Messa al cimitero di Crema nella solennità di tutti i Santi – Omelia del vescovo

Nel pomeriggio dell’1 novembre 2020, il vescovo Daniele ha presieduto la S. Messa, nella solennità di tutti i Santi, al Cimitero maggiore di Crema. Riportiamo di seguito l’omelia.

 

Le generazioni del passato avevano una percezione molto forte del legame che unisce coloro che sono ancora in questa terra con quanti hanno varcato le soglie della morte. I santi erano avvertiti come una presenza viva; gli stessi defunti, per quanto non più visibilmente presenti, erano considerati parte di un’unica realtà, di un’unica Chiesa, che viveva in condizioni diverse, in terra e in cielo.
Certamente, se siamo stati qualche volta in Alto Adige, ci avrà colpito vedere i cimiteri ancora addossati alle chiese, com’era del resto dappertutto, fino al XIX secolo; sicché, entrando o uscendo dalla chiesa, si aveva anche fisicamente la percezione di questa comunione tra la Chiesa, come si diceva, «trionfante», la Chiesa dei santi, e la Chiesa «militante», vivente cioè ancora in questo mondo; e anche con la comunità dei defunti, con le «anime del Purgatorio», come si diceva per indicare appunto quanti, non essendo più in questo mondo, sono incamminati verso la pienezza della vita eterna, sostenuti anche dai suffragi e dalle preghiere dei loro cari e della comunità cristiana.
Molte cose sono cambiate, e non c’è bisogno di farsi venire nostalgie inutili. Più importante invece, per noi cristiani, è ricordare che anche se i simboli e le immagini si sono modificate, non resta meno vero il legame di cui dicevo: sicché, venire qui, al cimitero, in questi giorni, non significa soltanto, per noi, compiere un gesto di reverente memoria per i nostri cari che non sono più con noi in questo mondo. Significa, invece, confermare la nostra fede circa la pienezza di vita alla quale siamo destinati; significa contemplare, nella «moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua», di cui ci ha parlato nella prima lettura il libro dell’Apocalisse, la grande schiera dei Santi, di coloro che «hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (cf. Ap 7,9.14).
Significa rafforzare la certezza che già da ora «siamo figli di Dio», anche se «ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (cf. 1Gv 3,2); e però ci sostiene la ferma speranza che Dio, fedele alla sua promessa, porterà a compimento la sua opera, ci condurrà alla pienezza dell’incontro con lui.
In questa speranza noi siamo confermati proprio dalla convinzione di essere creati per un destino di gloria, e che Dio è più forte di ciò che dentro e fuori di noi cerca di opporsi a questo destino.
È importante rinnovare il sentimento di comunione che ci lega, noi ancora viventi in questo mondo, e quanti non ci sono più: la comunione tra noi e quanti già sono nella pienezza della gloria, tra noi e coloro che l’amore di Dio purifica e rinnova, per renderli pienamente partecipi della sua vita.
Colpisce, nelle letture che abbiamo ascoltato, l’uso del plurale: lo moltitudine di cui parla l’Apocalisse, il «noi» di san Giovanni nella sua lettera, e anche il plurale delle beatitudini del Vangelo. Non è un plurale che nega il valore indiscutibile di ciascuno di noi, singolarmente preso, davanti a Dio: siamo conosciuti ciascuno per nome, e amati da Dio ciascuno nella sua singolarità. Ma siamo fatti per la comunione, e questa comunione – con Dio e con i fratelli – è più forte della morte.
Nel tempo difficile che, di nuovo, stiamo vivendo, la tentazione più forte è quella di cadere nella logica del «si salvi chi può». La festa dei Santi che stiamo celebrando, e la stessa commemorazione dei nostri cari defunti, ci ricordano che c’è salvezza solo nel legame reciproco, che ci unisce gli uni gli altri.
Non c’è santità senza la carità reciproca, come non c’è umanità vera senza il sostegno vicendevole. Proprio la memoria riconoscente dei Santi, e la preghiera per i defunti, sono un richiamo a non richiuderci nell’individualismo egoista, per riconoscere invece la bellezza di una comunione ancor più grande e ampia di quella visibile: ma una comunione – quella visibile – che è lo spazio in cui noi siamo chiamati a collaborare, in unità fraterna, alla crescita di quel Regno di Dio che Gesù promette ai suoi discepoli.
L’intercessione della Vergine Maria e di tutti i Santi, conosciuti e sconosciuti, ci sostenga e ci accompagni, incoraggiandoci a vivere con fiducia e impegno il tempo che ci è dato, con le sue difficoltà, ma anche con le possibilità che ci offre di realizzare la nostra chiamata alla santità.