Messa nel 25° della morte di mons. Carlo Manziana, vescovo di Crema

Il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale, la sera dell’1 giugno 2022, l’Eucaristia in suffragio e memoria di S. E. mons. Carlo Manziana, vescovo di Crema dal 1964 al 1981, nel XXV della sua morte avvenuta a Brescia il 2 giugno 1997. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.

Le cifre tonde, senza esagerarne l’importanza, sono di un qualche aiuto per custodire la memoria di persone o eventi significativi, anche per la vita di una Chiesa. Per questo forse vale la pena di ricordare che quest’anno ricorrono non soltanto i venticinque anni dalla morte del vescovo Carlo Manziana, avvenuta poco prima della mezzanotte del 2 giugno 1997; ma ricorrono anche i centovent’anni dalla sua nascita (avvenuta il 6 luglio 1902), e i quarant’anni dal suo addio alla nostra Chiesa: lasciò Crema, per tornare nella sua Brescia e presso i suoi confratelli dell’Oratorio e della Chiesa di Santa Maria della Pace, il 24 gennaio del 1982.
Pochi giorni dopo la mia nomina a Crema – e ci tengo a ricordare (anche se questo rivela soprattutto la mia ignoranza) che l’unica cosa che più o meno sapevo di Crema, allora, era appunto che era stata la diocesi di mons. Manziana, il cui nome conoscevo soprattutto in rapporto con il rinnovamento liturgico dopo il concilio Vaticano II – dicevo appunto che pochi giorni dopo la mia nomina, l’allora vescovo di Brescia, e mio carissimo amico da tempo, mons. Luciano Monari, mi riferì della frase che il vescovo Carlo avrebbe detto, lasciando Crema, e cioè che quel viaggio era per lui molto più doloroso di quello che l’aveva condotto, nel 1944, al campo di concentramento di Dachau: tanto ha amato questa nostra Chiesa! E avrebbe desiderato, come sapete meglio di me, «morire su questa cattedra», fedele al suo motto episcopale, preso dalla seconda lettera ai Corinzi: «Siete nel mio cuore per morire e vivere con voi!» (2Cor 7,3).
Il fatto che il Lezionario ci proponga come prima lettura, in questo giorno, la parte finale del “testamento” di Paolo nel suo discorso agli anziani di Efeso (con parole, tra l’altro, che credo starebbero benissimo anche in bocca a mons. Manziana) mi ha indotto a cercare il “testamento” dello stesso vescovo Manziana alla sua Chiesa di Crema.
Esiste un “testamento spirituale” del vescovo Carlo, redatto sette anni prima della morte, e nel quale il suo sguardo si dirige a tutte le realtà che hanno accompagnato la sua vita di cristiano, di prete della Congregazione dell’Oratorio, e di vescovo.
Credo, tuttavia, che il suo testamento alla Chiesa di Crema si ritrovi in particolare in due testi, e cioè il discorso con il quale lo stesso mons. Manziana annunciò alla diocesi l’accettazione delle sue dimissioni da parte di papa Giovanni Paolo II, il 26 settembre 1981; e poi l’omelia della liturgia eucaristica di congedo dalla diocesi, celebrata, come dicevo, il successivo 24 gennaio 1982, nel contesto della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, presenti due fratelli della comunità di Taizé, tra i quali fr. Max Thurian.
Più che ascoltare la mia voce, mi sembra bello ascoltare, per qualche minuto, le parole dette dal vescovo Carlo in questa stessa Cattedrale, quarant’anni fa. Io sarei diventato prete di lì a pochi mesi, e mi piace sentire quelle parole anche come un’esortazione rivolta a me, suo successore di statura ben più ridotta.
Annunciando l’accettazione delle dimissioni, e poi nell’omelia di commiato, ritorna quasi identica questa affermazione: «In questi diciassette anni [di episcopato]… ho cercato di adoprarmi con le mie fragili risorse per favorire il nostro incontro con Cristo – Via, Verità e Vita – e per coinvolgervi nella vita e nell’azione della Chiesa illuminata e rinnovata dal Concilio Vaticano II» (discorso del 24 sett. 1981); e ancora, nell’omelia di commiato: «Mio unico scopo è stato quello di far incontrare gli uomini a Cristo, verità e amore»; e anche in questa omelia ricordava l’impegno di «far vivere l’ora grande del Concilio, costatando una certa staticità ed una certa estraneità».
Favorire, dunque, anzitutto, l’incontro con Gesù Cristo «Via Verità e Vita». Ha detto il card. Cè, patriarca di Venezia, nell’omelia del funerale del Pastore che lo aveva ordinato vescovo: «Gesù Cristo! Quanto l’ha amato Mons. Manziana! Cresciuto alla scuola di Bevilacqua e di Montini, egli fece di Gesù Cristo la passione della sua vita, il centro della sua predicazione, l’onore del suo ministero, il fuoco da trasmettere a tutti. Gesù Cristo, la forza che lo ha fatto sopravvivere nel campo di concentramento».
E possiamo aggiungere che la profonda comunione con Gesù Cristo ha permesso al vescovo Manziana di affrontare le fatiche e le tensioni che inevitabilmente hanno accompagnato la sua opera decisa di attuazione del Concilio Vaticano II, in un momento storico e di vita di Chiesa particolarmente difficili.
Diceva, nell’omelia di commiato:

Sapendomi, sia pure indegnamente, chiamato ad agire “in persona Christi”, via verità e vita, non ho cercato tante forme nuove e peregrine, ma piuttosto ho dato la priorità alla Parola di Dio, ho promosso la Liturgia, fonte e vertice della vita cristiana, ho incrementato il senso della ecclesialità, garantita dall’amore che è ad un tempo impegno di unità e di comunione ed assillo di dialogo e di missione.
Non posso nascondere che ho molto sofferto, per le incomprensioni del Concilio, per persistenti nostalgie del passato e per inconsulte fughe in avanti, per i condizionamenti ideologici in ogni senso che talvolta hanno contaminato la trascendente purezza del messaggio di Cristo…

E continuava citando anche i profondi cambiamenti sociali, riferendosi alle leggi sul divorzio e sull’aborto, al dilagare della droga, alle vicende del terrorismo che aveva colpito tra gli altri Moro e Bachelet, alle difficoltà del mondo del lavoro e di altri ambiti della società…
Su tutto, però, il vescovo Carlo ha fatto prevalere il senso del rendimento di grazie per tutto ciò che di bene egli aveva visto fiorire in quegli anni e specialmente – e qui non possiamo non confessare un po’ di invidia – nelle giovani generazioni, in quei giovani ai quali aveva saputo dedicare tutto se stesso e che (cito ancora il card. Cè) «qui, in questa cattedrale, gli hanno risposto e, qui, hanno celebrato con lui la festa della loro fede. E furono quelli i momenti più belli che Dio Padre donò al suo servo fedele».
Concludo citando ancora il testamento del vescovo Manziana nell’omelia di commiato, là dove diceva (l’ho già richiamato): «Mio unico scopo è stato quello di far incontrare gli uomini a Cristo, verità e amore». E continuava così:

Vorrei dire a coloro che l’hanno incontrato di non affievolire la loro corrispondenza. Vorrei dire a coloro che ancora non l’hanno incontrato di non rendersi indifferenti al suo messaggio, ma di approfondirlo, accostandolo alle più profonde esigenze dell’anima umana e alle istanze più legittime del nostro tempo.

Quarant’anni dopo, e a venticinque anni dal passaggio del vescovo Carlo da questo mondo al Padre, questo invito non ha perso nulla del suo valore. Lo Spirito Santo, che invochiamo specialmente in questi giorni, ci aiuti e ci guidi, e ci accompagni dal cielo la preghiera del vescovo Carlo.