Cattedrale di Crema, 2 novembre 2019
Ci sono esperienze ordinarie, persino banali, che probabilmente facciamo spesso nella nostra vita, e che per lo più sono per noi occasione solo di qualche fastidio marginale; ma sono esperienze che possono dischiudere un mondo e far riflettere sulle grandi domande della nostra vita: inclusa la domanda sulla morte, che rischia di essere sempre più emarginata e banalizzata.
Penso all’esperienza della perdita. Può essere, banalmente, la perdita di qualcosa, magari anche solo temporanea. Abbiamo appoggiato un oggetto da qualche parte, senza farci molto caso, e non lo troviamo più, abbiamo dimenticato dov’è che l’abbiamo messo pochi minuti prima. A me succede più spesso di quanto vorrei: e mi succede anche di irritarmi, o di innervosirmi, per la mia sbadataggine, e perché di quella cosa avrei proprio bisogno, in quel momento.
Non mi accade altrettanto spesso di pensare, in momenti come questi, alla parola di Gesù sulla donna che ha smarrito una moneta, e si mette a cercare dappertutto, e spazza tutta la casa, finché non abbia ritrovato la sua moneta (cf. Lc 15, 8). Ci vuole proprio Gesù, per guardare dentro a un’esperienza così banale, così semplice e cogliervi, addirittura, un’indicazione di ciò che più urge nel cuore di Dio: il desiderio che nessuno si perda, e la preoccupazione per ritrovare tutti, anche e soprattutto gli esclusi, i dimenticati, i «perduti», appunto.
Nella luce del Vangelo, un’esperienza banale come perdere qualcosa, e magari innervosirsi per questo, rimanerci male, sprecare del tempo per cercare di ritrovare ciò che abbiamo perduto, potrebbe aprirci gli occhi sul mistero di Dio stesso. Ci potrebbe aiutare a capire che se a noi sta a cuore ritrovare qualcosa di perduto, molto più sta a cuore a Dio che non si perda nessuna delle sue creature, nessuno dei suoi figli.
Certo, l’esperienza della perdita resta ancora sopportabile, finché si tratta della perdita di qualcosa, anche se è qualcosa a cui tenevamo, o di cui avevamo o abbiamo veramente bisogno. Le cose, dopo tutto, si possono rimpiazzare con relativa facilità. Non è lo stesso, evidentemente, con le persone. Abbiamo perduto una persona cara: è anche questo un modo per riferirci alla morte, a ciò che la morte introduce nella nostra vita. Non possiamo dir molto, evidentemente, della nostra stessa morte; ma sperimentiamo il pungiglione amaro della morte proprio quando perdiamo qualcuno che era importante per noi: un famigliare, un amico, un’amica… per non dire dell’esperienza straziante di un papà o di una mamma che perdono un figlio, una figlia…
Queste sono le perdite che lasciano il segno, le perdite che niente può rimpiazzare. Dovremmo riuscire a immaginare, per quanto possibile a noi, che per il cuore di Dio così è ogni perdita. Allora capiremmo anche meglio la parola di Gesù che abbiamo ascoltato nel vangelo: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6, 39).
Gesù sa di essere venuto per questo, per rispondere al desiderio di Dio che nessuno si perda. Permettetemi di illustrarlo con un piccolo esempio preso dall’attualità, perché sta girando molto, su internet, in queste ore, un breve filmato, che riprende un episodio avvenuto in questi giorni, mentre gli incendi stanno devastando la California. Si vede un cavallo, già tratto in salvo, che si accorge che la sua giumenta e il puledro sono ancora tra le fiamme; a questo punto sfugge ai suoi soccorritori, torna nel cuore dell’incendio a cercarli, li trova, sembra quasi incoraggiarli e spingerli verso una via di uscita, finché tutti e tre si ritrovano in salvo.
Prendiamo anche questo episodio come una piccola parabola, che ci dice ciò che ha fatto Gesù per noi. Gesù si è tuffato nel cuore dell’incendio, del pericolo mortale in cui era incappata l’umanità perduta, lontana da Dio; ha messo in gioco la sua vita, per rispondere al desiderio di Dio che nulla e nessuno andasse perduto. Solo che Gesù – lo sottolinea Paolo nella seconda lettura – lo ha fatto non soltanto per i suoi cari, ma lo ha fatto per noi, quando eravamo ancora «deboli… ancora peccatori… ancora nemici» (cf. Rm 5, 6-10)!
La speranza cristiana, anche la speranza di salvezza che noi abbiamo per i nostri cari che sono morti, si fonda su questo. Si fonda sulla preoccupazione di Dio che nulla vada perduto; si fonda sul fatto che Gesù ha dato la sua vita per noi, per tirarci fuori dalla fossa della perdizione, e perché tutta la nostra vita fosse in salvo, nello spazio di questo mondo, per entrare poi definitivamente nella gloria della risurrezione.
La preghiera per i nostri cari defunti, perché siano accolti pienamente nella luce e nella pace di Dio, è anche un modo per partecipare della preoccupazione di Dio che niente e nessuno vada perduto. Dovremmo solo chiedere la grazia di prendere parte a questo desiderio di Dio anche ogni giorno della nostra vita: per riuscire a guardare gli altri, e ogni creatura, con gli occhi di Dio e attraversati dal suo desiderio di salvezza per tutti.
E se ci dovesse capitare di angustiarci o di innervosirci perché abbiamo perso qualcosa, cerchiamo di pensare al cuore di Dio, di capire un po’ il suo desiderio che nessuno si perda e di adoperarci anche noi, nel nostro piccolo e con il suo aiuto, per la vita e la salvezza di coloro che Dio ama e vuole condurre alla vita eterna.