Omelia del vescovo Daniele per la Liturgia del Mercoledì delle Ceneri

In base alle disposizioni date dal vescovo Daniele in considerazione dell’emergenza sanitaria legata alla diffusione del “Coronavirus”, la liturgia del Mercoledì delle Ceneri del 26 febbraio 2020 è stata celebrata in Cattedrale con la sola presenza dei sacerdoti concelebranti e dei seminaristi, ma è stata trasmessa via radio e in diretta streaming. Riportiamo di seguito l’omelia del Vescovo.

È davvero straniante, per me e, credo, per tutti, celebrare questa liturgia di inizio della Quaresima con la Cattedrale vuota, proprio quando ci sentiamo dire dal profeta Gioele: «… convocate una riunione sacra, radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite in fanciulli, i bambini lattanti…» (Gl 2, 15-16).
Ringrazio di cuore per la loro presenza i sacerdoti e i seminaristi e tutti quelli che prestano un servizio liturgico, mentre il mio pensiero va in modo speciale a voi che seguite questa celebrazione dalle vostre case, attraverso la radio o la diretta streaming. Grazie anche a voi per il vostro unirvi, con l’aiuto dei mezzi di comunicazione, alla preghiera della Chiesa in questo giorno così importante e, insieme, così anomalo.

Qualche volta corriamo il rischio di fare le cose per abitudine: anche le cose più belle, come sono i nostri momenti di vita liturgica, come è in particolare la celebrazione dell’Eucaristia, cuore della vita cristiana. Forse, a volte, siamo venuti a ricevere per abitudine anche il segno delle ceneri, che pure è un segno di conversione, un segno che ci dovrebbe distogliere dall’abitudine di una vita di fede tiepida o distratta, per scuoterci in un rinnovato impegno di adesione al Signore. Poi improvvisamente, per ragioni che non è il caso di discutere adesso, l’abitudine viene interrotta; non ci è possibile celebrare normalmente la Messa del mercoledì delle Ceneri… Che fare, allora?
Le parole di Paolo ai cristiani di Corinto, ascoltate nella seconda lettura, ci hanno parlato di un «momento favorevole», di un «giorno di salvezza», da non lasciarsi scappare (cf. 2Cor 6, 2). La liturgia riferisce queste espressioni al tempo di Quaresima; ma provo a domandarmi se non possiamo parlare di «tempo favorevole» a proposito proprio di questo tempo, di questi giorni che stiamo vivendo, di questa situazione di incertezza e timore che ci ha colti e forse ci spaventa anche più del dovuto, e anche delle limitazioni che sta subendo la nostra vita di Chiesa.

A scanso di equivoci: parlare di «tempo favorevole» non vuol dire certo parlare di giorni spensierati o di mancanza di preoccupazioni. Questa che stiamo vivendo è certamente un’ora difficile: per molti un tempo di ansia, di fastidi, di limitazioni; per alcuni un’ora di salute compromessa o a rischio, che può essere anche grave; per altri un tempo di accresciute responsabilità, impegni e fatiche – e ancora una volta il mio pensiero va con gratitudine a chi lavora nella sanità, ha chi ha responsabilità difficili di governo della cosa pubblica, alle forze dell’ordine…
Per un credente, però, ciò che rende «favorevole» un determinato tempo è, prima di tutto, la convinzione che Dio, nella ricchezza del suo amore, non è assente da nessuno dei nostri giorni, la certezza che Dio non ci abbandona, neppure nei giorni più difficili.
A rendere «favorevole» l’ora che stiamo vivendo è, poi, il modo in cui la vogliamo assumere.
Questo tempo è «favorevole», perché ha come orizzonte la Pasqua del Signore, e ci vuole condurre a celebrarla con rinnovata fede, nei riti e nella nostra vita. Ma alla sua Pasqua Gesù è arrivato percorrendo una via impegnativa, tutt’altro che «favorevole», sul piano umano. Ha dovuto fare i conti con l’ostilità dei suoi avversari, con l’incomprensione dei discepoli, con le forze della menzogna e della violenza… In tutto questo, egli ha continuato a perseverare nella fiducia filiale nel Padre, e non è venuto meno al dono di sé ai fratelli.
Queste mi sembrano, ancora oggi, le condizioni perché anche questo nostro tempo sia per noi e per tutti un «tempo favorevole»: un rinnovata fiducia in Dio, una rinnovata comunione con i fratelli.

La Quaresima, con i suoi strumenti tradizionali (come la preghiera, l’elemosina, il digiuno, ricordati da Gesù nel vangelo), e anche con le limitazioni che stiamo vivendo – e che, ce lo auguriamo, dureranno il meno possibile – può diventare questo «tempo favorevole»: anche questa Quaresima; forse, chissà, soprattutto questa Quaresima, proprio perché incomincia così come noi non avremmo mai pensato.
Il Signore raccomanda ai discepoli di vivere l’elemosina, la preghiera e il digiuno senza nessuna ostentazione, nel segreto della propria stanza, con la sola certezza dello sguardo di compiacimento del Padre. Forse, chissà: la limitazione provvisoria dei nostri momenti comunitari, pubblici, di Chiesa potrà aiutarci a scoprire di nuovo, come figli amati, questo sguardo di benevolenza: e ci preparerà a riassaporare al più presto, spero, la gioia del nostro stare insieme nella lode di Dio, soprattutto nella celebrazione dell’Eucaristia, e nella carità vicendevole e verso tutti.
Così Dio benedica questa nostra Quaresima e la porti a compimento nella gioia della Pasqua.