Funerale del M.o Pietro Pasquini – Omelia

Izano, 7 luglio 2019

 

Secondo la tradizione, Johan Sebastian Bach avrebbe composto la sua ultima opera per organo poco prima della morte, mentre era già cieco. Si tratta di un Preludio-Corale, che riprende ed elabora la melodia di un corale, tenendone presente il testo, che incomincia con le parole Vor deinen Thron tret ich hiermit (BWV 668), ossia «Davanti al tuo trono mi presento, o Dio…».
Curiosamente, il testo di questo corale era anzitutto una preghiera del mattino, che dice a un certo punto: «… col cuore e la bocca ti ringrazio, / Tu, o Dio, in questa ora del mattino, / Per ogni bene, virtù e grazia, / Ricevuti dalla mia anima». Perché siamo abituati a pensare alla morte come alla «sera della vita», e forse dimentichiamo troppo spesso che la fede cristiana guarda all’ora della morte non come a una conclusione, a un tramonto ma, piuttosto, come all’ora di una nascita, l’ultima nascita, potremmo dire, anch’essa dolorosa, come la prima, che ci dischiude le porte della vita piena e definitiva. Nella luce della fede, noi crediamo che anche il nostro fratello Pietro sia entrato nel mattino della vita piena. E riprendendo ancora le parole dell’ultimo corale di Bach, che forse lo stesso maestro Pasquini ha avuto occasione di eseguire all’organo, sentiamo echeggiare la sua preghiera in quest’ora di morte e di nascita:
«… tutto di me, / il mio ruolo [potremmo anche tradurre: la mia professione, forse anche: la mia missione di musicista…], i miei beni, l’onore, gli amici, l’anima e il corpo / Affido alla tua protezione… / Che io senta nel mio cuore il conforto, / Che, infine, si tramuti in gioia. / Liberami dal debito dei miei peccati, / E abbi pietà di me, servo tuo. / Accendi in me la fiamma della fede e della carità, / Dammi la speranza dell’altra vita. / Donami una fine beata, / Risvegliami nel Giudizio Universale, Signore, / Che al tuo cospetto eternamente io viva, / Che possa io vederti eternamente».

Con un titolo diverso, questo stesso corale è stato pubblicato in appendice all’Arte della fuga (cf. BWV 668a), l’ultimo grande capolavoro di Bach, in una delle sue prime edizioni – ad opera, si dice, del figlio Carl Philipp Emanuel, che avrebbe eseguito così una precisa volontà del padre. L’Arte della fuga rimase infatti incompiuta: e il corale vi fu pubblicato forse per dire che solo in questa preghiera l’ultima grande composizione bachiana poteva trovare un senso alla sua incompletezza.
Incompiuta ci sembra anche la vita del nostro fratello Pietro, che la malattia ci ha sottratto in così poco tempo e all’improvviso. Riusciamo più facilmente a trovare un senso alla morte di chi ci lascia «vecchio e sazio di giorni», come dice la Scrittura, anche se gli affetti ne rimangono feriti. È molto più difficile darci una ragione della morte che ci strappa via un amico, un fratello, un uomo che si è fatto molto apprezzare, a quanto ho potuto sentire, tanto per la sua arte quanto per la sua umanità. Una vita così interrotta ci sembra appunto come un’opera incompiuta, alla quale il genio avrebbe potuto aggiungere ancora chissà quali sviluppi.
Eppure, conosciamo opere incompiute che sono autentici capolavori. E nessuno dotato di buon senso si metterebbe lì a pensare di completare l’Arte della fuga o la Settima sinfonia di Schubert o la Pietà Rondanini di Michelangelo. Nella loro incompiutezza, queste opere dicono tutto quel che c’è da dire, portano il segno di una completezza che non si può ricondurre solo alle note sulla carta o al marmo perfettamente rifinito.
E ci suggeriscono, credo, anche un modo per guardare a ciò che a noi sembra indubbiamente un’opera incompiuta, la vita del nostro fratello Pietro. Il suo compimento sta certamente nelle mani di Dio: e la sua promessa, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura – «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21, 5) – ci assicura che nulla, di ciò che di buono, di bello, di arricchente e fecondo, noi abbiamo seminato in questa vita, andrà perduto: a tutto Dio darà il compimento vero e superiore a ogni nostra attesa. Al tempo stesso, quanti di voi hanno meglio conosciuto e avvicinato il nostro fratello Pietro potranno riconoscere anche i segni di quel capolavoro solo apparentemente incompiuto, che è stata la sua vita di uomo, di cristiano e di musicista.

Da ultimo, vorrei leggere questo nostro estremo saluto nella fede al M.° Pasquini alla luce del vangelo, e della missione che Gesù affida ai suoi discepoli – a tutti i discepoli, inviati a tutti i popoli (a questo allude il numero settantadue) – di annunciare la venuta e la presenza del Regno di Dio. L’efficacia di questo annuncio non si basa sui mezzi umani, e le parole di Gesù lo dicono chiaramente. Al tempo stesso, l’intera storia della Chiesa ci dice che questo annuncio ha saputo utilizzare tutti i migliori mezzi umani: e tra di essi, senz’altro, la musica.
Penso sempre con riconoscenza ai musicisti che mettono la loro arte a servizio della vita delle comunità cristiane, nei modi più semplici e umili, come può essere l’accompagnamento al canto, magari un po’ sgangherato, di una comunità parrocchiale, o in quelli più ricchi e sofisticati, di cui abbiamo tantissimi esempi. Essi diventano senz’altro, così, partecipi della missione di annuncio del vangelo. Ma ogni situazione, nella quale sappiamo dischiudere a noi e ai fratelli gli spazi di un’autentica bellezza, sono testimonianza resa al vangelo. San Tommaso d’Aquino dice che ogni verità, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo. Credo che lo stesso si debba dire per tutto ciò che possiamo seminare, di bene e di bellezza, nel nostro mondo.
Il Signore accolga, nella sua misericordia, ciò che anche il nostro fratello Pietro ha potuto fare per questa semina, nella sua vita troppo breve ai nostri occhi; e aiuti ciascuno di noi a fare lo stesso, perché ogni uomo abbia già in questa terra un anticipo della gioia e della pace del suo Regno, fino a quando ogni lacrima sarà asciugata dai nostri occhi, e non vi sia più «la morte né lutto né lamento né affanno», perché le cose di prima saranno passate, e Dio avrà reso nuove e definitivamente belle tutte le cose.