Omelia del vescovo Daniele per la solennità di S. Giuseppe – 19 marzo 2020

Nella serata del 19 marzo 2020, in Cattedrale ma a porte chiuse, per il perdurare dell’emergenza sanitaria, il vescovo Daniele, nel terzo anniversario dell’Ordinazione episcopale, ha presieduto la celebrazione dell’Eucaristia nella solennità di S. Giuseppe

 

Introduzione alla celebrazione

Ancora una volta, all’inizio di una Messa solenne, guardo questa Cattedrale vuota ma immaginandomela piena di tutto il nostro popolo: un popolo che è assente solo fisicamente, e non soltanto perché in molti, lo so, seguono questa celebrazione attraverso i mezzi di comunicazione; e li saluto con affetto e riconoscenza.
La nostra Cattedrale è piena di tutto il suo popolo, perché le fatiche e le prove che noi cristiani stiamo vivendo, inseriti pienamente dentro le fatiche di tutta la nostra società in questo momento difficile, possono essere e sono realmente sacrificio gradito a Dio: per il quale non contano i muri o i banchi pieni (che pure sono per noi un segno importante), ma uomini e donne che, ovunque si trovino, sanno camminare sulla via di Gesù Cristo con fede, speranza, e amore. In tanti lo stanno, lo state facendo, e vi sento qui, questa sera, in piena comunione con noi.
Non sono neppure presenti, come avevamo pensato in un primo tempo, i sacerdoti che quest’anno ricordano un anniversario particolare di ordinazione: sessant’anni (don Felice Agnelli e don Luciano Cappelli); quarant’anni (don Alberto Guerini e don Michele Nufi); venticinque anni (don Remo Tedoldi) e dieci anni (don Stefano Savoia).
Con loro abbiamo fatto la scelta di ridurre al minimo la presenza in Cattedrale, per uniformarci alle normative in atto; ma il loro ringraziamento a Dio è anche il nostro, in attesa fiduciosa di giorni migliori, nei quali esprimere con più visibile gioia la nostra gratitudine per il ministero ricevuto ed esercitato in tutti questi anni.
E disponiamo i nostri cuori all’ascolto della Parola e alla celebrazione dell’Eucaristia, mentre invochiamo su di noi, sulla nostra Chiesa e sui tempi che viviamo l’intercessione e l’aiuto di san Giuseppe, lo sposo della Vergine.

Omelia

Un anno fa avevamo celebrato la solennità di san Giuseppe nella gioia di una notizia arrivata a metà giornata: il riconoscimento del martirio del beato Alfredo Cremonesi. Il clima di quest’anno è radicalmente diverso, per le ragioni che ben sappiamo.
Nella vita personale, come nella vita di una famiglia, di un comunità, di un popolo, si alternano inevitabilmente gioie e dolori, speranze e delusioni, ansietà ed esultanze. Del resto – ricordate – sempre un anno fa, all’indomani della festa di san Giuseppe, i ragazzi della scuola Vailati hanno vissuto la loro terribile avventura sul pullman che doveva portarli dalla palestra alla scuola.
Scorrendo le pagine del vangelo, la vicenda di san Giuseppe, nel suo legame con la Vergine Maria e con il Signore Gesù, non ci appare molto diversa. La decisione di Giuseppe di accogliere in casa Maria in una situazione molto incresciosa, agli occhi dei più; e poi quel parto fuori casa, in situazione di precarietà, senza trovare un posto decente; poi la sorpresa della visita dei pastori che raccontano del canto degli angeli; l’emozione di entrare nel tempio con il bambino Gesù accolto dalle braccia e dalle parole luminose, ma anche inquietanti, di Simeone di Anna; e l’altra visita di quei sapienti, i magi, venuti da chissà dove per arrivare proprio ai piedi del Bambino… e subito dopo la fuga dalla violenza infanticida di Erode, l’esilio in Egitto; e poi, nel ritmo annuale della salita a Gerusalemme per la Pasqua, questo gesto di Gesù che crea inquietudine ai suoi genitori, che crea incomprensione («essi non compresero ciò che aveva detto loro»: Lc 2, 50)…
In tutte queste situazioni, Giuseppe è presente: con il suo silenzio (dal quale anche in questi giorni bisogna molto imparare, a cominciare da me, che ho speso molte parole…), con la prontezza della sua obbedienza a Dio, con la cura premurosa per il figlio e per la sposa che Dio gli aveva dato.
Giuseppe ci appare come quegli uomini di cui sentiamo il bisogno in momenti come quello che stiamo attraversando: un uomo che non si perde d’animo, che non si gingilla nelle chiacchiere, che porta dentro al cuore anche gli interrogativi angoscianti che possiamo immaginare (perché quella violenza contro i bambini? perché un figlio segno di contraddizione? perché questa distanza improvvisa che si crea tra Gesù e la sua famiglia terrena…), e intanto si dà da fare: fare spazio a Maria, una ragazza-madre agli occhi del mondo, nella propria casa; assoggettarsi a quell’assurdo censimento che gli chiede di andare fino a Betlemme; trovare un posto perché Maria possa partorire; la fuga precipitosa verso la salvezza, in Egitto…
Quante emergenze, anche nella vita di Giuseppe! E, sullo sfondo del suo silenzioso ma efficace darsi da fare, una cosa sola: la fede. Una fede che rimette tutto nella mani di Dio e, al tempo stesso, si rende operosa nella dedizione, nel servizio, nella premura.
Sia concessa anche a noi, per intercessione di san Giuseppe, una fede così, una fede che opera mediante la carità, perché questa è la sola cosa che conta (cf. Gal 5, 6); e conta molto anche nell’ora tribolata che stiamo vivendo.
Chiediamolo in particolare per i papà, di cui ricorre oggi la festa. La situazione difficile che anche le famiglie stanno vivendo in queste settimane richiede ai papà, forse, più impegno e fatiche che non alle mamme, che di solito sono più capaci di affrontare le emergenze. San Giuseppe li aiuti con la sua intercessione e il suo esempio.

San Giuseppe, della cui morte non sappiamo nulla, è ricordato e cercato, nella tradizione della Chiesa, anche come protettore della «buona morte»: probabilmente perché la devozione cristiana ha pensato che la sua morte sia stata confortata dalla presenza e dal conforto di Gesù e di Maria.
Non è certo questo il momento per discutere su che cosa sia una «buona morte»: per il credente, certo, è la morte «in grazia di Dio», la morte come passaggio pasquale da questo mondo all’essere per sempre «con il Signore» morto e risorto (cf. 1Ts 4, 17).
Sicuramente però, anche in un mondo come il nostro, dove molti cambiamenti sono avvenuti, a proposito di come noi ci disponiamo all’ultimo passaggio della nostra vita, rimane il sentimento che una «buona morte» sia anche quella di una morte non solitaria, di una morte accompagnata dagli affetti umani che circondano la nostra vita. La morte improvvisa, o la morte in completa solitudine, di una persona cara, ci sgomenta in un modo particolare.
Ho parlato con tanti dei nostri preti, in questi giorni: e in loro, e specialmente nei parroci, ho avvertito la partecipazione al grande dolore che colpisce tante famiglie che non possono essere vicine a un loro caro, spesso una persona anziana, come sappiamo, che arriva alla soglia della morte; e non è possibile rivederne neppure il corpo mortale, deposto subito nella bara e condotto alla sepoltura o alla cremazione senza i tradizionali riti funebri. Vi confesso che ho pianto anch’io, stamattina, quando ho visto le immagini dei camion dell’esercito che a Bergamo portavano via le bare con i defunti per condurli a sepoltura.
È un impegno anche per la nostra Chiesa trovare le vie per affrontare questo dramma, insieme anche con istituzioni della nostra società che pure sono sensibili a questa sofferenza. Cercheremo di farlo, anche nei prossimi giorni.
Ma mi permetto di rivolgere da qui un appello ai medici, agli infermieri, al personale sanitario, a coloro che spesso sono gli ultimi ad accostare i morenti: se potete, se riuscite, dite per loro una preghiera, fate su di loro un segno di croce, raccomandateli a Dio. Lo sappiamo bene, avete già tantissimo da fare e siete molto provati: ma è un gesto grande di carità, che vi chiediamo; e so che qualcuno già l’ha fatto. Dio vi ricompenserà, e tutti ve ne saremo riconoscenti.
E san Giuseppe, patrono della buona morte, aiuti voi in questo gesto, e sia vicino ai nostri cari che arrivano all’ultimo respiro, e li accompagni alla porta del Paradiso, a incontrare la misericordia di Dio.

Ci conceda il Signore la fede di san Giuseppe, la sua silenziosa incrollabile dedizione a Dio e al suo progetto di salvezza, manifestata nella cura per la sua famiglia terrena. Ci aiuti col suo esempio ad affrontare via e morte, gioie e dolori, senza venir meno alla speranza che risplende nel Signore Gesù Cristo, nostra vita, gioia e risurrezione.