Preghiera per il Paese e per il mondo del lavoro: omelia del vescovo Daniele

Venerdì 24 aprile 2020, a Crema nella chiesa di S. Giuseppe lavoratore alle Villette, si è tenuto un momento di preghiera per l’Italia, alla vigilia della festa nazionale del 25 aprile, e in vista della Giornata dei lavoratori del 1° maggio. La celebrazione è stata trasmessa in diretta streaming e per radio. Nel corso della preghiera sono state proposte le testimonianze di Raffaella Bianchessi e Gianni Risari. Poi il vescovo Daniele ha tenuto l’omelia che riportiamo di seguito.

 

«Voi, fratelli, non stancatevi di fare il bene» (2Ts 3, 13). Cominciamo da questa esortazione di Paolo, che abbiamo ascoltato proprio alla fine della lettura.
Abbiamo parlato molto di «curve», in queste settimane – mesi, ormai – dominati dall’emergenza CoViD-19: quelle dei contagiati, dei guariti, dei defunti… Mi chiedo se non ci sia una «curva» anche nell’impegno di «fare il bene». Una curva che, sotto la spinta della prima emergenza, è salita in alto, anche rapidamente: una curva di generosità, di corresponsabilità, di aiuto reciproco… Ne abbiamo avuti esempi belli, negli ospedali e nei luoghi di cura, prima di tutto, ma non solo.
Poi, inevitabilmente, la curva si appiattisce, e forse tende a scendere: fare il bene eroicamente, perseverare nella generosità, nella corresponsabilità, è difficile, quando i tempi si allungano e ci si trova in una situazione di incertezza. Già un paio di settimane fa, ad esempio, un giornalista scriveva che da noi la «fase 2» comincia provando a dare la colpa a qualcun altro; oppure, potremmo dire, comincia cercando di ricavare dall’emergenza il tornaconto politico proprio o della propria parte; comincia, o continua, con le accuse reciproche o il rimpallo delle responsabilità…
«Voi, fratelli, non stancatevi di fare il bene»: non stancatevi, non stanchiamoci (lo diciamo in particolare a chi ha avuto e ha responsabilità di governo e di amministrazione, in questa crisi; lo diciamo con ammirazione e riconoscenza anche per i tantissimi che hanno vissuto questa responsabilità non solo con correttezza e serietà, con spirito di vero servizio alle proprie comunità, ma anche con forte partecipazione umana ai momenti più drammatici), non stanchiamoci di fare il bene. Avremo bisogno di questa serietà e dedizione ancora per un bel po’, ed è inevitabile stancarsi; c’è il rischio di incupirsi, di incattivirsi anche nel «fare il bene». È questa l’espressione di Paolo: non fatevi un animo cattivo, duro, aspro, nel «fare il bene».
E, certo, perché questo sia possibile, perché la curva dell’impegno a fare il bene non si appiattisca o addirittura non discenda, occorre che l’impegno a «fare il bene» sia sostenuto da un contesto di fiducia, di pazienza, di responsabilità condivisa. Non si può chiedere ad alcuni di continuare a «fare il bene», se poi questo atteggiamento non attraversa la vita di tutti.

Sappiamo che abbiamo davanti ancora tempi difficili: non solo per contenere l’emergenza propriamente sanitaria – cosa sulla quale incominciamo forse ad avere speranze più solide – ma anche per fronteggiare le conseguenze dolorose dell’emergenza nella nostra vita sociale, lavorativa, economica…
Mi è stato chiesto, nei giorni scorsi, se a mio giudizio usciremo migliori da questa crisi. Ho risposto, lo confesso, un po’ pessimisticamente. Non do per scontato che ne usciremo migliori; certamente non è qualcosa di automatico. In queste settimane si è parlato di cambiamenti consistenti, che investono stili di vita, modelli produttivi, impostazioni economiche e via dicendo. Cambiare, cambiare sul serio, in tutti questi ambiti, richiede uno sforzo personale e collettivo gigantesco. E, come ricorda anche uno dei brani del Messaggio della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace per il 1° maggio, che abbiamo ascoltato, «in un mondo complesso come il nostro, il cambiamento non nasce con un atto d’imperio. Infatti, i rappresentanti delle istituzioni, anche quando sono animati dalle migliori intenzioni, si muovono in uno spazio pieno di limiti e vincoli e dipendono in modo cruciale da consenso e scelte dei cittadini e dai comportamenti delle imprese. Ciò vale per affrontare i problemi del tempo ordinario e quelli del tempo straordinario dove il successo del contenimento dell’epidemia passa attraverso la responsabilità sociale dei cittadini e i loro comportamenti».

Il cambiamento non sarà automatico, dunque, e non potrà derivare da imposizioni autoritarie. Il linguaggio della fede ha una sua parola, per parlare di cambiamento, ed è la parola conversione – parola che, guarda caso, è stata molto usata anche in queste settimane a proposito di produzioni industriali che sono state «convertite» per produrre materiali di cui avevamo estremo bisogno, come le mascherine…
Sì, l’emergenza sanitaria ci ha messo davanti qualcosa che di per sé stiamo dicendo da tempo: e cioè che c’è davvero bisogno di «convertirsi» anche a modelli nuovi di pensare l’economia, il lavoro, i rapporti sociali, il nostro modo di rapportarci con l’ambiente…

Da cristiani, possiamo dire che in questo impegno di conversione vogliamo starci, anzitutto a partire da noi stessi e dai nostri comportamenti quotidiani; non basterà lasciarci alle spalle ciò che abbiamo vissuto nelle settimane scorse, senza tentare di rifletterci su e di domandarci in che modo questo cambiamento forzato di abitudini può orientarci anche verso nuove scelte di vita.

Vogliamo starci come Chiesa, dentro questo impegno di cambiamento, cercando di farci più vicini a chi più ha patito e patisce le conseguenze drammatiche dell’emergenza. I dati diffusi dalla Caritas italiana in queste ultime ore ci mettono davanti a ciò che già si è visto nelle settimane scorse: e cioè che il virus colpisce sì «democraticamente», senza differenze; ma le differenze ci sono, eccome, per le sue conseguenze sul piano sociale, economico, lavorativo… Qualcuno, e non pochi, finisce per restare sempre più indietro, sempre più ai margini.
È anche per questo che, come hanno fatto o intendono fare altre diocesi, stiamo costituendo anche qui a Crema un fondo di solidarietà, con il quale venire incontro alle situazioni di maggiore necessità, soprattutto nell’ambito lavorativo. Non vogliamo, né possiamo, sostituirci alle misure che già sono state prese e lo saranno ancora a livello governativo, ma guardare a situazioni che rimangono più ai margini, che sfuggono agli aiuti pubblici, che sono magari a rischio di cadere vittima di usura e di sfruttamento da parte della malavita organizzata… e intervenire, come potremo, con le risorse che raccoglieremo dalla solidarietà di tanti, per offrire una sponda e aiutare chi più ne ha bisogno a rimettersi in strada.
Stiamo definendo le caratteristiche e i criteri di questo Fondo, e nel giro di pochi giorni lo presenteremo ufficialmente alla Diocesi e a tutta la nostra società cremasca.

Da cristiani, e come Chiesa, vogliamo starci, nella sfida di questo cambiamento, anche con un contributo di pensiero e di riflessione, guardando in modo speciale a questa nostra terra lombarda, così ricca di risorse di ogni genere, ma anche così provata da questa emergenza. Vogliamo starci in spirito di solidarietà con tutto il nostro Paese, che ricorda domani la conclusione di quella sfida drammatica che fu il secondo conflitto mondiale, e può fare memoria anche di quel sentimento concreto di solidarietà, che rese possibile la ricostruzione. E vogliamo starci senza dimenticare gli altri, quelli che sono venuti da fuori, e di cui ora rimpiangiamo la mancanza, perché senza il loro aiuto è ancora più difficile affrontare le sfide che abbiamo davanti: e così forse ci ricorderemo che solo una solidarietà globale è veramente all’altezza dei problemi che stiamo affrontando e che dovremo ancora affrontare.

Sì, il cambiamento è difficile, e tutt’altro che scontato. Una conversione vera, seria, non è mai a buon mercato. Da cristiani sappiamo però che essa non è prima di tutto una nostra preoccupazione, ma un invito e un dono di Dio. Lui ci chiama al cambiamento, perché anche nell’enorme difficoltà di quest’ora, il nostro mondo corrisponda di più al suo disegno d’amore, che ci ha rivelato in Cristo. E se ci chiama al cambiamento, ci dona anche, nel suo Spirito, la capacità di impegnarci a metterlo in atto, per il bene di tutti.
Per questo, questa sera, preghiamo e continueremo a pregare, perché con l’aiuto di Dio non ci stanchiamo mai di fare il bene.