sua passione consapevolmente, sapendo bene ciò che stava per accadere.
“Sapendo bene” non significa che Gesù prevedesse tutti gli avvenimenti che dovevano accadere, minuto per minuto. L’evangelista dice con chiarezza che cosa Gesù sa:
– «sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre…» (Gv 13,1): Gesù sa che è arrivato il momento non tanto di soffrire, quanto di vivere la sua Pasqua, il suo passaggio definitivo verso il Padre. Gesù ha capito questo guardando agli eventi, le cose che accadevano (cf. 12,20-23); quest’ora, però, non dipende dagli uomini, ma da Dio; l’“appuntamento” fissato, per Gesù, non è con gli uomini, ma con il Padre;– più avanti, l’evangelista dice ancora che Gesù «sapeva chi lo tradiva» (cf. v. 11): dunque, non è sorpreso neppure dal fatto che proprio qualcuno dei suoi, proprio uno dei dodici apostoli, gli volta le spalle e lo consegna ai suoi avversari. Forse ci chiediamo: perché Gesù, sapendo questo, non ha fatto niente per cambiare le cose, per impedire a Giuda di fare quello che aveva deciso?
Non abbiamo una risposta: ma forse ci aiuta a capirlo l’altra cosa, che Gesù «sa»: sa «che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani» (v. 3). Non è la prima volta che si legge questo, nel vangelo di Giovanni. Già al terzo capitolo si leggeva: «Il Padre ama il Figlio gli ha dato in mano ogni cosa» (3,35).
Che cosa significa, questo “tutto”? Prima di provare a rispondere, fermiamoci un momento su un’altra domanda. Come ci saremmo comportati, noi, nella situazione di Gesù, sapendo che Dio ci aveva dato in mano “tutto”? Gesù sa di andare verso la croce e la morte; sa di essere tradito; preannuncia ai discepoli la loro fuga, a Pietro il suo rinnegamento (cf. 13,37 s.)…
Immagina di sapere tutto questo, e di sapere che Dio ti ha messo in mano tutto, come se ti dicesse: hai la possibilità, anzi il potere, la forza, la capacità di fare tutto quello che vuoi… Nella passione secondo Matteo, che abbiamo ascoltato domenica scorsa, Gesù dice che potrebbe pregare il Padre, che gli metterebbe a disposizione più di dodici legioni di angeli, un esercito intero (cf. Mt 26,53). Di nuovo: cosa avrei fatto io, cosa avremmo fatto, noi?
Difficilmente, credo, avremmo respinto la tentazione di servici di questo potere per metterci in salvo, per smascherare il traditore, per respingere chi ti viene ad arrestare per portarti sulla croce… Sarebbe anche giusto, no? Se vieni tradito, se vieni accusato e condannato ingiustamente, se vieni maltrattato senza ragione, è giusto, è lecito difendersi, cercare di salvarsi, soprattutto se Dio stesso ti dà tutti i mezzi per farlo…

Ma Gesù la pensa diversamente. Ciò che il Padre ha messo nelle sue mani è sì “tutto”: ma questo “tutto”, nel quale si identifica il cuore di Dio stesso, è la sua volontà di dare la vita, e la vita piena, all’uomo, a ogni creatura. Nelle mani di Gesù, Dio, il Padre, ha messo il suo desiderio più profondo: che la sua vita divina, la sua gioia, la sua pienezza, la sua felicità, la sua pace… che tutto questo appartenga anche all’uomo e al mondo, che sono chiamati alla piena comunione con Lui.
Gesù “sa” tutto questo, e lo ha detto e mostrato in tanti modi, durante l’intera sua vita. Adesso che è giunta la sua “ora”, gli resta da dirlo nel modo più pieno e definitivo: con il dono della sua stessa vita, quello che si compirà sulla croce. E per farlo capire anche ai discepoli, anche a noi, Gesù ha scelto due strade, che sono inseparabili tra di loro.

La prima è quella ricordata da Paolo nella prima lettera ai Corinzi (cf. II lettura): è la strada dell’Eucaristia, che chiede ai discepoli di riconoscere che quel pane e quel vino sono il sacramento del suo dono di amore «fino alla pienezza» (cf. Gv 13,1), sacramento dell’amore «più grande» (cf. 15,13), che consiste nel dare la vita per quelli che si amano.
La seconda, è quella della lavanda dei piedi: gesto nel quale si riassume tutta la vita di Gesù, fino alla morte e alla morte di croce, in termini di servizio. In tutta la sua vita, Gesù è stato in mezzo ai suoi come colui che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la vita (cf. Mc 10,45); è il Maestro e Signore che sta in mezzo ai suoi discepoli come colui che serve (cf. Lc 22,27): e così fa capire che avere nelle mani “tutto” ciò che Dio ci può mettere – tutta la sua divinità, la sua potenza infinita, la sua sapienza, la sua eternità… – sarebbe inutile, se quelle mani non diventassero poi capaci dei gesti dell’amore più umile e incondizionato.

Consegnando ai discepoli il pane e il vino, il suo Corpo donato e il suo Sangue versato, Gesù ha detto: «fate questo in memoria di me» (1Cor 11,24 s.); e dopo aver lavato i piedi ai discepoli, in modo simile, ha detto loro: «Vi ho dato un esempio… perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15). “Esempio” forse è troppo poco: Gesù vuol dire: io ho posto il fondamento, ma perché voi facciate poi il resto.
Il fondamento è il suo dono d’amore, in risposta all’amore del Padre. Continuando a celebrare l’Eucaristia, in obbedienza al suo comando, veniamo posti sempre di nuovo su quel fondamento, ma non possiamo fermarci lì. Resta da fare qualcosa di essenziale. Per questo le nostre mani, la nostra vita, ricevendo l’Eucaristia, sono rese capaci di un dono d’amore simile a quello del Signore, un dono che ci impegna ad amare «non a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1Gv 3,18).