Sono stati celebrati in Cattedrale, sabato 6 febbraio 2021, i funerali del canonico don Piero Galli, già economo della diocesi, deceduto il 4 febbraio all’età di 89 anni. Riportiamo di seguito l’omelia tenuta dal vescovo Daniele durante la celebrazione esequiale.
Come il più delle volte succede, la parola della Scrittura che la liturgia della Chiesa ci propone di giorno in giorno ci offre la chiave di lettura più adatta a comprendere, nella fede, gli eventi della nostra vita personale e di Chiesa: e così avviene anche oggi, nel momento in cui diamo il nostro ultimo saluto nella fede a don Piero e lo raccomandiamo a Dio, perché lo accolga nella pace e nella gioia del suo Regno e, purificandolo da ogni colpa che dovesse in lui restare per la fragilità della nostra umanità, gli apra le porte della vita eterna.
È vero: pensando a don Piero, al ministero da lui svolto nei diversi servizi alle comunità diocesane dove è stato mandato, soprattutto nei primi anni del suo sacerdozio (a Vaiano e poi nella parrocchia della Cattedrale), e poi in modo speciale agli oltre trent’anni del suo servizio alla diocesi, quale direttore dell’Ufficio amministrativo diocesano e poi quale Economo diocesano, mi vengono in mente altre parole evangeliche, quelle di Gesù a Pietro, che si leggono in un passo del vangelo di Luca: «Chi è dunque l’amministratore [in greco c’è proprio: l’economo!] fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi» (Lc 12,42-44).
La nostra fiducia, qui, oggi, è che il “padrone di casa” – il nostro Signore Gesù Cristo – abbia appunto trovato in don Piero l’economo fidato e prudente anche nell’amministrazione dei beni che la Chiesa utilizza per compiere la sua missione. E non sarebbe poco: considerando che la posizione di chi amministra le cose economiche, anche nella Chiesa, si espone facilmente alle critiche più diverse: e penso che anche don Piero abbia avuto la sua parte.
Ma guardando, come dicevo, alle letture di oggi, rimango colpito da un altro genere di amministrazione. Don Piero è stato per quasi trentacinque anni anche rettore del Santuario della Madonna delle Grazie: e, arrivando qui a Crema, ho sempre sentito parlare di questo Santuario come del luogo della misericordia, della riconciliazione, del perdono; un luogo, cioè, nel quale fare esperienza di quella compassione del Signore verso le folle, di cui ci ha parlato il vangelo di oggi (cf. Mc 6,34).
Don Piero non mi ha mai detto molto di questo suo ministero; mentre, soprattutto nei primi tempi nei quali ero qui, quando mi incrociava non perdeva l’occasione per darmi qualche lezione di economia diocesana (cosa di cui, peraltro, avevo molto bisogno!): specialmente quando, venendo ogni mattina a celebrare la Messa in Cattedrale, amava poi fermarsi a chiacchierare nel cortile della Curia.
Ma, alla luce del suo servizio al Santuario delle Grazie, voglio pensare che l’anima di tutto fosse anche per lui l’amministrazione della misericordia di Dio, della compassione del Signore per i peccatori o anche solo per le persone che sentivano e sentono il bisogno di affidarsi a Dio e alla protezione della Vergine Maria.
Mi piace pensare insomma che don Piero, guardando al suo e nostro Signore Gesù, a colui che la lettera agli Ebrei chiama «il Pastore grande delle pecore» (cf. Eb 13,20), abbia vissuto anche lui con il cuore di un vero pastore, segno sacramentale del buon Pastore: guardando cioè al popolo di Dio con compassione e misericordia, preoccupato di offrirgli anzitutto la Parola della vita, come fa Gesù con le folle; ma non dimenticando ciò che si legge poi subito dopo nel vangelo di Marco, e cioè che Gesù, con l’occhio attento anche alle necessità materiali di questa gente che lo segue, si preoccupa poi della loro fame e provvede a sfamare la folla con l’abbondanza dei pani e dei pesci (cf. Mc 6,35 e ss.).
Leggo in questa chiave anche l’attenzione di don Piero per le necessità dei poveri, la sua preoccupazione per chi, in anni di crisi e di trasformazione sociale, si trovava senza lavoro, il sostegno dato alla Caritas… Mi sembra di poter dire, per quanto ho potuto capire, che amministrando i beni della diocesi don Piero ha cercato di non trascurare l’ammonimento che abbiamo sentito nella prima lettura: «Non dimenticatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perché di tali sacrifici il Signore si compiace» (Eb 13,16).
Cosa farà ora don Piero, incontrando ora definitivamente il Signore Gesù? Farà con Lui, forse, ciò che faceva con me nel cortile della Curia; o, piuttosto, vorrà fare come gli apostoli, i quali, tornando dalla missione affidata loro dal Maestro, gli si riunirono intorno per riferirgli «tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato» (cf. Mc 6,30). Perché don Piero ha certo fatto tanto per la nostra Chiesa, nella sua lunga vita, e ne era anche fiero, e avrà molto da dire al Signore, a questo riguardo.
E voglio pensare che il Signore lo prenderà per mano per condurlo al riposo meritato, in piena comunione con lui, dandogli ristoro da tutte le sue fatiche, e anche dalla malattia, che ha segnato don Piero soprattutto in questi ultimi mesi, privandolo progressivamente di quell’autonomia alla quale teneva molto.
E sono sicuro che sotto lo sguardo di misericordia di Gesù Cristo, don Piero comprenderà ora che, certo, è importante «fare», e anzi «Fare presto. Fare tutto. Fare bene. Fare lietamente» (sono, ricordate, parole di san Paolo VI, nel suo Pensiero alla morte); ma più importante di tutto è l’abbandonarsi al Signore, lasciarsi raggiungere dalla sua misericordia, consegnarsi lietamente nelle sue mani, perché, più di ogni nostro «fare», per quanto importante e necessario, conta proprio lui, il Signore Gesù: perché di lui ogni prete vuole essere segno vivente, e solo consegnandosi nella fede e nell’abbandono definitivo a Lui, al «Pastore grande delle pecore», che «il Dio della pace ha ricondotto dai morti» (Eb 13,20), il ministero di un prete trova la sua realizzazione e il nostro desiderio di vita piena, di vita «eterna», giunge al suo compimento.