Esequie di Malvina Terenziani ved. Gianotti, mamma del vescovo Daniele

Mercoledì 14 aprile 2021 a Calerno, in provincia di Reggio Emilia, suo paese natale, il vescovo Daniele ha presieduto la celebrazione del funerale della sua mamma, sig.a Malvina Terenziani, ved. Gianotti, morta il 7 aprile all’età di 90 anni. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.

Tutto quel che c’è da dire, quando da credenti si dà l’ultimo saluto a una donna vissuta nella fede e in un’umanità semplice e piena – per me, per le mie sorelle e mio fratello, la mamma; per altri la sorella, la cognata, la suocera, la nonna, l’amica… – tutto sta rinchiuso, in definitiva, nelle parole di Gesù a Nicodemo, che abbiamo ascoltato all’inizio del vangelo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).
A questo amore di Dio – a questo amore pienamente rivelato nel dono del suo Figlio Gesù, fatto uomo per noi, che ha condiviso la nostra vita nella semplicità dei trent’anni di Nazaret, che è passato facendo del bene e annunciando il Regno di Dio, che ha amato i suoi fino alla pienezza, compiendo il cammino pasquale di morte e risurrezione… – a questo amore di Dio la mamma ha creduto, con grande semplicità, in tutta la sua vita; questo amore lo ha confessato e vissuto nella sua famiglia di origine, e poi in quella che ha costituito con il suo sposo Rino; e lo ha testimoniato nella vita di ogni giorno, trasmettendolo a noi suoi figli, ai nipoti, ai pronipoti, ma anche ad altri che hanno attraversato la sua lunga vita.
Ce lo ha trasmesso, soprattutto, facendo ogni giorno ciò che oggi viene richiamato quasi con uno slogan, diventato particolarmente importante nel contesto della pandemia che ancora condiziona pesantemente la nostra vita: e cioè prendendosi cura di noi e di altre persone, che la vita le ha fatto incontrare.
Noi figli l’abbiamo sperimentato, certo, fin dall’inizio della nostra vita, quando prendersi cura di noi era un compito reso impegnativo non solo dal fatto che eravamo piccoli, ma anche dal lavoro manuale faticoso, che la mamma condivideva con il papà nel caseificio. Ma anche altri e altre, anche al di fuori della famiglia, hanno sperimentato la capacità della mamma di prendersi cura di loro; un tratto che nelle sue modalità è certo cambiato nel corso del tempo, ma non è mai venuto meno – e posso testimoniare che fin sul letto di morte la mamma continuava a preoccuparsi delle condizioni di quanti le erano cari.
Attraverso questo «prendersi cura» degli altri, la mamma Malvina ha messo in pratica, in modo semplice e radicale, la conseguenza delle parole di Gesù che proclamano l’amore di Dio per noi e per il mondo: quella conseguenza che l’apostolo Giovanni, nella sua prima lettera, formula con una semplicità insormontabile: «Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,11).
Credo che la mamma, in tutta la sua vita, prendendosi cura di noi e di altri, abbia cercato di fare questo, e niente altro.  E credo che questa sia anche l’eredità che ci lascia: l’invito a prenderci cura gli uni degli altri, con amore, allargando certo lo sguardo al di là dei nostri piccoli orizzonti, ma senza perdere di vista chi, qui e ora, ha bisogno di noi.

Sono sicuro che la mamma per prima si giudicherebbe tutt’altro che perfetta, nella risposta che ha cercato di dare all’amore di Dio, attraverso il suo prendersi cura delle persone a lei affidate. Credo che lei per prima ci chieda ciò che santa Monica, poco prima di morire, domandava ai suoi figli (uno dei quali sarebbe diventato vescovo… e che vescovo!): «… solo questo vi chiedo, di ricordarvi di me presso l’altare del Signore, dovunque sarete» (S. Agostino, Confessioni, IX,11,27).
E siamo qui, appunto, presso l’altare del Signore, dove si celebra l’amore con il quale il Figlio di Dio ha dato la sua vita per noi, per ricordare a Lui, e raccomandarGli, la nostra sorella Malvina. Permettetemi di farlo prendendo ancora a prestito alcune delle parole usate da sant’Agostino per sua madre: «… “Dio del mio cuore”, accantonate per un istante le sue buone opere, per le quali gioiosamente ti rendo grazie, ora ti imploro per i peccati di mia madre; esaudiscimi per mezzo della medicina delle nostre ferite, che fu appesa al legno e seduta “alla tua destra intercede per noi”. So che mia madre agì sempre con misericordia e di cuore rimise i debiti ai suoi debitori: rimetti tu pure a lei i suoi debiti, se mai ne contrasse nei molti anni che seguirono l’acqua della salvezza. Rimettili, Signore, rimettili, ti prego, “non entrare in giudizio” contro di lei. Che “la misericordia trionfi della giustizia”, poiché la tua parola è veritiera e tu hai promesso misericordia ai misericordiosi» (Conf., IX,13,35).
Questa nostra preghiera è sostenuta ancora dalla parola di Gesù che abbiamo ascoltato nel Vangelo. Il Signore ci assicura che nulla andrà perduto, di ciò che è vissuto nella fede ed è posto nelle mani di Dio. Nulla andrà perduto, perché lui stesso, il Signore Gesù, è stato mandato dal Padre per compiere la sua volontà di salvezza, che tutto abbraccia e comprende: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6,39).
Ed è ciò che abbiamo celebrato nella Pasqua. La mamma ha vissuto la sua Settimana Santa nel letto dell’ospedale; ha potuto ricevere la Comunione pasquale; è stata chiamata da Dio nell’ora in cui – secondo il vangelo del giorno – il Signore risorto si fa riconoscere dai discepoli di Emmaus. Meglio di noi ha potuto intravvedere, negli ultimi giorni della sua vita, la promessa di speranza, di risurrezione e di vita, iscritta nei santi Segni, attraverso i quali celebriamo la Pasqua del Signore.
Sia Lui, ora, ad accoglierla nel suo regno e farla riposare nella pace e nella gioia, insieme con il suo sposo Rino e tutti i suoi cari defunti, fino a quando tutti avremo parte alla risurrezione e alla vita, nella Pasqua che non conoscerà tramonto.