OMELIA DEL VESCOVO DANIELE NEL PONTIFICALE DI NATALE. 25.12.2017, CATTEDRALE ORE 11.00

Natale – Messa del giorno
 
La liturgia che celebra la nascita, il Natale di Gesù, in poche ore ci fa passare dalla poesia del presepio, dal canto degli angeli e dalla notte dei pastori davanti al Bambino «avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia» (cf. Lc 2, 7.12.16), alla vertigine teologica dei testi biblici di questa «Messa del giorno». Dalla notte siamo passati alla luce piena; ma questa luce vuole farci guardare addirittura fino al «principio» eterno, fino nel cuore del mistero insondabile di Dio, che fonda poi lo stesso evento del Natale.
Tuttavia, non si tratta di cose diverse: fra il racconto della nascita di Gesù, proclamato nella «Messa della notte», e il grande prologo del Vangelo di Giovanni, ascoltato poco fa, i punti di contatto sono diversi; e li troviamo, soprattutto, nei due termini chiave, che appunto il Vangelo di Giovanni unisce con un legame straordinario: la Parola e la carne.
Ci sono testi biblici nei quali questi due termini sono presentati in contrasto, ed è un contrasto di potenza, di dinamismo. La Parola – il Verbo di cui ci parla il latino biblico, ripreso anche in italiano – è la Parola creatrice, la Parola che chiama le cose dal nulla all’esistenza, perché (come ci ricorda il Prologo di Giovanni) senza di essa nulla esiste; dall’altra parte c’è la «carne» che, nella Bibbia, indica non tanto la materia di cui siamo fatti, ma la nostra fragilità, la nostra debolezza di creature, fragilità che – nonostante tutte le nostre risorse – sperimentiamo in tanti modi e, soprattutto, nella nostra condizione mortale.
«Ogni carne», dice a un certo punto la Scrittura (e vuol dire: «ogni uomo») è come l’erba; è una realtà fragile, inconsistente, che oggi c’è e domani è già tagliata via e seccata. Che cosa può sperare di duraturo, di consistente, una creatura così? Sì, ogni carne, ogni uomo è come l’erba, conferma il profeta, che però aggiunge: ma la Parola del nostro Dio rimane in eterno (cf. Is 40, 6-8), ed è una Parola ancora capace di chiamare e donare pienezza di vita.
Il Vangelo che abbiamo ascoltato conferma tutto questo, ma aggiunge qualcosa di radicalmente nuovo, quando dice: la Parola, il Verbo, divenne carne (Gv 1,14). Non viene meno, questa Parola creatrice, capace di compiere ciò che annuncia; eppure, sceglie di condividere la nostra condizione di creature fragili, di manifestarsi in questa condizione, di rendersi solidale con essa fino a sperimentarne tutta la debolezza, dalla nascita alla morte.
E questo ci riporta proprio al presepio: perché anche il Bambino deposto nella mangiatoia è una «parola» di Dio per noi (cf. Lc 2,15); ma una parola che si dà nella «carne», cioè appunto nella fragilità, nella debolezza, particolarmente evidente nel fatto che si tratta di un bambino, come tutti i bambini bisognoso di tutto.
Ma dobbiamo aggiungere un’altra riflessione: ho detto che anche il Bambino nel presepe è una «parola» di Dio per noi; dobbiamo dire, meglio: Egli è la Parola definitiva di Dio per noi; e dal momento che la Parola indica, nella Bibbia, ciò per cui Dio si fa conoscere, si manifesta a noi, dobbiamo dire: il Bambino nato a Betlemme, che poi sarà conosciuto come Gesù di Nazaret, è la rivelazione piena di Dio, è la manifestazione piena del suo volto.
Lo abbiamo sentito nella parole del Vangelo, secondo il quale «Dio, nessuno lo ha mai visto: [ma] il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18); e lo abbiamo sentito nella seconda lettura, che ha richiamato i molti modi attraverso i quali Dio ha parlato in passato, ma per dire che adesso egli rivela se stesso definitivamente nel suo Figlio, Gesù (cf. Eb 1, 1 ss.).
Un cristiano che ci tenga al suo rapporto con Dio, alla sua fede, deve prendere molto sul serio queste affermazioni, e riconoscere che non abbiamo altra conoscenza di Dio, altra relazione con Lui, che non sia misurata dalla Parola definitiva, che Dio ci ha detto in Gesù Cristo, che è, anzi, Gesù Cristo.
A noi, e a tutti attraverso la testimonianza della nostra fede e della nostra vita cristiana, Dio continua a dire: guardate al mio Figlio Gesù Cristo, ascoltate Lui, seguite Lui, lasciatevi raggiungere dalla sua presenza e dalla sua amicizia. Se vi fa paura la fragilità del vostro essere «carne», ricordatevi che l’ha sperimentata anche Lui, per chiamarvi alla mia pienezza di vita; se sentite il peso del peccato, incontrate in Lui la misericordia e la pace; se volete costruire un mondo più giusto e fraterno, ascoltate e cercate di vivere il suo Vangelo; se sentite venir meno la speranza, lasciate che sia la sua luce a illuminare il vostro cammino…
Questo, all’incirca, mi sembra che Dio continua a dirci, invitandoci a contemplare il Bambino nato a Betlemme; e se qualche volta ci sembra che Dio taccia, o che la sua Parola si perda nell’oceano di parole che circolano con tanti mezzi nel mondo, ci sia data la grazia di ricordarci che nel suo Figlio Gesù, Parola fatta carne, Egli ci ha già detto tutto quello che aveva da dirci.
 
Chiediamo la grazia di custodire in noi questa Parola; chiediamo di ricominciare, a partire dalla contemplazione del Presepio, a metterci ogni giorno in ascolto di ciò che Dio continua a dirci in Gesù Cristo, poiché è in lui, nato dalla Vergine Maria, che Dio continua a offrire pienezza di vita a noi e al mondo intero.