Memoria di S. Giuseppe lavoratore – Festa del lavoro. Omelia del vescovo

Sabato 1 maggio 2021, nella chiesa di S. Giuseppe lavoratore nel quartire delle Villette, a Crema, il vescovo Daniele ha presieduto la santa Messa in onore di S. Giuseppe, nel giorno della Festa del Lavoro. Alla Messa hanno partecipato rappresentanti delle categorie lavorative e imprenditoriali del Cremasco, invitati dalla Commissione diocesana per la pastorale sociale e del lavoro. Riportiamo l’omelia del vescovo.

Due eventi particolari di Chiesa ‘inquadrano’ la celebrazione annuale della memoria di san Giuseppe lavoratore, in questa data del 1° maggio che vede in tutto il mondo la celebrazione della Festa dei lavoratori.
A livello di Chiesa universale, papa Francesco ha voluto ricordare il 150° anniversario della proclamazione di san Giuseppe a Patrono della Chiesa universale, avvenuta l’8 dicembre 1870; per questo anche ha scritto la lettera apostolica Patris corde e ha voluto dedicare un anno speciale, che si concluderà l’8 dicembre prossimo, alla contemplazione e all’affidamento al santo che al quale Dio ha voluto affidare, insieme con Maria, la cura del suo Figlio fatto uomo.
La Chiesa italiana, da parte sua, si sta preparando a vivere, nel prossimo mese di ottobre, la 49ª Settimana sociale dei cattolici italiani, che ha per tema Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #Tutto è connesso; tema che si ispira, dunque, principalmente all’enciclica di papa Francesco Laudato si’, e si propone di affrontare anche la questione del lavoro dentro l’orizzonte della ‘ecologia integrale’, orizzonte che possiamo dire confermato con urgenza e drammaticità dalla crisi della pandemia, che abbiamo vissuto e ancora stiamo vivendo.
Questa crisi, come sappiamo bene, ha investito in modo drammatico la realtà del lavoro; e forse ha anche contribuito a farci capire sempre meglio che, quando si tratta di lavoro, non è questione solo di procurarsi il necessario per vivere. Il lavoro contribuisce a dare senso alla propria vita, fa sentire partecipi della vita sociale ed economica, ma anche della cultura, delle prospettive di futuro che stiamo costruendo.
La pandemia, che ha messo in crisi così tanti settori, può aiutarci anche a capire meglio il valore di forme di lavoro che venivano guardate con sufficienza e considerate meno significative o meno «produttive» (e quindi erano anche peggio retribuite, o mantenute in forme più precarie e con minor tutela dei lavoratori); e ci chiede, la pandemia, di riconsiderare meglio tutto l’ambito del rapporto tra le esigenze del lavoro e quelle della famiglia, del tempo da dedicare a noi e agli altri, le connessioni inestricabili tra l’operare umano e l’ambiente nel quale viviamo…
Mi viene da pensare che anche nella nostra piccola realtà diocesana ci troviamo in un certo senso in una situazione privilegiata o, per dire meglio, in una situazione che ci impegna a una forte responsabilità. Siamo nel cuore della regione d’Italia più popolosa e industrializzata, a relativamente poca distanza da una città come Milano e da grandi aree produttive, e partecipiamo anche noi di processi di innovazione e trasformazione che sono in atto; al tempo stesso, siamo ancora «in campagna», una campagna fertile e ricca d’acqua, e che conosce anche un forte sfruttamento da parte di un’agricoltura intensiva e ben organizzata…
Sono solo accenni: ma mi verrebbe da dire che viviamo in una sorta di microcosmo, nel quale si incrociano alcune delle sfide più importanti che la nostra società è chiamata ad affrontare, e che la pandemia ha rilanciato con particolare acutezza. Queste sfide sono un appello, un richiamo alla responsabilità circa ciò che noi cristiani di Crema possiamo dire e fare, insieme con le Chiese vicine e in collaborazione con tutte le realtà di questo nostro mondo complesso, perché ciascuno possa vivere quella vita buona alla quale siamo chiamati, e della quale è parte integrante anche un lavoro dignitoso, sicuro e possibile per tutti.

Il compito è naturalmente molto ampio, e ringrazio la Commissione diocesana per la pastorale sociale e del lavoro per quanto ha fatto negli anni passati e ancora sta facendo, in collaborazione con le diverse associazioni e realtà interessate, per tenere viva l’attenzione della nostra Chiesa su queste sfide.
Oggi, qui, in questa chiesa delle Villette che era sorta, tra il 1955 e il 1956, proprio come segno di vicinanza della Chiesa di Crema alla vita degli operai impiegati nelle Ferriere, vorrei offrire un breve spunto di riflessione preso dal testo della lettera di Paolo ai Colossesi, che abbiamo ascoltato: facendo riferimento in particolare a quel passo dove l’apostolo dice: «Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini» (Col 3,23).
È interessante il fatto che questa esortazione si dirige a degli schiavi. Paolo sta parlando alla «famiglia», com’era concepita allora, e quindi parla alle mogli, ai mariti, ai figli (e, rispettivamente, ai genitori), e poi anche agli schiavi, che all’epoca erano considerati parte della famiglia, anche se come «proprietà» della famiglia stessa.
Nel mondo greco-romano antico, in quello che fu anche il mondo del primo cristianesimo, il lavoro (in particolare il lavoro manuale) era appunto il compito dello schiavo; l’ideale dell’uomo libero era quello di poter affidare il lavoro agli schiavi, per dedicarsi più all’attività diciamo «spirituale» o «intellettuale» – poi è chiaro che questo se lo potevano permettere in pochi, e la maggior parte della gente di fatto doveva poi cercare di lavorare con le proprie mani.
E qui viene una delle prime novità portate dal cristianesimo: proprio l’idea che non ci sia niente di male, anzi, nel «lavorare con le proprie mani»: del resto, l’ha fatto il Signore stesso, l’ha fatto il suo padre in questo mondo, Giuseppe; l’ha fatto lo stesso Paolo che, con Aquila e Priscilla, fabbricava tende (cf. At 18,3)…
Il lavoro, compreso quello manuale, non è per nulla estraneo al disegno di Dio per l’uomo e per il mondo; e persino il lavoro di uno schiavo può assumere un volto nuovo se, come dice Paolo, si lavora per Dio, e non semplicemente per l’uomo.
Traducendo più letteralmente il versetto che ho già citato, potremmo leggere così: «Qualunque cosa facciate, lavorate di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini». «Lavorare per il Signore» è un’espressione che qualche volta troviamo applicata all’impegno apostolico, al lavoro per la comunità cristiana; nel vangelo di Giovanni, questo verbo «lavorare» è usato addirittura per indicare l’opera di Gesù in quanto inviato dal Padre.
Ma qui Paolo sta parlando certamente del lavoro quotidiano: ma sta appunto dicendo che anche questo lavoro può essere fatto «per il Signore», ossia vissuto dentro l’orizzonte di vita piena che il Vangelo offre all’uomo. Per questo, quando poi Paolo arrivare a dire: «Servite il Signore, che è Cristo!» (v. 24), invita a leggere in modo nuovo non solo il lavoro, ma anche la stessa condizione degli schiavi; arriva a dire, insomma: vivendo in questo modo il vostro lavoro, «voi siete servi di Cristo»: che è precisamente la condizione che Paolo pensa anche per sé stesso, in quanto apostolo (cf. Rm 1,1).
Ed è appunto così che la fede cristiana ha contribuito, nei secoli – e certo anche con non poche fatiche e resistenze – al superamento della schiavitù e a una comprensione del lavoro sempre più conforme con la dignità dell’uomo e di una società veramente rispettosa di questa dignità e del bene comune.
In definitiva, il primo e principale contributo che, come cristiani, possiamo ancora oggi dare alla società, anche nella sua ricerca di condizioni di lavoro sempre più dignitose, sicure, stabili, retribuite giustamente ecc., è quello di vivere il nostro lavoro in questa logica, per la quale Gesù Cristo, e il mondo rinnovato dal Regno di Dio che egli annuncia, non è estraneo a ciò che siamo chiamati a fare giorno per giorno.
Il Vangelo non ci dà soluzioni «pronte all’uso», per affrontare i problemi odierni; ma ci inserisce in un orizzonte positivo, che ci rende poi capaci di fare quel che possiamo per affrontare con impegno quei problemi.
Chiediamo per noi questa grazia, mentre affidiamo all’intercessione di san Giuseppe la ricerca incessante di un mondo nel quale il lavoro contribuisca alla dignità di ogni uomo e donna e alla crescita di un mondo in sintonia con il disegno d’amore (cf. Ef 1,5) che Dio ha da sempre voluto per noi in Cristo.