Solennità dell’Epifania del Signore 2020 – Omelia del vescovo Daniele

Cattedrale di Crema, 6 gennaio 2020

Anche se per noi può sembrare la cosa più ovvia che ci sia, è stata una sorpresa, per le prime generazioni cristiane, scoprire che il vangelo, l’annuncio di Gesù Cristo, era destinato a tutti.
I primi cristiani venivano dal popolo di Israele; riconoscevano in Gesù Cristo il Messia atteso, l’inviato promesso da Dio. Ma hanno incominciato abbastanza presto a rendersi che anche altri, al di fuori del loro popolo, erano attirati da Gesù.
Uno dei primi, ad accorgersi di questo, è stato Paolo: e da quando lo ha capito, ha dedicato tutto se stesso ad annunciare Gesù Cristo non solo agli ebrei, ma anche e soprattutto alle «genti» – come venivano chiamati appunto gli altri popoli, i «pagani». Per questo Paolo – l’abbiamo sentito nella seconda lettura – parla del «ministero della grazia di Dio a me affidato a vostro favore»: quel «vostro» indica appunto cristiani che venivano dalle «genti» perché (è sempre Paolo a dirlo) il grande «mistero» è questo: «che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità [s’intende, del popolo di Israele, erede delle promesse di Dio], a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo» (Ef 2, 6).
Lo ripeto: Paolo ha ben capito questo, e si è dedicato a questo «servizio» dell’annuncio del Vangelo alle genti; alla sua epoca, non tutti i cristiani lo hanno capito allo stesso tempo e con la sua profondità. Poco alla volta, però, hanno ripensato anche a ciò che già era accaduto durante la vita di Gesù: si sono ricordati che c’erano già stati episodi nei quali Gesù stesso era entrato a contatto con dei non ebrei, aveva ammirato la loro fede, il loro «desiderio di vangelo».
E la memoria cristiana ha custodito e tramandato il ricordo di episodi ancora più remoti, risalenti addirittura ai primi anni della vita di Gesù: come appunto la visita di questi misteriosi «magi» che, venendo dal lontano Oriente (forse dalla Persia), certamente non ebrei, sono stati condotti dalla stella fin davanti al presepio, hanno visto Gesù bambino con Maria sua madre, lo hanno adorato e gli hanno offerto i loro doni (cf. Mt 2, 1-12).
Questi sapienti, che venivano da così lontano, sono stati come l’avanguardia della «genti»: di coloro che, provenendo non solo da popoli lontani e diversi, ma anche dalle più differenti situazioni umane, culturali, religiose… avrebbero aderito a Gesù Cristo. In definitiva, i Magi sono anche i nostri antenati nella fede; in loro possiamo riconoscere il cammino che attraverso i tempi, nelle vicende storiche della fede di chi ci ha preceduto, ci ha fatti arrivare fino a Gesù Cristo.

Certo, potremmo dire: non noi ma, se mai, i nostri antenati di diversi secoli fa erano dei pagani che poi hanno accolto l’annuncio del Vangelo e lo hanno tramandato alle generazioni successive, fino a noi. Così noi siamo nati e cresciuti in un ambiente già cristiano, tutti probabilmente siamo stati battezzati da piccoli e abbiamo da sempre frequentato l’ambiente della Chiesa…
Ma se è così – ed è effettivamente così –, il racconto del viaggio dei Magi ci parla anche in un altro modo, forse un po’ più inquietante. Perché è successa questa cosa strana: che i Magi, per arrivare fin davanti a Gesù, si sono dovuti rivolgere alle persone religiose del loro tempo, appunto ai membri del popolo di Israele, alle autorità e alla gente di Gerusalemme, la città «santa». E noi ci imbattiamo in questo enigma: proprio le persone «religiose», proprio coloro che si vantavano di essere persone credenti e non pagani peccatori (cf. Gal 2, 15), proprio loro non sono stati capaci di arrivare a Gesù Cristo.
Per chi pensa di essere una persona religiosa, questa pagina di vangelo è molto inquietante. È inquietante appunto perché ci ricorda che si può essere persone religiose, si possono manovrare, per così dire, i segni e gli strumenti della religiosità, ma rimanendo lontani da Cristo, o addirittura diventando suoi avversari, come nel caso di Erode.
Era religioso Erode, che aveva fatto fare lavori grandiosi e magnifici di restauro e ampliamento del tempio di Gerusalemme, centro della vita religiosa del popolo di Israele; erano religiosi, supponiamo, gli abitanti di Gerusalemme, che vivevano all’ombra del tempio ed erano cittadini appunto della città scelta da Dio per mettervi la sua dimora; erano religiosi, non solo, ma anche competenti e preparati, i capi dei sacerdoti e gli scribi, capaci di prendere in mano la Bibbia e trovare subito la profezia riguardante il luogo di nascita del futuro Messia…
Eppure, nessuno di loro si è lasciato toccare dalla nascita di Gesù, nessuno ha pensato di accompagnare i Magi fino a Betlemme, nessuno si è chiesto se l’arrivo di questi personaggi fosse un segno, un appello di Dio, per uscire dal torpore, dall’abitudine religiosa, e lasciarsi raggiungere dalla novità, dalla sorpresa di Dio…
Sì, essere religiosi, essere addirittura «professionisti» di cose religiose – e naturalmente sento di dover dire queste cose prima di tutto a me, vescovo – non vuol dire automaticamente aver accolto Gesù Cristo, non vuol dire già senz’altro credere in lui e vivere secondo il suo vangelo.
Per questo anche noi, soprattutto noi che già ci diciamo credenti in Dio, cristiani, discepoli di Gesù, abbiamo sempre bisogno di rimetterci in cammino, come i Magi; abbiamo bisogno di tornare sempre davanti a Gesù Cristo, di riconoscerlo e adorarlo come il Signore della nostra vita; abbiamo bisogno di ricevere sempre da capo il suo dono di salvezza, chiedendo la grazia di viverlo poi nella nostra vita. Solo così potremo essere di aiuto, e non di ostacolo, anche per altri, che ancora oggi vedono la luce di una stella che li chiama a Gesù Cristo.
Per arrivare a lui, essi hanno bisogno di incontrare non semplicemente delle persone che compiono qualche pratica religiosa, ma uomini e donne che si sono lasciati trasformare dall’incontro con Gesù Cristo, e possono diventare, così, suoi testimoni.
Ci conceda il Signore di essere sempre come i Magi: cercatori instancabili di Dio, della sua presenza e novità sorprendente, della sua luce vivificante; per non essere come gli abitanti di Gerusalemme, persone religiose, ma impermeabili alle sorprese di Dio, incapaci di indicare con la vita e la parola Gesù Cristo, luce che illumina tutti i popoli.