Conferimento del ministero di accolito a A. E. Andronico – Omelia

Parrocchia di S. Bernardino, 9 maggio 2019

Qualunque sia stato il modo concreto in cui ciascuno di noi è giunto alla fede – e immagino che per la maggior parte di noi la strada sia stata quella dei primi elementi della fede appresi in famiglia, e poi la frequentazione della parrocchia e delle altre espressioni «ordinarie» della vita della Chiesa – di una cosa possiamo essere sicuri: è sempre stato Dio ad attirarci verso Gesù Cristo. Nessun itinerario umano è sufficiente a farci arrivare a Cristo per scoprire in lui la condizione della vita piena: perché è lui, appunto, il pane della vita, come è lui la luce del mondo, è lui che dona l’acqua viva, è lui la vite vera e il buon Pastore che conduce i suoi alle sorgenti della vita.
Per questo è così importante essere attirati a Lui: ma, come appunto abbiamo sentito dire da Gesù stesso, nessuno può arrivare a Lui, se non è il Padre ad attirarlo. E, di sicuro, l’azione del Padre non è mai violenta, non è mai menzognera, non cerca la seduzione ingannevole, il ricatto o la costrizione.
Già il profeta Geremia aveva indicato il modo particolare, con il quale Dio attira a sé il suo popolo: «Con amore eterno ti ho amato, perciò ti ho attirato nella mia misericordia» (Ger 31, 3 [greco]). Dio attira a sé con «legami d’amore» (cf. Os 11, 4), con legami che sono al tempo stesso fonte di libertà per l’uomo peccatore e di adesione piena all’amore che salva.
Se siamo credenti, discepoli e amici di Gesù Cristo, è prima di tutto perché Dio ci ha attirati, e continua ad attirarci a Lui, per renderci partecipi del suo desiderio di vita piena. E questa è anche l’unica possibile ragione che spinge i discepoli di Gesù a diventare missionari. Tutto nasce dal riconoscimento del grande dono, che Dio ci ha fatto, attirandoci verso Gesù Cristo e verso il suo Vangelo. Si tratta semplicemente di testimoniare a chiunque che, al desiderio di vita, di pienezza, di pace e di gioia, che si trova nel cuore dell’uomo, Dio risponde attirando verso Gesù Cristo.
Colpisce, nella prima lettura, il modo in cui Dio attira a Cristo questo personaggio: un funzionario di corte, quindi persona importante, ma che per la sua condizione è anche un uomo ferito, lacerato; e forse per questo sente particolarmente vicine a sé le parole che descrivono la condizione del «servo del Signore», di cui parla Isaia: «Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca… Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita» (At 8, 32 s.).
Gli serve allora qualcuno che lo aiuti a trovare la risposta a questa lacerazione: e la risposta gliela dà Dio, portandolo all’incontro con Cristo, facendogli scoprire che appunto Cristo partecipa di quella lacerazione, di quella ferita, e può farne il punto di passaggio, l’apertura verso la speranza e la gioia. Di tutto questo Filippo – uno dei «sette», ritenuti dalla tradizione «antenati» dei nostri diaconi – è semplicemente lo strumento. Strumento non passivo, non inerte, certo, ma vivo e responsabile, e pronto anzi a cogliere la situazione, a percepire la domanda, e a orientarla verso Gesù Cristo. Ma poi, con la stessa rapidità con la quale è comparso sulla strada dell’eunuco, Filippo sparisce, è chiamato altrove. Non ha attratto a sé l’Etiope, lo ha solo aiutato a scoprire che Dio lo attirava a Cristo, per dischiudergli in Lui la vita in pienezza.

Così, dunque, ogni discepolo, ogni cristiano, può diventare strumento dell’azione con cui il Padre continua ad attirare ogni uomo verso Cristo. E anche l’accoglienza di un ministero nella Chiesa, come può essere quello dell’accolitato e, in futuro, il ministero del diaconato, partecipa di questa stessa logica. Il ministro, chiunque sia e qualunque sia il grado o la forma del suo ministero, resta appunto un ministro, cioè un servitore.
Come Paolo ricorda ai Corinzi, tentati di attaccarsi all’uno o all’altro degli apostoli, anziché aderire pienamente a Cristo, «che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere» (1Cor 3, 5-7). È Dio che fa crescere, è Dio che attira al Figlio perché tutti abbiano la vita in lui.
Così anche il ministero che ricevi questa sera, carissimo Antonino, sta completamente dentro questa logica: ti rende sempre più strumento perché anche attraverso di te il Padre possa continuare ad attirare i suoi a Cristo.
In particolare, il ministero di accolito, che ti avvicina all’altare del Signore e ti rende ministro straordinario della Comunione, anche per i malati, ti rende strumento perché molti possano incontrare Cristo, pane vivo disceso dal cielo: e possano così, secondo la parola stessa di Gesù, mangiare di quel pane, che è la sua carne «per la vita del mondo» (Gv 6, 51).
Accogli tu, per primo, questo dono; lasciati attirare sempre più verso Cristo, pane vivo disceso dal cielo, per poter essere servo docile e generoso dell’azione del Padre, che a tutti i suoi figli vuol dare il Pane vero, il Pane che dura per la vita eterna.