Nella chiesa parrocchiale di Offanengo, venerdì 21 maggio 2021 il vescovo ha presieduto l’Eucaristia di suffragio e di commiato di don Paolo Ponzini, morto improvvisamente il 19 maggio 2021. Riportiamo l’omelia del vescovo.
È una parola importante, quella che Gesù dice a Pietro, dopo la triplice domanda e risposta che conferma il discepolo nell’amore per il Maestro: «In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv 21,18). Parola importante, perché introdotta da quel doppio amen, tradatto con «in verità, in verità io ti dico…»: ma forse ci piace pensare che quel tendere le mani, perché un altro ci vesta e ci porti dove da soli non vorremmo andare, si presenti poco alla volta, a piccoli passi, nella nostra vita.
Per don Paolo non è stato così. Questa parola si è realizzata per lui all’improvviso, nel cuore della notte. Non sappiamo bene come e perché, da un punto di vista umano: ma, da credenti, non possiamo non pensare che il Signore stesso abbia preso don Paolo per mano, e lo abbia vestito per condurlo all’incontro ultimo con Sé. Nel cuore della notte, don Paolo si è sentito dire ancora una volta dal Signore – non sappiamo come – il suo: «Vieni, seguimi!» (cf. v. 19). E don Paolo ancora una volta, per l’ultima volta (ma questa era anche la volta decisiva, quella che riassumeva tutta la sua vita), ha fatto quel che sempre ha cercato di fare nella sua vita: dire di sì al Signore, seguirne la chiamata, andare con lui e da lui.
Aveva incominciato a farlo da bambino e da ragazzo, introdotto alla fede dalla famiglia contadina di origine, nella quale era nato, qui, a Offanengo, nel 1942, specialmente grazie alla mamma che poi, rimasta vedova, l’ha accompagnato per molti anni nel suo ministero di prete.
Ha continuato a seguire il Signore riconoscendo e accogliendo la vocazione al ministero presbiterale, attraverso la condivisione della vita di questa parrocchia di Offanengo, che è stata così ricca di vocazioni al ministero presbiterale, alla missione, alla vita consacrata, e compiendo poi il cammino di formazione in Seminario.
Ordinato prete nel 1968, don Paolo si è sentito dire più volte, dal Signore, «seguimi», accogliendo i diversi incarichi di ministero che gli sono stati via via affidati: nelle parrocchie, anzitutto (da viceparroco a Bagnolo Cremasco – dove ha lasciato un segno profondo, come mi ha testimoniato tra gli altri don Giovanni Viviani, che da Roma si unisce a questa nostra celebrazione di suffragio –, e poi da parroco, a Capralba e a Trescore); ma anche per la diocesi, specialmente come Presidente dell’Istituto diocesano sostentamento clero e come responsabile dell’assistenza ai preti malati e anziani.
E la sua risposta al richiamo del Signore Gesù continuava giorno per giorno, come canonico della Cattedrale, fedelissimo all’ufficiatura quotidiana – dove io l’ho visto e salutato ancora martedì scorso, certo senza minimamente immaginare che sarebbe stata l’ultima volta –, sia nella collaborazione pastorale all’Unità pastorale di San Benedetto e San Pietro a Crema.
Seguendo il Signore in questo modo, don Paolo non dev’essere rimasto sorpreso dell’ultima improvvisa chiamata, giunta nel cuore della notte; e mi piace immaginare che sia andato dietro al Signore Gesù con semplicità e fiducia, con animo e volto sorridente, in pace, come il suo atteggiamento abituale lasciava trasparire.
Immagino che sarà capitato anche a lui, nell’una o nell’altra occasione della sua vita di prete, di ritrovarsi nei panni di Pietro, il discepolo generoso ma anche peccatore, bisognoso della misericordia del suo Signore: una misericordia che sa mettersi al passo di ciascuno, come suggeriscono le tre domande che Gesù rivolge a Pietro: e che permettono all’apostolo di sentire il dolore dei propri tradimenti ma, ciò nonostante, di poter continuare a dire a Gesù, con povertà ma con verità: «Signore, tu sai che ti voglio bene» (cf. Gv 21,17).
E merita di essere sottolineato il fatto che la «ricompensa», che il Signore consegna a Pietro per questo suo volergli bene, pur nella consapevolezza delle proprie fragilità e peccati, questa ricompensa è un compito: quello di guidare, sostenere, nutrire, prendersi cura del «gregge», di coloro che appartengono al Signore Gesù.
Qualche volta, forse, noi preti (e vescovi), specialmente nei momenti di maggiore stanchezza o delusione, rischiamo di pensare che il Signore, più che una ricompensa, ci abbia affidato un impegno difficile, a volte persino ingrato. Il vangelo ci ricorda qualcosa di diverso: sì, è un impegno, quello di prendersi cura del popolo che appartiene al Signore, e non è certo un impegno facile; ma è prima di tutto un dono, una grazia che ci viene fatta, perché anche noi possiamo partecipare in questo modo alla dedizione con la quale il Signore Gesù ama coloro che il Padre gli ha affidato, e per i quali offre la sua vita.
Mi sembra che don Paolo, per come ho potuto conoscerlo e per quanto ho potuto sentire di lui, abbia vissuto con animo mite e gioioso la sua condizione di prete e la responsabilità per i compiti che gli sono stati affidati, con umanità e semplicità, lieto di poter testimoniare quel «certo Gesù, morto, che Paolo [l’apostolo di cui il nostro don Paolo portava il nome] sosteneva essere vivo» (At 25,19) e di «volere bene» al suo Signore vivendo rapporti umani cordiali e sereni, attraverso i quali passava la verità del Vangelo che gli era stato affidato.
Come ci ricordano le parole di commento dell’evangelista Giovanni al dialogo tra Gesù e Pietro, il mistero pasquale ci assicura che anche la morte, per chi sta nell’amore di Dio, non è una perdita, ma l’ultimo e definitivo modo di «dare gloria a Dio» (cf. ancora Gv 21,19): di riconoscere, cioè, che veniamo da Lui, e a Lui torniamo, andando dietro al suo Figlio nella via di un amore che si dona senza riserve, perché anche altri possono conoscere questo amore ed esservi attirati, per raggiungere la fonte della vita vera.
Questo, credo, è stato il senso del ministero di don Paolo: e per questo siamo riconoscenti a Dio, sicuri nella fede che Egli, nella sua misericordia, accoglie ora questo suo servo, per renderlo partecipe in Cristo della risurrezione e della vita per sempre.