S. Messa per il primo giorno dell’anno civile – Maria SS.ma Madre di Dio – Giornata per la pace

Cattedrale di Crema, 1 gennaio 2020

Un anno è finito, un anno nuovo è incominciato da poche ore. Nei giorni scorsi, giornali e altri mezzi di comunicazione hanno fatto ciò che si fa sempre, verso la fine dell’anno: e cioè un po’ di retrospettiva, uno sguardo sugli eventi più importanti che sono capitati, una scelta delle fotografie più eloquenti, i video più significativi o impressionanti o divertenti… E poi, naturalmente, le previsioni, i pronostici, i tentativi più o meno elaborati di dare indicazioni su che cosa ci aspetta, nei mesi che verranno.
E forse anche ciascuno di noi ha rifatto per sé questo esercizio, ha ripercorso le vicende che gli sono capitate durante l’anno, le cose che lo hanno interessato, le persone incontrate, gli avvenimenti belli o tristi che hanno segnato gli ultimi dodici mesi; e forse abbiamo fatto o ancora stiamo facendo progetti, stiamo mettendo in fila qualche proposito per il nuovo anno, pensiamo a scadenze, appuntamenti che ci aspettano…
Pensando a questo esercizio, collettivo e personale, mi chiedo: che cosa riusciamo a trattenere, ripercorrendo ciò che è stato, e provando ad anticipare ciò che sarà? Me lo chiedo col dubbio che tutto, o quasi, scivoli via molto rapidamente, come acqua che non possiamo afferrare, ci bagna per un po’, ma subito scappa via. Guardo a questo esercizio di ripensamento del passato e di sguardo verso ciò che deve arrivare con il dubbio che la nostra memoria sia corta, e che corta sia anche la nostra immaginazione del futuro: corta la memoria, corta la speranza, forse perché troppe cose incalzano, troppi eventi si susseguono, e non ci è dato il tempo, non tanto il tempo cronologico, ma il tempo interiore, per dare un senso a tutto questo.
Le letture bibliche sono un invito a fare in modo diverso questo esercizio di ricordo e di prospettiva, che ho provato a richiamare. Da una parte perché, come scrive Paolo ai Galati, si dà una «pienezza del tempo» (cf. Gal 4, 4), non c’è solo lo scorrere indifferenziato di tante cose che, in definitiva, si equivalgono. Si dà una «pienezza del tempo», si danno tempi ed eventi carichi di significato, e che orientano il resto del tempo. Per un credente, sono i tempi di Dio, di un Dio che non sta chiuso nella sua eternità immobile, ma sceglie di mettersi in gioco con la storia dell’uomo: ciò che accade, nel modo più completo, con la vicenda di Gesù, il Figlio che Dio ha mandato nel mondo.
Ma per cogliere la «pienezza del tempo», e per ritrovare il senso che questa pienezza dà a tutti gli altri momenti del nostro tempo, bisogna fare come Maria: lei che, dice il vangelo, «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19). Ciò che Maria fa non è una retrospettiva rapida e distratta degli avvenimenti, destinati inevitabilmente a essere superati da altri avvenimenti. Maria cerca un «centro», a partire dal quale si possa riconoscere il senso di tutto il resto. Nel linguaggio della Bibbia, questo centro è appunto il «cuore»: anche noi, del resto, conserviamo qualcosa di questo linguaggio, quando ad es. esprimiamo il bisogno di «andare al cuore» di una questione.
Maria fa questo: cerca di «andare al cuore» di ciò che sta vivendo, di ciò che le succede. Ma Maria sa che per fare questo ci vuole tempo, ci vuole pazienza, e ci vuole luce, discernimento… Il suo è l’atteggiamento della donna credente, che fa credito a Dio, cioè, e lascia che la sua luce arrivi, poco alla volta, a illuminare il senso della sua storia e di quella del suo Figlio.
Ci vuole tempo, ripeto. Prendiamo il titolo di «Madre di Dio», con il quale oggi la liturgia della Chiesa onora la Vergine Maria. A pensarci bene, è una cosa enorme, che una donna possa essere qualificata come «madre di Dio». È una cosa enorme, e anche esposta al rischio di ambiguità e fraintendimenti: per questo, ci sono voluti secoli – quattro secoli, per la precisione – perché nella Chiesa questo titolo venisse accolto e riconosciuto nella sua verità: per riconoscere pienamente, cioè, che quel figlio che Maria ha dato alla luce è lo stesso Figlio di Dio, che ha fatto sua la nostra umanità.

Questo esercizio – cercare di «andare al cuore» di quanto Dio opera nella storia e nella vita di ciascuno di noi – è essenziale per un credente; ma credo che sia necessario anche nella nostra vicenda umana, personale e comunitaria.
Ho parlato, prima, del rischio di avere una memoria corta e anche una speranza corta. ‘Memoria’ e ‘speranza’ sono due capisaldi del Messaggio scritto da papa Francesco per la 53ª Giornata per la pace, che si celebra oggi. Ne riprendo brevemente solo alcuni stralci, invitandovi poi a leggerlo per intero e a soffermarvi sulle vie che papa Francesco indica, per costruire un cammino di pace fondato su una speranza autentica: il dialogo, la riconciliazione, la conversione ecologica.
Parlando della memoria, il Papa richiama i «testimoni della memoria», citando l’esempio degli Hibakusha, i sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki: «Come loro molti, in ogni parte del mondo, offrono alle future generazioni il servizio imprescindibile della memoria, che va custodita non solo per non commettere di nuovo gli stessi errori o perché non vengano riproposti gli schemi illusori del passato, ma anche perché essa, frutto dell’esperienza, costituisca la radice e suggerisca la traccia per le presenti e le future scelte di pace.
Ancor più, la memoria è l’orizzonte della speranza: molte volte nel buio delle guerre e dei conflitti, il ricordo anche di un piccolo gesto di solidarietà ricevuta può ispirare scelte coraggiose e persino eroiche, può rimettere in moto nuove energie e riaccendere nuova speranza nei singoli e nelle comunità» (Messaggio, n. 2).
Credo che ogni persona, alla quale stia a cuore la vita buona del proprio paese e dell’umanità nel suo complesso, dovrebbe esercitarsi nel servizio di una memoria tenace e di una speranza di grande respiro. Ciascuno dovrebbe – dovremmo – meditare nel suo cuore ciò che accade, chiedere a Dio di comprenderne il senso, per essere testimoni di una memoria forte e aiutare a dischiudere uno sguardo di speranza, mettendo in atto gesti concreti, per costruire progetti di pace.
Dice ancora papa Francesco, nel suo Messaggio: «Il processo di pace è… un impegno che dura nel tempo. È un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta» (ivi).
La memoria solida, non superficiale, e l’affidamento a una speranza di ampio respiro, sono anche l’antidoto indispensabile di fronte al rischio della paura dell’altro, paura che è fonte di conflitti: «La guerra si nutre di perversione delle relazioni, di ambizioni egemoniche, di abusi di potere, di paura dell’altro e della differenza vista come ostacolo; e nello stesso tempo alimenta tutto questo» (Messaggio, 1).

Se ci prendiamo il tempo di meditare nel nostro cuore gli eventi di cui siamo testimoni e a volte protagonisti; se proviamo a guardare al futuro osando sperare la pace e la possibilità concreta di un modo diverso, più pieno e ricco, di vivere la nostra condizione umana, anche in mezzo a fatiche e tensioni, potremo avere giorni di benedizione, quali sono quelli promessi dalla liturgia che stiamo celebrando.
Per i cristiani, in particolare, memoria e speranza sono un esercizio quotidiano, radicato nella memoria del «tempo favorevole», quello di Gesù Cristo, mandato da Dio per la salvezza del mondo, e orientato alla speranza addirittura «più forte della morte», la speranza che Egli ci ha aperto con la sua Pasqua.

Concedici, o Signore, di vivere questo compito difficile e bello, che tu ci affidi, in ogni giorno dell’anno che ci sta davanti; e che per la tua misericordia «ogni persona, venendo in questo mondo, possa conoscere un’esistenza di pace e sviluppare pienamente la promessa d’amore e di vita che porta in sé» (Messaggio, 5).