Commemorazione dei fedeli defunti (2018) – Omelia

Cattedrale di Crema, 2 novembre 2018

Quante volte accade ai cristiani, e in particolare agli ecclesiastici, come me, di parlare della «volontà di Dio»: come se fosse chiaro ed evidente che noi si possa sapere con facilità qual è la volontà di Dio; o, ancora di più e ancor peggio, come se fosse chiaro ed evidente che ciò che pensiamo e vogliamo noi corrisponde a ciò che vuole Dio. Come sappiamo fin troppo bene, si sono combattute anche delle guerre, al grido di «Dio lo vuole»…
E, tutto questo, senza prenderci la briga di andare a vedere almeno nelle parole di Gesù o degli apostoli che cosa possiamo chiamare «volontà di Dio». Se ci preoccupassimo di farlo, scopriremmo che il Signore ha delle parole molto chiare, per farci capire che cos’è la volontà di Dio – quella volontà che, in un passo del vangelo, Gesù chiama addirittura il «suo cibo» (cf. Gv 4, 34), dichiarando di essere venuto nel mondo precisamente per compiere questa volontà (cf. Eb 10, 5-10).

Nel vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù parla della volontà di Dio con due frasi che si integrano a vicenda: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6, 39); e poi ancora: «Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (v. 40).
Se proviamo a mettere insieme queste frasi, alla luce anche di tutto il vangelo di Giovanni, da cui sono tratte, credo che possiamo dire così: la volontà di Dio è che l’uomo viva, e viva per sempre; e questa volontà Dio, il Padre, la compie attraverso il Figlio Gesù, venuto nel mondo proprio per fare la volontà del Padre, e dunque per dare pienezza di vita all’uomo, per dargli «vita eterna».
Per fare questo, Gesù non ha esitato neppure a misurarsi con il mistero della morte, che ci sembra la contraddizione più forte con la volontà di vita eterna di Dio per l’uomo. Questa morte Gesù l’ha incontrata nel dolore dei legami spezzati, che ha visto nelle persone incontrate, ma anche in se stesso (di fronte alla morte dell’amico Lazzaro, Gesù piange, ci ricorda il vangelo di Giovanni); soprattutto, ha accettato di prenderla su di sé, e non una morte qualsiasi, ma una morte dolorosa e vergognosa, la morte di un crocifisso, di un maledetto da Dio e dagli uomini.

Come ha potuto compiere la volontà del Padre, la volontà di vita e di vita eterna, se è finito anche lui vittima della morte? Possiamo rispondere così: Gesù ha «disinnescato» la morte facendola diventare l’espressione piena del dono di sé, dell’amore che si dona senza risparmio, dell’amore più grande: dare la vita per i propri amici (cf. 15, 13). Addirittura, come scrive Paolo nella seconda lettura in un crescendo impressionante, Cristo è morto per noi mentre eravamo ancora deboli, ancora peccatori, ancora nemici (cf. Rm 5, 5-11)!
Per questo, la morte di Gesù è stata passaggio alla vita piena (cf. 13, 1) e primizia, anticipazione della risurrezione (cf. 1Cor 15, 20): sicché, possiamo dire, Gesù compie la volontà del Padre nel dono della sua vita per amore, dono che si rivela più forte della morte e portatore di vita per il mondo intero.
Penso che per un credente in Cristo, che si preoccupi di conoscere la volontà di Dio e di metterla in pratica, non ci sia altra via, se non quella indicata da Gesù. La volontà di Dio è che l’uomo viva: in una vita che conosce il passaggio della morte, ma che non per questo perde di significato, perché persino la morte, quando entra in un progetto di amore e di dono di sé, viene riscattata e diventa, secondo le parole di san Francesco, «nostra sorella morte», che ci accompagna alla pienezza della vita in Dio.

Naturalmente, ciò che era chiaro in Gesù Cristo, o anche in san Francesco, in noi è probabilmente più confuso. Ricordando e affidando al Signore i nostri cari defunti, noi affermiamo di nonsapere in quale modo, con quali sentimenti, con quali desideri e speranze o delusioni e paure ciascuno di loro ha affrontato il mistero della morte.
Ma il fatto che Gesù sia venuto e abbia dato la sua vita perché, secondo la volontà del Padre, nulla andasse perduto, ci consola e ci conforta. Nulla è andato perduto, in Dio, di ogni desiderio di bene, di ogni scintilla di amore, di ogni lotta autentica per la giustizia e la verità, o anche solo di ogni passo, piccolo o grande che sia stato, per vincere il proprio egoismo e aprirsi al dono dell’amore: nulla è andato perduto, neppure di quelle vite che ai nostri occhi limitati possono sembrare «inutili», perché nulla è inutile e vano, davanti a Dio.
E quanto a ciò che ci poteva essere, nei nostri fratelli e sorelle defunte – come, prima di tutto, in noi stessi –, di fragilità derivante dal peccato, di egoismo, di male in qualsiasi forma e misura, non sta a noi giudicarlo, ma solo a Dio, che conosce i cuori di tutti. Sia Dio, dunque – lui che ha mandato il suo Figlio nel mondo per dare all’uomo vita eterna – ad aprire lo spazio della sua misericordia ai defunti che oggi ricordiamo, perché tutti siano salvati e giungano alla vita eterna, che Gesù Cristo ci ha meritato.