Giovedì 6 aprile 2023 il Vescovo Daniele ha presieduto nella Cattedrale di Crema la santa Messa del Crisma, concelebrata dai preti della Diocesi, che hanno rinnovato gli impegni dell’Ordinazione e partecipato alla benedizione degli Oli dei catecumeni e degli infermi, e del santo Crisma. Riportiamo di seguito il saluto iniziale e l’omelia del vescovo.
Saluto iniziale
Il saluto che ci siamo scambiati nel nome del Signore contiene già tutta la riconoscenza a Dio, e a ciascuno di noi, per la grazia di ritrovarci in questo annuale appuntamento.
La santa Chiesa di Dio che è in Crema è qui presente nella varietà di doni e chiamate di tutto il popolo di Dio: nei fedeli di ogni età e condizione, nelle consacrate e nei consacrati, nei diaconi e nei presbiteri – presbiteri che sono particolarmente al centro di questa celebrazione.
Li saluto tutti con affetto, ricordando in modo speciale don Enrico Gaffuri, che partecipa per la prima volta da presbitero a questa Messa; e poi i confratelli don Federico Bragonzi, don Elio Costi e don Giuseppe Pagliari, che ricordano il cinquantesimo anniversario di Ordinazione presbiterale, e don Andrea Rusconi, che ricorda il decimo anniversario di Ordinazione.
Permettetemi di salutare in particolare don Ennio Raimondi, ospite della Residenza ‘Camillo Lucchi’, ma che è qui oggi, presente alla nostra celebrazione; e di ricordare con affetto don Erminio Nichetti e don Giovanni Terzi, accolti nella casa presbiterale di S. Angelo Lodigiano; con loro saluto quanti fossero assenti specialmente per motivi di salute o di età.
Sentiamo vicini a noi don Paolo Rocca e don Maurizio Vailati, nella comunione che ci unisce con la diocesi di San José de Mayo, in Uruguay; e un pensiero affettuoso a tutti i missionari e le missionarie originari della nostra Chiesa, e sempre vicini a essa nella preghiera e nella condivisione.
Portiamo nella nostra preghiera il diacono Andrea Berselli, che si prepara all’Ordinazione presbiterale, e i tre giovani, Gianni, Matteo e Riccardo, che stanno vivendo questo anno di discernimento vocazionale in vista – a Dio piacendo – del loro ingresso in Seminario. E preghiamo per tutte le ragazze e i giovani che stanno compiendo un cammino di discernimento vocazionale: non stanchiamoci di invocare da Dio il dono di numerose e sante vocazioni.
Raccomandiamo a Dio don Marco Lunghi, unico presbitero chiamato alla vita eterna dall’ultima Messa Crismale; e con lui tutti i vescovi e presbiteri defunti della nostra Chiesa, perché trovino in Dio pienezza di vita e di gioia.
Lo Spirito, che ha consacrato Gesù di Nazaret come profeta della buona notizia per i poveri, scenda su questa nostra assemblea e faccia di tutta la nostra Chiesa il Corpo di Cristo, al servizio della sua opera di liberazione, salvezza e pace.
Omelia
All’inizio dell’anno pastorale che stiamo vivendo, insieme con le altre Chiese che sono in Italia, abbiamo fissato lo sguardo sulla Casa di Betania, la casa dell’amicizia e familiarità di Gesù con Marta, Maria e Lazzaro.
È appunto in questa casa che, «sei giorni prima della Pasqua», come leggevamo nel vangelo di lunedì scorso, Gesù si trova ancora una volta a mensa, con Lazzaro redivivo e Marta che sovrintende all’organizzazione della cena. Durante quella cena, Maria prende «trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso», ne cosparge i piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli (cf. Gv 12,1-3). Di fronte alle reazioni negative che il gesto suscita, Gesù loda ciò che ha fatto Maria, e lo mette in relazione con la sua morte ormai imminente.
Vorrei sottolineare il particolare che si legge solo in Giovanni: e cioè che, come conseguenza del gesto di Maria, «tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo» (v. 3). Dieci giorni fa avevamo letto il racconto di Lazzaro, richiamato alla vita, dove si narra che quando Gesù comanda di togliere la pietra del sepolcro, Marta osserva: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni» (11,39).
Non mi sembra una forzatura, accostare questi testi. Da una parte, la morte di Lazzaro è espressione della comune eredità di morte, che tocca ogni vivente, e rispetto alla quale anche il gesto di Gesù, che lo richiama alla vita, è una risposta solo provvisoria: un segno, ma che consiste nel ritorno di Lazzaro a una vita ancora mortale.
La morte di Gesù è altra cosa: il suo corpo innalzato sulla croce è come quel vaso di alabastro, che secondo il racconto dell’evangelista Marco è stato spezzato, per liberare il suo profumo (cf. Mc 14,3). La morte di Gesù profuma di vita, e di vita piena, di vita eterna. A partire dalla Pasqua, si diffonde quello che l’apostolo Paolo chiamerà il «buon profumo di Cristo», affidato alla Chiesa, perché continui a spargersi «ovunque» (cf. 2Cor 2,14-15).
L’olio misto a profumo è uno dei segni di questa celebrazione annuale: è anzi ciò che le dà il suo nome caratteristico di “Messa del Crisma”, di quell’olio impregnato del profumo di Cristo e della potenza dello Spirito, con il quale siamo stati segnati tutti nel giorno del nostro Battesimo e della nostra Cresima, e con il quale, nel giorno dell’Ordinazione, sono state unte le mani dei presbiteri e la testa del vescovo.
Provo a domandarmi in che modo, specialmente noi, presbiterio diocesano (che include anche il vescovo) possiamo onorare la grazia e il compito di essere nel mondo, e nella nostra Chiesa, coloro per mezzo dei quali Dio «diffonde ovunque il profumo della conoscenza» di Cristo (cf. 2Cor 2,14).
La cosa non tocca solo i preti, naturalmente: ciascuno secondo la sua vocazione, questa grazia e questo compito riguardano ogni battezzato. Ma oggi, qui, è importante che ce lo chiediamo anzitutto noi, presbiteri e vescovo che, tra poco, saremo chiamati a rinnovare le promesse della nostra Ordinazione.
Nel fare questo, bisogna che ci facciamo – con grande fiducia in Dio, prima di tutto – un esame di coscienza, e ci chiediamo: il nostro ministero, non rischia di «mandare cattivo odore», invece che diffondere il “buon profumo” di Cristo?
Non mi interessa discutere, qui, di ragioni che possono anche non dipendere da noi; dal fatto, ad esempio, che il nostro ministero è molto meno considerato e apprezzato, rispetto al passato. Non voglio neppure fermarmi, ancora una volta, sulle ragioni di scandalo, dato da preti e vescovi: conosciamo questo scandalo, purtroppo, a livello di tutta la Chiesa, e certo dobbiamo prenderlo su di noi, portando il peso gli uni degli altri, anche quando siamo personalmente irreprensibili.
Ma io penso soprattutto a quei comportamenti, e prima ancora a quella mentalità, di cui possiamo essere vittime, e che ci impediscono di far sprigionare quel profumo.
«Manda cattivo odore», il nostro ministero, quando non è radicalmente imperniato su Gesù Cristo, quando non arde della passione di far conoscere «lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze», facendoci «conformi alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti» (Fil 3,10-11).
Quando si capisce che siamo stati anche noi «conquistati da Cristo Gesù» (cf. ivi, v. 12), che ci piange il cuore nel vedere quanto poco Gesù Cristo sia amato, conosciuto, cercato, e che vorremmo farci davvero «tutto a tutti» (cf. 1Cor 9,22) per condurre qualcuno a Lui almeno qualcuno, allora sì, il nostro ministero sparge il buon profumo di Cristo e diventa anche attraente per altri, perché Dio certo chiama ancora qualcuno a unirsi a noi e a portare avanti, anche dopo di noi, il lavoro che ci è stato affidato.
«Manda cattivo odore» un ministero presbiterale vissuto fuori di una logica di vera comunione vicendevole: tra di noi, nel presbiterio diocesano, ma anche, naturalmente, nelle nostre comunità. Che «i fratelli vivano insieme», ci ricorda il Salmo, «è come olio prezioso versato sul capo…» (cf. Sal 133,1-2), è appunto come l’unzione di Gesù.
In questo «vivere insieme» ci mettiamo, prima ancora che condizioni materiali di vita condivisa, la pazienza dell’ascolto reciproco, il portare i pesi gli uni degli altri, la stima vicendevole, l’amorevolezza della correzione fraterna, l’attenzione a chi è più in difficoltà…
Ci mettiamo lo stile sinodale delle nostre comunità, la preoccupazione di promuovere la partecipazione di tutti, di riconoscere e valorizzare i doni che lo Spirito suscita; ci mettiamo il desiderio che le nostre comunità, anche in virtù del ministero a noi affidato, diventino luoghi di vera fraternità, primizia di umanità riconciliata e pacificata…
E «manda cattivo odore» un ministero che non sia disponibile allo “spreco”: proprio quello spreco che viene lamentato da Giuda, ma anche (nel vangelo di Matteo) dagli altri discepoli… Noi dobbiamo, certo, misurare le nostre forze; dobbiamo dare ascolto ai segnali che giungono anche dal nostro corpo, quando la fatica è in eccesso o non ci riposiamo o curiamo in modo adeguato.
Ma chiediamoci che cosa c’è nel nostro cuore, nel centro profondo della nostra adesione al Signore e alla sua chiamata. C’è la preoccupazione di risparmiarci, o il desiderio di una dedizione totale, persino “in perdita”, se necessario, a Dio e alla sua Chiesa, nel servizio del popolo di Dio? I nostri fedeli la intuiscono, questa disponibilità allo “spreco evangelico”; e saranno i primi – se li ascoltiamo – ad aiutarci e sostenerci, perché la fatica non ci stronchi: purché scorgano in noi un vero desiderio di dono totale e di non essere solo (come è stato detto) dei “funzionari del sacro”.
L’esame di coscienza potrebbe continuare, ma capite che il suo senso non è quello di torturarci inutilmente. Si tratta piuttosto di far rientrare un po’ di aria di primavera nella nostra vita, a spazzare via i cattivi odori che vi possono ristagnare: primavera dello Spirito, dono del Risorto, che continua a riversare su di noi l’olio profumato della sua amicizia, perché accogliendolo possiamo diventare sempre più, davanti a Dio e per i fratelli, il «buon profumo di Cristo» (2Cor 2,15).