Messa del giorno di Pasqua 2019 – Omelia

Cattedrale di Crema, 21 aprile 2019

Continuamente, e non solo in quel mattino misterioso di duemila anni fa, «morte e vita» si affrontano «in un prodigioso duello», secondo le parole della Sequenza pasquale che è stata cantata dopo la seconda lettura.

Questa notte, qui in Cattedrale, un giovane della parrocchia dei Sabbioni, Davide, ha ricevuto il Battesimo, è stato segnato con il sigillo dello Spirito Santo, si è nutrito per la prima volta alla mensa del Corpo e del Sangue di Cristo. La vita di Dio, la vita eterna, offerta all’uomo nel Cristo morto e risorto, continua a generare nuovi figli; e non soltanto attraverso i sacramenti, che hanno generato e continuano a sostenere ciascuno di noi nel pellegrinaggio della nostra vita; ma anche in tanti altri segni di vita e di risurrezione di cui, grazie a Dio, è pieno anche il nostro mondo.
Come duemila anni fa, quando Gesù di Nàzaret «passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (cf. At 10, 38: prima lettura), così ancora oggi, nel suo nome e per la forza del suo Spirito, vi sono donne e uomini che fanno del bene, che risanano ferite, che generano vita e speranza, che compiono gesti di perdono, che non si arrendono di fronte al male, che suscitano fraternità e amicizia, che si mettono a fianco degli scartati dalla società, che credono sia possibile ancora cercare e promuovere ciò che è vero, giusto, buono e bello per la dignità dell’uomo e per un mondo più vivibile per tutti.
Davvero non possiamo dire che il nostro mondo, la nostra società, la Chiesa, siano privi dei segni di vita e di risurrezione, di cui abbiamo più che mai bisogno.

Ma continua anche il prodigioso e temibile duello della vita con la morte. La morte violenta, portata dai terroristi, che in Sri Lanka, poche ore fa, hanno colpito centinaia di cristiani che come noi stavano celebrando la Pasqua nelle loro chiese, e hanno seminato strage in alcuni alberghi; la morte nelle forme delle tante croci che il Papa ha evocato venerdì sera al termine della Via crucis al Colosseo; la morte come privazione della libertà – come quella sottratta al nostro p. Gigi Maccalli da più di sette mesi –, la morte sotto forma di diritti umani calpestati, di schiavitù antiche e nuove, di bambini non nati, di gesti folli, dei quali non sappiamo darci ragione…

Sì, morte e vita continuano ad affrontarsi, e il loro duello rischia di apparire a noi, più che «prodigioso», sconfortante, scoraggiante. Come Maria di Magdala, quando superficialmente si avvicina alla tomba di Gesù e la vede aperta, rischiamo anche noi di pensare solo al peggio: non solo Gesù è stato crocifisso, è stato sconfitto, ma persino il suo corpo è stato portato via… Non c’è più neppure la possibilità del conforto che viene da un segno di presenza, neppure la tomba offre almeno un luogo per piangere la vita sconfitta, non ha senso neppure questo, se quella tomba non custodisce il corpo dell’amato, di colui nel quale avevamo posto la nostra speranza.
Il fatto è che la fede pasquale, che la Chiesa continua a proclamare, la vittoria di Cristo sulle forze della morte, non è una consolazione a buon mercato; non è neppure – sebbene a volte sia stato detto – una scappatoia ultraterrena rispetto al fatto che il male, il peccato e la morte continuano a essere presenti, fin troppo, nel nostro mondo. La fede pasquale crede alla vittoria di Dio sul male e sulla morte, e la riconosce realizzata proprio a partire da Gesù Cristo morto e risorto. La fede pasquale, la fede cristiana, crede che Dio ha sconfitto sì la morte, ma non usando le sue stesse armi, non scendendo sul suo terreno fatto di inganni, di violenza, di sopraffazione o anche ‘soltanto’ del desiderio di potere, di ricerca del proprio interesse, di bisogno di affermazione e di successo. Il Cristo risorto non ha lasciato la tomba per andare a mostrarsi trionfante a coloro che l’avevano condannato, o per compiere quei segni spettacolari, che la tentazione di satana aveva suggerito a Gesù fin dall’inizio del suo ministero (cf. Mt 4, 1-11 e par.), in modo che tutti fossero convinti dall’evidenza dei fatti.
La vittoria pasquale della vita sulla morte può essere vista solo nella fede; può essere colta solo meditando il disegno di Dio annunciato dalle Scritture; può prendere forma nel cuore dei discepoli solo grazie allo Spirito, che li aiuta a riconoscere il Cristo ancora vivente e che si fa loro compagno di strada – lo vedremo meglio nei vangeli delle prossime domeniche.
È vittoria di Dio perché usa i mezzi di Dio: che non sono, come noi ci aspetteremmo, i mezzi della potenza mondana, del denaro che crede di poter comprare tutto, del successo secondo i canoni umani, della forza che vuole imporsi schiacciando l’avversario ed eliminandolo.
È vittoria di Dio perché viene, sì, dal suo Spirito di vita: ma perché investe di questo Spirito gli strumenti umanamente fragili, che sono quelli e quelle che credono in Lui, e per questo diventano uomini e donne della Pasqua.
È vittoria di Dio che sempre da capo si affida alle nostre fragili mani. Difficilmente, quindi, arriva in testa alle notizie dei nostri mezzi di comunicazione. La tomba di un uomo crocifisso trovata vuota il primo giorno di una settimana qualsiasi meriterebbe al massimo poche righe di un giornale di provincia, e sparirebbe presto dalla cronaca. Ma se siamo qui, e se ci sono cristiani che addirittura pagano con la morte il loro desiderio di celebrare la Pasqua, come è successo oggi in Sri Lanka, è perché la fede pasquale è di altro ordine, e ha una radice diversa, rispetto a ciò che fa notizia per i criteri del mondo.
Ma non è una fede estranea a questo mondo: perché morte e vita continuano ad affrontarsi, e Dio affida a noi, credenti nel Cristo morto e risorto, il compito di testimoniare la vittoria della vita sulla morte, e di far entrare questa vittoria nelle pieghe della nostra vita personale e sociale.
Rinnovare oggi la nostra appartenenza a Cristo morto e risorto, la nostra fede in lui, Vivente tra noi con il suo Spirito, significa accogliere questo compito, vivere come donne e uomini della Pasqua.
E significa, quindi, entrare con decisione nella lotta tra morte e vita, armati soltanto della speranza che si è accesa il mattino di Pasqua.