Omelia del vescovo Daniele per la prima domenica di Quaresima

Nella Cattedrale di Crema, a porte chiuse, domenica 1 marzo il vescovo Daniele ha presieduto la S. Messa – trasmessa in diretta streaming e attraverso RadioAntenna5 – della prima domenica di Quaresima.

Introduzione alla celebrazione

Saluto con affetto e riconoscenza i sacerdoti che concelebrano in questa eucaristia domenicale, e quanti prestano il servizio liturgico, e sono perciò presenti in Cattedrale.
Ma guardando questa Cattedrale vuota nelle sue navate, il mio pensiero va in modo speciale a quanti di voi stanno seguendo la celebrazione dalle proprie case, attraverso la radio o la diretta streaming. Grazie a voi per la vostra comunione di fede e preghiera, che è più forte e solida anche del legame possibile attraverso gli strumenti della comunicazione; e dunque grazie anche a quanti, non potendo seguire questa trasmissione, sono comunque partecipi in tanti modi diversi della preghiera domenicale della Chiesa, in questa situazione così inedita.
La Santa Messa è sacramento del dono di amore di Dio in Gesù Cristo per tutti: presenti in chiesa e forzatamente assenti, vivi e defunti; è per i credenti e per la Chiesa intera, ma è anche per tutta l’umanità e tutta la storia, perché ogni cosa sia ricapitolata in Cristo: perché – come ci ricorderà l’apostolo Paolo nella seconda lettura – se il mondo e l’uomo sono segnati dal peccato e dalla morte, siamo certi che molto di più è operante in essi la salvezza in Gesù Cristo, manifestata pienamente nella Pasqua, alla quale ci prepariamo in questo tempo di Quaresima.
Con questi sentimenti, disponiamo i nostri cuori alla celebrazione di questa Messa, affidando alla misericordia di Dio la nostra consapevolezza di essere peccatori.

 

Omelia

Io non ho memoria, nei più di sessant’anni della mia vita, che in una parte così grande del nostro Paese sia mai stata sospesa la celebrazione pubblica della Messa domenicale, per un’emergenza, sanitaria (come nel nostro caso) o di altro genere. Di fronte alle richieste, e in qualche misura di fronte anche alle comprensibili incertezze di chi è chiamato a governare la nostra società in questo frangente, noi vescovi – con grandissimo dispiacere – abbiamo ritenuto opportuno acconsentire a questa scelta, nel nome della salute di tutti.
A qualcuno che mi ha detto che noi – vescovi, preti, Chiesa… – dovremmo occuparci esclusivamente della salute delle anime, e quindi non sospendere celebrazioni, preghiere ecc., mi sono permesso di ricordare che Gesù, nei vangeli, mostra di occuparsi attivamente anche della salute dei corpi; e, tra i segni che accompagnano l’annuncio del vangelo, Gesù include anche la guarigione dei malati (cf. Mc 6, 13; 16, 18). È proprio guardando a Gesù che la Chiesa si mostra attenta anche ai pericoli che possono minacciare la salute di tutta una comunità, ed è riconoscente a quanti si adoperano, in mezzo a molte difficoltà, per la cura e il servizio degli ammalati e per preservare le condizioni più favorevoli per il bene di tutti.
Certo, la Chiesa, e noi, facciamo questo senza dimenticare la forza della preghiera, proprio anche di fronte a ciò che minaccia la nostra salute. La sospensione forzata (e, speriamo, superata il più presto possibile) della celebrazione pubblica della Messa, dunque, non è certo un’abdicazione alla preghiera, personale e, per quanto possibile, comunitaria. Se mai, il contrario: proprio perché non possiamo celebrare insieme la Messa, presentiamo ancor più intensamente a Dio la nostra preghiera perché, secondo la parola di Paolo a Timoteo, «possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio» (1Tim 2, 2).

Del resto, la situazione precaria che stiamo vivendo in questi giorni anche come comunità cristiane, si può confrontare oggi con ciò che ha vissuto Gesù, con i suoi quaranta giorni di deserto e di digiuno.
Già il deserto è, in sé, un’immagine eloquente di ciò che stiamo vivendo. Perché una delle caratteristiche del deserto, per lo meno nell’esperienza del popolo di Israele, è la mancanza di riferimenti: non ci sono strade, nel deserto, non ci sono punti di orientamento.
Una delle caratteristiche principali dei giorni che stiamo vivendo viene, credo, dall’esperienza dell’incertezza: un’esperienza difficilmente sopportabile per una civiltà come la nostra. Abituata a programmare, a calcolare rapidamente probabilità ed eventuali rischi, essa si trova spiazzata. La stessa ricerca scientifica non è ancora in grado di darci risposte risolutive, e di indicare con precisione le misure da prendere. Navighiamo un po’ a vista: un po’ troppo, indubbiamente, per le nostre abitudini.
Il deserto è così: ed è per questo che nella sua lunga peregrinazione nel deserto il popolo di Israele ha avuto bisogno della costante guida di Dio, perché il deserto fosse davvero la strada verso la libertà, e non diventasse la sua tomba.
Anche Gesù entra nel deserto, e ci entra del tutto disarmato. Per quaranta giorni, Gesù non può fare quasi niente (e anche questo è istruttivo per noi!): non frequenta la sinagoga o il tempio, non predica, non insegna, non compie miracoli, non porta con sé scorte alimentari, non ha amici o parenti sui quali fare affidamento, un numero d’emergenza da chiamare… È solo: o meglio, è con il Padre, che non lo lascia mai e – dall’altra parte – con il tentatore, satana.
E il tentatore fa scorrere davanti agli occhi di Gesù la tentazione della certezza, della sicurezza. Senti il morso della fame? Hai il potere di trasformare le pietre in pane. Corri dei rischi, anche gravi? Dio ti verrà sicuramente in soccorso, è pronto ai tuoi comandi. Vuoi avere il controllo di tutto, il dominio su ogni cosa? Non hai che da chiederlo, io sono pronto a dartelo, se mi adorerai…
Sia chiaro: il triplice no di Gesù al tentatore non è tanto un no alla sicurezza in nome dell’incertezza. Il no di Gesù a satana è, invece, il suo al Padre, è il suo fermo, incrollabile atto di affidamento nelle mani di Dio; un Dio nel quale, senza dubbio, Gesù pone ogni certezza, ogni incrollabile sicurezza: ma non alla maniera umana, non come se Dio fosse una polizza d’assicurazione che ci mette al riparo da ogni rischio.
Nei giorni e mesi che seguiranno, Gesù dovrà misurarsi con tante cose anche imprevedibili: gli incontri che vivrà, le situazioni che si troverà davanti, le miserie degli uomini, l’adesione e il rifiuto, il consenso e l’opposizione, fino a incamminarsi sulla via della Croce… Di fronte a tutto questo dovrà fare le sue scelte, prendere le sue decisioni. Ma nel deserto egli ha scelto la via fondamentale: vivere come Figlio, che sa di potersi affidare all’amore del Padre, nella gioia e nella fatica, nel successo e nell’insuccesso e soprattutto nell’ora drammatica della Croce.

Con i quaranta giorni della Quaresima, la Chiesa consegna anche a noi la possibilità di rinnovare, in Cristo e per Cristo, la nostra adesione a Dio, il nostro modo di essere e vivere come suoi figli, sentendoci custoditi nel suo amore fedele e sorretti da lui nell’affrontare le nostre piccole e grandi emergenze quotidiane.
Forse, in questi giorni, abbiamo ancora un po’ più di tempo del solito, per contemplare Gesù nella sua Quaresima. Se è così, approfittiamone; e, in ogni caso, continuiamo il nostro cammino quaresimale con la ferma fiducia che l’adesione a Dio nella fede, e il dono di noi stessi ai fratelli nella carità, sono le vie sicure, seguendo le quali potremo attraversare anche l’incertezza di questi giorni.