Il funerale di don Giuseppe Pedrinelli, cappellano della chiesa del Cimitero maggiore di Crema, deceduto il 2 novembre 2020, è stato celebrato nella chiesa parrocchiale di Casaletto Vaprio, suo paese natale, il 4 novembre successivo. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo Daniele.
Quando leggiamo parole di Gesù come quelle che abbiamo ascoltato adesso nel Vangelo, pensiamo forse che si adattano in modo particolare a chi – come un prete – ha accolto una vocazione speciale, ed effettivamente ha deciso di mettere l’amore per Gesù al di sopra di ogni altro affetto ed interesse, al di sopra dell’attaccamento a «padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle e perfino la propria vita» (cf. Lc 14,26).
Gesù, in realtà, dice queste cose a chiunque voglia essere suo discepolo: non fa sconti a nessuno, neppure quando dice, a chiunque voglia essere suo discepolo, che deve prendere su di sé la croce, e andare dietro a Lui. E sembra quasi che voglia piuttosto scoraggiare, che incoraggiare a seguirlo: anche quando, con due piccoli ma eloquenti esempi, invita a fare bene i conti, come chi voglia costruire una torre o intraprendere una battaglia. Come a dire: misura bene i mezzi che hai, misura bene le risorse che puoi mettere in campo, prima di ingaggiarti sulla strada del discepolato.
Se non che, l’ultima frase del vangelo di oggi rimescola di nuovo tutte le carte: «Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (v. 33).
Mi sembra che questa frase voglia dirci che, alla fine, non c’è nessun budget che tenga, nessun calcolo preliminare di risorse, economiche o umane, che possa darci garanzie sul nostro futuro di discepoli: sia che lo viviamo «nel mondo», sia che il Signore ci chiami su una via di particolare dedizione a lui e al suo popolo, come è stato per don Giuseppe.
Sempre più mi vado convincendo che siamo tutti mendicanti, davanti a Dio, di quel tanto di grazia che ogni giorno ci permette di rinnovare il nostro sì al Signore: non possiamo immagazzinare nulla, a questo proposito!
Certo, mi immagino che don Giuseppe, in quel lontano 6 luglio 1963 in cui fu ordinato prete, portasse nel cuore tutta la gioia, i propositi carichi di entusiasmo e di gioia riconoscente verso Dio, che di solito accompagnano il giorno dell’ordinazione e della «prima Messa» di un prete. Ma avrà sperimentato anche lui, nei vari incarichi pastorali vissuti nella nostra Chiesa – il ministero, come curato, a Capralba e a Sergnano; i vent’anni abbondanti nei quali ha servito la parrocchia di S. Michele; il servizio di cappellano a Capergnanica; l’assistenza al Movimento apostolico ciechi; l’impegno al “Sovvenire”, cioè la promozione del sostentamento economico alla Chiesa; e poi, in questi ultimi quindici anni, la cappellania del Cimitero maggiore di Crema – che non è tanto sulle nostre riserve di entusiasmo e generosità, che possiamo contare; quanto sulla fedeltà di Dio, che si tratta di scoprire e accogliere giorno per giorno.
Nel cammino di ogni prete, e di ogni cristiano, credo, si scopre questa verità: davvero dobbiamo rinunciare ad ogni nostro avere, ad ogni pretesa di autosufficienza, perché la vita stessa, e la dedizione al ministero, pian piano ci spoglia di tutto, affinché sia il Signore Gesù a riempire tutto con la sua grazia.
La cappellania del Cimitero maggiore di Crema – come ricordavo, e come sappiamo bene, l’ultimo suo servizio pastorale, che ha portato avanti fin quasi all’ultimo, prima che il suo fisico, già provato da vari malanni, si arrendesse anche al Covid-19 – penso lo abbia aiutato a orientarsi in modo deciso verso ciò che dovrebbe attirare l’attenzione di tutti noi: il mistero del nostro ultimo viaggio, quel passaggio nel quale davvero dobbiamo abbandonare ogni nostro avere, e persino questa nostra vita terrena, per essere fino in fondo discepoli del Signore Gesù nel suo passaggio pasquale.
È significativo che questo passaggio si sia compiuto proprio nei giorni che erano per lui di massimo impegno, quando la Chiesa onora tutti i Santi e prega per tutti i fedeli defunti, e tanta gente entra nel cimitero per fare memoria dei propri cari defunti. Cappellano del cimitero, don Giuseppe ha aiutato tanti a far fronte al mistero della morte, ad aprire il cuore verso la speranza cristiana della vita eterna. Possiamo credere che avesse interiorizzato e fatto pienamente suo ciò che annunciava ad altri: il Vangelo della risurrezione e della vita.
Gli conceda Dio, anche per le nostre preghiere, di contemplare ora a viso aperto ciò che ha tante volte annunciato dall’altare, e di godere pienamente di quella bellezza che – a quanto mi è stato detto – gli piaceva anche trasferire nei quadri che, di tanto in tanto, amava dipingere. Possa ora contemplare il volto del Cristo risorto, e sentire la sua voce che gli dice: Vieni, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo Signore (cf. Mt 25,21).