Inizio del ministero dei parroci della Cattedrale – SS. Trinità – Omelia

Omelia per l’inizio del ministero di parroci dell’Unità pastorale di S. Maria Assunta – Cattedrale e della SS. Trinità di don Remo Tedoldi e don Angelo Frassi – Cattedrale di Crema, 6 ottobre 2018

«Non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2, 18), constata Dio, il Creatore, dopo che – secondo l’immagine biblica – come un artista ha plasmato l’uomo e gli ha dato il suo soffio vitale. Non è bene che l’uomo sia solo, ma per colmare questa solitudine non basta Dio, che pure dona all’uomo la sua amicizia, e neppure bastano quelle creature rispetto alle quali l’uomo si comporta come un padrone («dare il nome» agli esseri viventi è un modo per esprimere la superiorità, il dominio o almeno un controllo su di essi). Non è dominando, dunque, che si esce dalla solitudine. L’uomo riconoscerà nella donna la compagnia giusta, la creatura simile a lui, che gli permette di superare la solitudine.
Per arrivare a questo, però, dovrà abbandonarsi totalmente a Dio (questo significa il sonno profondo, una specie di anestesia totale, nel quale Dio la fa cadere) e rinunciare a una parte di sé (la famosa «costola», che è piuttosto un «lato» dell’uomo). L’uomo, insomma, deve rinunciare a essere da solo il «tutto»: la totalità dell’uomo c’è soltanto nella relazione con l’altro che gli è simile.
Possiamo capire perché la questione del rapporto tra l’uomo e la donna, e anche la questione dei modi giusti in cui questo rapporto si può realizzare, è così importante. Se a Gesù sta a cuore questo legame nel matrimonio, al punto da stabilire: «L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto» (cf. Mc 10, 9), è perché qui si gioca qualcosa di decisivo, appunto ciò che è bene o male per l’uomo e per il suo destino. «Non è bene che l’uomo sia solo»: la realtà del matrimonio e della famiglia ce lo ricorda, e se da cristiani vogliamo sostenere e custodire questa realtà, è perché in essa ne va del bene complessivo dell’umanità, secondo il disegno di Dio.

Ma il «non è bene che l’uomo sia solo» non vale soltanto della famiglia: questa parola di Dio dice la vocazione dell’umanità nelle sue più diverse situazioni; dice che la vocazione dell’uomo è la comunione: la comunione con Dio, con i fratelli e le sorelle in umanità, con tutte le creature. Questa della comunione è la sfida che si presenta fin dall’inizio per l’umanità, ed è tutta la vocazione e la missione della Chiesa.
All’inizio del grande documento sulla Chiesa, promulgato dal concilio Vaticano II nel 1964, la Lumen gentium, il concilio affermava solennemente che la Chiesa è «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1). La Chiesa, insomma, è lo strumento di cui Dio si serve per condurre l’umanità alla comunione, all’uscita dalla solitudine, che è mortale. Ma la Chiesa può essere strumento di comunione per il mondo solo se ne è anche segno: se, cioè, vive la comunione, che è dono di Dio, al suo interno, cerca di realizzarla nella sua vita quotidiana.
Per fare questo non c’è altra via, se non quella indicata già fin dall’inizio dalla Scrittura, e che Gesù riprende, quando dice: «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola» (Mc 10, 7~s.; cf. Gen 2, 24). Penso che si possa dire così: perché ci sia comunione («una carne sola», cioè una solo essere), l’uomo deve uscire da sé («lasciare il padre e la madre») e andare verso l’altro. Ma questa «uscita da sé» – che, naturalmente, vale anche per la donna: vale per tutti – non è mai del tutto indolore. Dietro c’è, né più né meno, la Croce di Cristo: perché le solitudini, le chiusure individualistiche, vengono dai nostri peccati e dal Maligno; la comunione, la riconciliazione, l’umanità riportata alla pace, vengono dalla Croce di Gesù Cristo, che ci ha riconciliati con Dio e ha tolto i muri di divisione che separavano gli uni dagli altri (cf. Ef 2, 13-18).
In ogni passo che, con l’aiuto di Dio, cerchiamo di fare verso la comunione e l’incontro tra di noi e con gli altri, è in gioco niente di meno che tutto questo: mi sembra importante ricordarlo.

Tanto più lo è nel contesto che stiamo vivendo qui, questa sera: perché, per le due comunità parrocchiali di S. Maria Assunta nella Cattedrale, e della SS.ma Trinità, e per i sacerdoti chiamati ad accompagnarle e guidarle, si tratta proprio di un invito, della sfida, anzi, a vivere la comunione. E ogni volta che mi viene espresso qualche timore, ogni volta che mi si chiede: ce la faremo, ce la faranno?, non posso che pensare (e dire): il Signore ha dato la vita, per questo! – e nell’Eucaristia continua a darci il sacramento dell’unità, che fa di noi un solo Corpo e ci rende capaci di vivere e testimoniare questa comunione.
Non voglio farla troppo facile, sia chiaro: per questo dico sempre che dobbiamo avere la pazienza dei piccoli passi che, poco alla volta, aiuteranno le due comunità parrocchiali a far incontrare in un cammino condiviso le ricchezze della loro storia bella e illustre. La sfida della comunione, l’impegno a uscire da sé per camminare con gli altri, non è mai stato facile, fin dall’inizio della Chiesa: ma si può incominciare ad ascoltarsi, a conoscersi, a condividere qualcosa dei rispettivi cammini, avendo sempre questa convinzione: la comunione la costruisce Dio, prima di tutto; ma è anche una grossa responsabilità affidata a ciascuno di noi, perché in essa ne va né più né meno che della vocazione dell’umanità secondo il disegno di Dio.
E a voi, carissimi don Remo e don Angelo, è affidato il compito e l’impegno di essere, nell’unità pastorale, i primi artefici e servitori di questo cammino. Vi sono affidati il dono e il compito di testimoniare la comunione tra di voi, nel servizio condiviso a questa unità pastorale. Questa condivisione, come è stato ricordato anche nel Decreto di nomina, è espressa nella formula dei parroci ‘in solido’, cioè solidali nel ministero, anche se con ruoli in parte diversi: quello di parroco «moderatore», affidato a don Remo, e quello di parroco appunto «in solido», affidato a don Angelo.
Anche qui, qualcuno si chiede: funzionerà, questa modalità di condivisione, prevista dal diritto canonico, ma non abituale, nella nostra prassi? La risposta non è scritta nei canoni del emph{Codice di diritto canonico}, ma è da scrivere nella ricerca paziente delle modalità con le quali vivere la comunione tra preti e con il resto del popolo di Dio. Conosciamo bene il fatto che, secondo il Vangelo, Gesù inviò i discepoli a due a due, probabilmente senza stare a fare tante nomine: immagino che anche questi discepoli abbiano dovuto cercare con pazienza e reciproca disponibilità i modi concreti per condividere la missione ricevuta, così da essere segno e strumento di comunione anche per le loro comunità.
In un mondo molto segnato dalla competizione e dalla litigiosità, siamo chiamati a testimoniare qualcosa di diverso, la novità che viene dal Vangelo. Sono convinto che farete tutto il possibile, con l’aiuto di Dio, per dare questa testimonianza di comunione e, da parte mia vi assicuro – come già vi ho detto anche personalmente – tutto il sostegno che posso darvi, con la preghiera anzitutto, ma anche con ogni altra forma di aiuto.
«Non è bene che l’uomo sia solo», e Dio chiama tutti a salvezza non nella solitudine egoistica dei singoli e neppure dei gruppi chiusi su se stessi, ma nella faticosa, impegnativa e bella disponibilità a vivere la comunione che Cristo ci ha ottenuto con la sua Croce. Mi auguro, e vi auguro, che le comunità di S. Maria Assunta e della SS.ma Trinità, sotto la guida di don Remo e don Angelo, possano essere sempre più un segno bello e gioioso di questa chiamata alla comunione anche per questa nostra città di Crema e per tutta la Chiesa diocesana.

La Beata Vergine del Rosario, che preghiamo in modo speciale in questi giorni, vi accompagni con la sua intercessione e la sua protezione.