OMELIA NELL'ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI P. ALFREDO CREMONESI. 7 febbraio 2018

La visita della regina di Saba a Salomone, raccontata nella prima lettura (cf. 1Re 10,1-10), è uno dei non tantissimi episodi della storia di Israele che Gesù ricorda esplicitamente nei suoi insegnamenti. Lo ricorda in un contesto polemico, per contrapporre l’interesse e l’impegno di questa regina, che «venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone», all’atteggiamento dei contemporanei di Gesù, che chiedono a lui un segno e non si accorgono che proprio in lui «vi è uno più grande di Salomone» (cf. Mt 12, 42; Lc 11, 31).
Gli evangelisti – Matteo e Luca, in questo caso – che riferiscono queste parole di Gesù, lo fanno nell’orizzonte di una scoperta che ha lasciato stupiti e meravigliati i cristiani delle prime generazioni: essi hanno visto che il vangelo di Gesù, rivolto anzitutto a Israele, ha trovato ascolto più facilmente da parte dei «lontani», delle «genti», che non all’interno del popolo di Dio. E così la regina di Saba, come pure gli abitanti di Ninive che si convertirono alla predicazione di Giona (cf. Mt 12, 41-42), diventano l’anticipazione, la profezia di quei popoli che «da oriente a occidente» (cf. Mt 8, 11) sono stati chiamati da Dio ad accogliere la grazia del Vangelo.
Non fu per niente scontato, agli inizi del cristianesimo, scoprire che il Vangelo di Gesù era destinato a tutti: da allora a oggi, nondimeno, questa scoperta è ciò che mobilita il cuore e la mente, le energie e l’intera esistenza di chi, come padre Alfredo Cremonesi, si è dedicato alla missione. Così facendo, in risposta alla chiamata di Dio, egli ha incarnato nella sua situazione particolare ciò che deve stare a cuore a tutta la Chiesa e a ogni suo membro: perché – come spesso ricorda papa Francesco – ogni cristiano è «discepolo missionario» (cf. Evangelii gaudium 120), partecipe, nella varietà dei doni e delle chiamate, della missione affidata a tutta la Chiesa: testimoniare al mondo, anzitutto con la vita, la gioia e la bellezza del vangelo di Gesù.
 
Il libro dei Re riferisce queste parole rivolte dalla regina di Saba a Salomone: «Beati i tuoi uomini e beati questi tuoi servi, che stanno sempre alla tua presenza e ascoltano la tua sapienza!» (1Re 10, 8).
Se guardiamo a Gesù e, come lui stesso afferma, crediamo davvero che in lui vi è uno «più grande di Salomone», questa frase diventa particolarmente illuminante di ciò che stava al cuore della missione, così come p. Alfredo l’ha pensata e vissuta; e cioè, appunto, «stare sempre alla presenza» di Gesù e «ascoltare la sua sapienza».
Sappiamo quanto tempo p. Alfredo ha trascorso nella preghiera e nell’adorazione, cercando di riunire un’antica attrazione alla vita monastica con l’impegno missionario. Nella biografia di p. Cremonesi scritta da p. Piero Gheddo (che ricordiamo questa sera con riconoscenza, a poco più di un mese dalla morte, perché proprio lui ha attirato l’attenzione della nostra Chiesa cremasca su p. Cremonesi), è riportata, tra i molti altri testi, la citazione di una lettera, inviata a un confratello in un momento particolarmente difficile, nel 1946. P. Alfredo scriveva: «Non potendo fare altro, mi sono sfogato anch’io a fare più ore di adorazione notturna che mi è possibile». È un’affermazione sorprendente: ‘sfogarsi’ a fare quanta più adorazione notturna possibile!
Ma è proprio così, stando a lungo alla presenza del suo Signore e ascoltando la sua sapienza, che p. Alfredo ha posto le basi del suo impegno missionario e della testimonianza data fino all’effusione del sangue: perché la sapienza di Cristo non è altro che la misteriosa follia della croce, dove si impara che solo dando la vita per chi si ama – anzi, dando la vita nell’amore per quelli che sono «deboli, peccatori, nemici» (cf. Rm 5, 6-10) – si «guadagna», si salva veramente la vita.
 
Chiediamo anche per noi la grazia di lasciarci istruire da questa sapienza e, sull’esempio di p. Alfredo e sorretti dal dono di Dio che riceviamo anche in questa Eucaristia, di vivere con generosità