Celebrazione per l’inizio del nuovo anno pastorale – 16 settembre 2022

Si è tenuta in Cattedrale, a Crema, il 16 settembre 2022, la celebrazione per l’inizio del nuovo anno pastorale della diocesi, con il mandato agli operatori pastorali. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo Daniele. Nella celebrazione è stato proclamato il testo del vangelo di Giovanni, 12,1-11.

I luoghi più caratteristici dei Vangeli hanno tutti qualcosa da dire ai cristiani, alla Chiesa: ciascuno di loro è come una sfaccettatura di un modo di abitare il mondo, di come il Figlio di Dio, per primo, e poi anche quelli che lo seguono nella fede, vogliono vivere: cercando di custodire prima di tutto la comunione con lui, il Signore e Cristo, che vuol essere fratello (cf. Gv 20,17) e amico (cf. 15,15); e, attraverso di Lui, la comunione col Padre, nell’unico Spirito.  Ma poi anche la comunione tra di loro, la comunione vicendevole: perché – l’abbiamo detto nel Salmo – «è bello e dolce che i fratelli vivano insieme» (Sal 133,1), e non vogliamo dimenticare che la testimonianza decisiva dei discepoli di Gesù è l’amore vicendevole (cf. 13,35); e, infine, la comunione con tutti, con quelli che a volte ci accade di chiamare «lontani», o che nulla sanno di Gesù Cristo e della sua Chiesa, e persino con quelli che la contestano o – in certe parti del mondo – la perseguitano: perché nei loro confronti vale la parola dell’apostolo: «Non rendete male per male né ingiuria per ingiuria, ma rispondete augurando il bene. A questo infatti siete stati chiamati da Dio per avere in eredità la sua benedizione» (1Pt 3,9).
Tra questi luoghi, carichi di memoria significativa, scegliamo per quest’anno, insieme con le altre Chiese che sono in Italia, la casa di Betania. Per il Vangelo di Giovanni, è la casa nella quale vivevano Marta, Maria e Lazzaro, gli amici del Signore Gesù, che aveva fatto della loro casa un luogo di sosta, un riferimento stabile per colui che «non aveva dove posare il capo» (cf. Lc 9,58). Gli altri vangeli ci danno qualche altro indizio; ma sembra chiaro, in ogni modo, che questo piccolo villaggio, distante da Gerusalemme meno di tre chilometri, fosse per Gesù un luogo importante, una tappa ricorrente.
Alla nostra Chiesa, che si avvia a riprendere a pieno ritmo la sua attività pastorale, la casa di Betania dice anzitutto che senza un tranquillo sostare in compagnia di Gesù, senza l’ascolto attento della sua parola (Maria che unge i piedi di Gesù ci è presentata, dal vangelo di Luca, come colei che siede in ascolto della sua parola; Marta, in entrambi i racconti, è invece la donna del servizio premuroso, ma anche affaccendato: cf. Lc 10,38-42); senza, dicevo, questa sosta e questo ascolto, la Chiesa rischia di vanificare tutta la sua operosità.
Chi elogia la Chiesa o, almeno, la rispetta riconoscendole la capacità di impegnarsi nei servizi della carità, nell’attenzione educativa, nella vicinanza ai malati e sofferenti in genere, si troverebbe in qualche difficoltà, se gli facessimo ascoltare il vangelo di questa sera. Penserebbe (con Giuda, ma anche con altri, discepoli compresi, secondo i vangeli: cf. Mc 14,4; Mt 26,8) al tempo della preghiera, dell’ascolto della Parola di Dio, della liturgia, dell’adorazione, del silenzio contemplativo… come a un tempo sprecato, come quel profumo di cui Maria cosparge i piedi di Gesù.
Facciamo fatica, oggi, a capire e a far capire il gesto di Maria. Ma una Chiesa che non riuscisse a esprimere il suo innamoramento per Gesù Cristo, una Chiesa che non fosse capace di distogliere lo sguardo (e anzitutto il proprio sguardo) da sé, per orientarlo su di Lui; una Chiesa incapace di far incontrare le persone con Gesù, sarebbe una Chiesa che sbaglia bersaglio, una Chiesa che non assomiglia più a Betania.
Poi, certo, lo stesso Signore ci dice: «I poveri li avete sempre con voi»; e, come ci ha insegnato Papa Francesco, questa frase non deve essere presa come una fosca previsione, ma come una promessa: il Signore dà alla Chiesa la certezza che potrà continuare sempre a essere Chiesa, perché avrà sempre con sé i poveri – e questo vuol anche dire: una Chiesa senza poveri, o anche una Chiesa che li serve, sì, che li aiuta, ma lasciandoli in definitiva sempre ai margini (ricordiamo la parola severa dell’apostolo Giacomo, al riguardo: cf. Gc 2,1-4), una Chiesa che li considera “destinatari” di carità, ma non cuore della sua stessa realtà, non è la Chiesa che Gesù Cristo ha voluto e vuole.
Figura di una Chiesa riunita intorno al suo Signore; figura di una Chiesa che gioisce perché avrà sempre, se lo vorrà, il modo di onorare e ospitare il povero, Betania è figura di una Chiesa – casa ospitale per Dio e per gli uomini. Il Figlio di Dio vi è accolto, ascoltato, onorato; ci sono le sue amiche e i suoi amici, che si aprono alla preghiera (cf. Gv 11,32) e maturano nella fede in lui (cf. 11,26-27); vi si vive la grazia dell’ascolto della Parola; vi si compiono i molti servizi, secondo una molteplicità di doni e ministeri, che dovremo cercare di valorizzare sempre meglio.
Ma c’è spazio per tutti: per chi è semplicemente curioso (chissà quali rivelazioni dall’al di là si aspettavano quelli che volevano vedere Lazzaro redivivo…: cf. 12,9); per chi capita occasionalmente; anche per chi protesta e critica (cf. 11,37)… Come ho già avuto modo di dire proprio qui, cinque anni fa, nel giorno del mio ingresso in diocesi, quando si leggeva il vangelo di Lazzaro risuscitato dai morti, tutto questo però «poco importa, se anzitutto noi, che ci diciamo credenti e discepoli di Gesù, rendiamo possibile l’incontro con Lui nelle dimensioni quotidiane dell’esistenza, convinti che se siamo amici suoi non è per nostro merito, ma per suo dono, e sapendo che questa amicizia è offerta anche ad altri ma, appunto, attraverso la nostra disponibilità all’amicizia e all’incontro» (D. Gianotti, Omelia, 2 aprile 2017).

In questo spirito ci disponiamo a riprendere a pieno ritmo la vita della nostra Chiesa e delle nostre comunità. Gli orientamenti di fondo restano quelli delineati a partire dall’Assemblea pastorale del 2018-19, e che avevo presentato nella lettera Un tesoro in vasi di creta. Nella lettera che ho scritto per quest’anno, e che vi consegnerò verso la fine della celebrazione, ho voluto piuttosto proporre alcuni tratti di “stile”, secondo i quali andare avanti; e li ho riassunti intorno a tre verbi, incontrare, abitare, visitare, che provano a raccogliere indicazioni e suggestioni ascoltate nei mesi scorsi, mentre, tra l’altro, vivevamo il cammino sinodale in comunione con le altre Chiese dell’Italia e del mondo.
Il terzo verbo, visitare, introduce poi la Visita pastorale, che incomincerò nei prossimi mesi, e che pure – me lo auguro – dovrebbe aiutare le nostre comunità a crescere secondo l’icona della casa di Betania.
Una casa, quella di Betania, nella quale dunque il Signore ha abitato volentieri: e sarebbe bello che la nostra Chiesa, e le nostre comunità cristiane, fossero come quella casa, un’abitazione gradita a Dio e agli uomini. Ma è una casa dalla quale il Signore anche si muove, si distacca: da Betania incomincia il suo ingresso a Gerusalemme (cf. Mc 11,1), e l’unzione che vi riceve «sei giorni prima della Pasqua» rimanda chiaramente ed esplicitamente al mistero della sua morte gloriosa.
La Chiesa di Betania è una Chiesa fedele al Signore nel suo cammino verso la Pasqua: che è il cammino dell’obbedienza piena di amore al Padre, e del dono di sé «fino alla pienezza» (cf. Gv 13,1), per la vita e la salvezza del mondo. Questa, e nessun’altra, è la strada che il Signore ci apre davanti, mentre ci dona lo Spirito perché possiamo percorrerla con dedizione, coraggio e gioia.
Preghiamo dunque gli uni per gli altri – come faremo anche tra poco, nella grande preghiera di intercessione – e sosteniamoci a vicenda, mentre continuiamo lietamente il nostro pellegrinaggio.