Natale 2019 – Messa di mezzanotte – Omelia del vescovo Daniele

Cattedrale di Crema, 25 dicembre 2019

Il «bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» – positum in praesepio, posto nel presepio, secondo la versione latina della Bibbia (Lc 2, 16) – è offerto ai pastori, e in questa notte santa anche a noi, come un «segno»: così dicono le parole dell’angelo che il vangelo ci ha fatto ora riascoltare.

Se è un segno, è senz’altro, prima di tutto il resto, una realtà da guardare, da contemplare. Non a caso, subito dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo, i pastori si dicono «l’un l’altro: “Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» (2, 15 s.).

Come ha scritto recentemente papa Francesco, nella lettera apostolica Admirabile signum, dedicata appunto al presepio, «a differenza di tanta gente intenta a fare mille altre cose, i pastori diventano i primi testimoni dell’essenziale, cioè della salvezza che viene donata. Sono i più umili e i più poveri che sanno accogliere l’avvenimento dell’Incarnazione. A Dio che ci viene incontro nel Bambino Gesù, i pastori rispondono mettendosi in cammino verso di Lui, per un incontro di amore e di grato stupore. È proprio questo incontro tra Dio e i suoi figli, grazie a Gesù, a dar vita alla nostra religione, a costituire la sua singolare bellezza, che traspare in modo particolare nel presepe» (Admir. signum, 5).

Il nostro ritrovarci qui, in questa notte, vuol dire che anche noi ci siamo messi in cammino; anche se il segno del Bambino posto nel presepio lo abbiamo visto tante volte, abbiamo sentito il bisogno di tornare a contemplarlo.
Ma bisogna appunto che lo contempliamo come un segno: e dunque con uno sguardo che sa vedere, nella realtà materiale che sta sotto i nostri occhi, qualcosa d’altro; o, piuttosto, bisogna che cerchiamo di cogliere questo segno con profondità di sguardo, per non rimanere solo alla superficie e non fare del Bambino nel presepe solo qualcosa che solletica brevemente i nostri sentimenti, ma lascia sostanzialmente intatta la nostra vita.

Profondità di sguardo, dicevo: che ci fa guardare al Bambino anzitutto come un dono dall’alto. In questo bambino c’è il riflesso della gloria di Dio, cantata dagli angeli. È il salvatore promesso, è il Cristo Signore, dicono sempre gli angeli. Ed è dunque segno di Dio: segno donato da Dio, segno che rinvia a Lui. Segno che inevitabilmente ci porta alla questione di dove sia finito Dio, nella nostra vita, nella nostra cultura, nella nostra società.
Il Bambino nel presepe ci parla di un Dio che non è assente, tutt’altro: ma che bisogna imparare a incontrare non solo e forse neppure prima di tutto nei luoghi «sacri», com’è quello in cui ci troviamo: perché Egli si lascia raggiungere in spazi di vita quotidiana, negli affanni di una giovane coppia che non ha una casa dove far nascere il proprio bimbo, nella cura di una madre che lo riveste di fasce perché non prenda freddo, nella preoccupazione di un padre che dovrà fuggire in fretta per proteggerlo dal pericolo…
Il Bambino ci fa segno per dirci: guarda che puoi incontrare Dio nelle gioie e nelle preoccupazioni della tua vita quotidiana, nella tua casa, nel tuo lavoro, nelle tue relazioni, nei gesti ordinari di cui è intessuta la tua vita… Non limitarti a cercarLo e a incontrarLo una volta alla settimana, se ancora vai a Messa alla domenica, o magari solo una volta all’anno, a Natale… Cerca Dio nella tua vita di ogni giorno: lo scoprirai molto vicino a te, come presenza amica, come gloria che non ti vuole schiacciare ma illuminare, come amico che ti vuole incontrare, come Parola che ti può orientare e guidare nell’oscurità della notte…

Ma il Bambino Gesù nel presepe ci chiede di essere guardato anche come segno «in orizzontale», per così dire. Perché Egli ci parla di un Dio che ha voluto farsi in tutto simile a noi, che ha voluto far sua la nostra condizione umana; ci parla di un Dio solidale con l’uomo, e che chiede a noi di muoverci nella sua stessa direzione.
La nascita di questo Bambino è accompagnata dalla proclamazione della gloria di Dio e, insieme, della pace per gli uomini che Dio ama. E la storia di questo Bambino – perché nel segno del piccolo che giace sulla mangiatoia bisogna incominciare a vedere tutta la sua storia, fino al destino dell’uomo inchiodato alla Croce – è la storia di un uomo che dimostra l’amore e la volontà di pace di Dio per gli uomini incominciando dai meno amabili: dai lebbrosi, dai malati, dagli esclusi, dai peccatori (cioè da quelli che non la pensano come me…), dalle prostitute, dagli stessi pastori, che non erano proprio la compagnia ideale, la più nobile e altolocata, da andare a cercare!

Anche il presepe, ricorda papa Francesco, è pieno di immagini di povera gente: 

«Il palazzo di Erode è sullo sfondo, chiuso, sordo all’annuncio di gioia. Nascendo nel presepe, Dio stesso inizia l’unica vera rivoluzione che dà speranza e dignità ai diseredati, agli emarginati: la rivoluzione dell’amore, la rivoluzione della tenerezza. Dal presepe, Gesù proclama, con mite potenza, l’appello alla condivisione con gli ultimi quale strada verso un mondo più umano e fraterno, dove nessuno sia escluso ed emarginato» (Admir. signum, 6).

Viviamo un momento della storia che mi sembra segnato dalla tristezza, da un certo smarrimento che dà l’impressione di non riuscire a risolvere mai nessun problema della nostra società, e induce a pensare che forse, anzi, andremo sempre peggio. Non ne verremo fuori, credo, scegliendo la via dell’individualismo personale o di gruppi contrapposti gli uni agli altri, erigendo barriere o contrapponendoci a vicenda. Il Bambino nella mangiatoia è segno non di un potere che vuole dominare, ma di una povertà che cerca e promuove solidarietà.
Davanti al presepe si piegano i pastori poveri e ignoranti e i Magi ricchi e sapienti: e venendo tutti davanti al Bambino, possono anche riconoscersi e accettarsi e sostenersi a vicenda.
Andiamo anche noi a vedere il segno che ci è stato dato; e chiediamo di essere avvolti dalla gloria di Dio, che entra nella nostra vita di ogni giorno, e di costruire tra noi quella pace, che il Signore Gesù, nato a Betlemme, non si stanca di donarci.