Commemorazione della Passione del Signore – 7 aprile 2023

Il 7 aprile 2023, Venerdì santo, il vescovo Daniele ha presieduto in Cattedrale la solenne Azione liturgica di commemorazione della Passione del Signore. Riportiamo di seguito la sua omelia.

Fin dalle origini, la memoria dei cristiani a proposito della passione di Gesù ha conservato il ricordo di colui che fu costretto (così dice il vangelo di Marco: cf. 15,21) ad aiutare Gesù nel portare la croce verso il Calvario, e cioè Simone di Cirene; la sua figura è entrata anche nella tradizione della Via Crucis, nella quinta stazione.
Vi sarete forse accorti, oggi o in qualche altra occasione, che il vangelo di Giovanni non ne parla. Non solo: si ha la netta impressione che l’evangelista voglia sottolineare il fatto che proprio Gesù, e solo lui, porta la croce.
Riprendiamo il racconto un po’ più da vicino e con attenzione più stretta alle parole usate dall’evangelista, nel momento in cui Pilato consegna Gesù perché sia crocifisso: «Essi presero Gesù, ed egli, portando lui stesso la croce, uscì verso il luogo denominato ‘del cranio’, in ebraico Gòlgota» (Gv 19,17).
Come in altri punti del suo racconto, e del suo vangelo, Giovanni vuole ricordarci qualcosa di essenziale: è Gesù che ha in mano tutta l’azione, è lui che – mi si passi l’espressione – “comanda” tutto. Proprio lui, che è stato consegnato nelle mani degli empi, proprio lui che sembra trattato come un oggetto, come una cosa inservibile e che si butta via, proprio lui, in realtà, guida tutto ciò che sta avvenendo: è lui che porta la croce, è lui che esce verso il Calvario e si consegna alla morte.
È pur sempre un uomo che “patisce”, cioè che subisce ciò che gli altri gli fanno: le derisioni, gli oltraggi, le accuse ingiuste, le false testimonianze, le torture, gli schiaffi e tutto il resto, fino alla morte in croce… queste cose ci sono tutte, anche nel racconto di Giovanni.
Però il quarto evangelista ci tiene a orientare il nostro sguardo soprattutto in un’altra direzione; una direzione chiarita da una parola di Gesù, riportata diverse pagine prima della passione: «Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio» (10,17-18).
C’è un “comandamento”, che Gesù ha ricevuto: come ci ha ricordato anche l’autore della lettera agli Ebrei, nella seconda lettura, Gesù è colui che «pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì» (Eb 4,8). Era già Figlio, da sempre, e per questo da sempre in perfetta sintonia con la volontà del Padre: ma ha anche imparato a essere Figlio, nella sua esistenza umana, facendo dell’obbedienza al comandamento del Padre, della ricerca continua della sua volontà, il criterio di tutta la sua vita.
Ma questa obbedienza coincide, per Gesù, con la più grande libertà. Quando dice: «La vita, nessuno me la toglie: io la do da me stesso, perché ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo», afferma la sua piena libertà; libertà che consiste appunto nel poter disporre della sua vita, perché essa diventi vita donata. E tutto questo avviene soprattutto durante la Passione; e Giovanni ce lo dice proprio sottolineando che è Gesù a incamminarsi verso il Calvario, è lui a portare la croce.
La croce non sarebbe la stessa cosa, se fosse solo un supplizio subìto. Ma Gesù la trasforma nello strumento della vita che, in piena libertà e sovranità, si dona al Padre per la salvezza del mondo.
E allora non è importante, o non è la cosa più importante, il fatto che Gesù sia un prigioniero, un condannato, uno le cui mani vengono legate e poi inchiodate alla croce. Più forte di tutto questo è la sua libertà, di Figlio che vive nella piena comunione del Padre, di donare se stesso.
Noi, ci ricorda Giovanni, possiamo solo andargli dietro: non possiamo “aiutarlo”, in questo. Ma andandogli dietro, scopriamo che Gesù rende anche noi capaci di fare la stessa cosa, capaci di fare della nostra vita un dono di amore, e di trovare in questo la nostra piena libertà.
Padre Gigi Maccalli ci ha raccontato come, durante la sua prigionia nel deserto, è arrivato con l’aiuto di Dio a scoprire questo; a rendersi conto che le gambe, le braccia, potevano sì essere incatenate, ma il cuore no: il cuore restava libero, libero di amare, libero di donarsi, libero di perdonare, di pregare, di sperare…
Anche quando non siamo legati con catene materiali o di altro genere (come purtroppo accade ancora per molti, per troppi uomini e donne in tante parti del mondo), ci può capitare di sentirci prigionieri: di circostanze esterne di ogni genere, e anche a volte di noi stessi, dei nostri risentimenti, delle nostre rabbie, delle nostre rassegnazioni o disperazioni…
La Passione, che il Signore Gesù affronta donando Sé stesso, ci apre la strada di una vera libertà. Per chi si affida a Gesù, per chi segue la sua strada, per chi accoglie lo Spirito, che egli dona al mondo nel suo ultimo respiro sulla croce (cf. Gv 19,30), la strada del dono di sé nell’amore non è mai chiusa, mai bloccata: e questa è la strada della vera libertà.