Ordinazione diaconale di Enrico Gaffuri e Cristofer Vailati – Omelia del vescovo

Sabato 21 novembre 2020, in Cattedrale a Crema, per le mani del vescovo Daniele hanno ricevuto l’Ordine del diaconato, in vista del ministero presbiterale, i seminaristi Enrico Gaffuri e Cristofer Vailati. Riportiamo qui l’omelia del vescovo.

 

Nel giorno in cui la liturgia della Chiesa proclama e celebra la «regalità» di Gesù, la sua «signoria» universale, le parole di Paolo che abbiamo ascoltato nella seconda lettura parlano invece di «sottomissione».
Certo, è necessario che Cristo regni «finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte»; ma quando tutto sarà stato sottomesso a Cristo, quando il suo regno sarà finalmente compiuto, «anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15,25-28).
Questa è dunque la dinamica: Dio ha messo ogni cosa nelle mani del suo Figlio, lo ha costituito sovrano su ogni cosa, lo ha fatto «Re dell’universo»… ma per Gesù Cristo questa regalità significa la ri-consegna di tutto al Padre (cf. v. 24), senza nulla trattenere, e la piena sottomissione a Lui.
Il Figlio di Dio, per come lo abbiamo conosciuto guardando a Gesù, ai suoi gesti, alle sue parole, è colui che riceve tutto dal Padre, e tutto restituisce a lui; tutto, ma ormai pienamente trasfigurato secondo la volontà di Dio; tutto «sottomesso» non perché sia umiliato, calpestato, ma perché solo in questa sottomissione, che è ritorno alla sorgente, si compie la gloria, la verità, la bellezza di ogni creatura: si compie, cioè, ciò che Dio desidera da sempre per il mondo e per l’uomo: che tutto viva, e viva in pienezza, vivendo di Dio e per Dio.
Poiché il Padre ha messo tutto nelle mani del Figlio (ben sapendo che in quelle mani nulla diventerà mai rapina, possesso geloso: cf. Fil 2,6), ha fatto di lui anche il nostro giudice. Saremo misurati sulla misura del Figlio, sulla misura della sua radicale dedizione al Padre, del suo detto a Lui, perché in questo ogni creatura sia raccolta e riportata a Colui che solo è capace di farla vivere con verità. La consistenza della nostra vita, perché non sia perduta per sempre, dovrà essere niente meno che la consistenza di Gesù Cristo, il Figlio eterno di Dio, che ha voluto fare sua la nostra umanità.
Troppo complicato, troppo difficile? Ma la via ‘facile’ c’è: ed è appunto quella controintuitiva della sottomissione: la sottomissione del Figlio e la sottomissione al Figlio, il quale si lascia trovare non in alto, ma in basso; non sul trono regale della nostra povera immaginazione, ma nell’affamato, nell’assetato, nel carcerato, nel forestiero, nel malato…
Così Gesù Cristo, il re dei re e Signore dei Signori, sarà nostro giudice: perché lui ha scelto l’ultimo posto in un modo tale che – come amava ripetere il b. Charles de Foucauld – nessuno potrà toglierglielo, e ci chiede di andare a cercarlo lì, nella sua sottomissione radicale, come unica via per regnare nella vita.

Così, cari Cristofer e Enrico, sono tracciate anche le coordinate fondamentali del vostro diaconato e – ce lo auguriamo e lo chiediamo a Dio – del vostro futuro ministero presbiterale.
La parola chiave, che vi domando di portare via da questa vostra liturgia di ordinazione diaconale, è appunto la parola sottomissione. Parola scomoda, indubbiamente: ma se quando, con l’aiuto di Dio, avete scelto di aderire a Cristo, di conformarvi a lui, di lasciarvi attirare dalla sua chiamata fino al punto di rendervi disponibili a consacrare tutta la vostra vita a lui e ai fratelli, nella Chiesa (e di farlo, come direte pubblicamente tra poco, accogliendo anche la chiamata al celibato per il regno dei cieli), pensavate di fare una scelta comoda, evidentemente vi sbagliavate!
Vi chiedo, del resto, di sottomettervi a Colui che vi ha amato e ha dato se stesso per voi (cf. Gal 2,20), fino al punto di morire sulla croce; vi chiedo di sottomettervi alla «logica» paradossale del suo Regno, che – lo diremo tra poco con le parole della liturgia – è «regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace».
Vi chiedo di vivere il ministero che state per ricevere in quella sottomissione reciproca che, venendo proprio da Gesù Cristo, è (o dovrebbe essere) il criterio di vita di tutti i credenti, della Chiesa tutta e di ogni comunità cristiana: «Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri» (Ef 5,21) – o, se volete dirlo con una parola più vicina al ministero diaconale – «mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri» (Gal 5,13).
Vi chiedo, in particolare, di essere sottomessi alla presenza e alla chiamata del Signore che vi arriva attraverso i poveri.
Mi auguro, naturalmente, e vi auguro, che il nome di Gesù Cristo non si allontani mai dalla vostra vita, dalla vostra preghiera, e che cerchiate assiduamente l’incontro con lui nella preghiera, nella vita sacramentale, nell’ascolto della sua Parola, nell’adorazione… Ma se, malauguratamente, doveste qualche volta dimenticarvene, sapete dove lo potete ritrovare, perché lui stesso ce l’ha detto: «Avevo fame… avevo sete… ero nudo, forestiero, prigioniero, malato». E proprio in rapporto alla sua presenza nei poveri e bisognosi il vangelo di oggi parla di «diaconia»: «Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato… e non ti abbiamo servito?» (v. 44)!
Lì, dunque, il Signore si aspetta di incontrarvi e di essere lui il giudice del ministero al quale vi ha chiamato e che lui, nella sua misericordia sovrabbondante, renderà fecondo di molti frutti.