Celebrazione della Passione del Signore: omelia del vescovo Daniele

In Cattedrale, a porte chiuse, alle ore 15 del Venerdì santo, 10 aprile 2020, si è tenuta la celebrazione della Passione del Signore, presieduta dal vescovo Daniele, di cui riportiamo l’omelia.

Ci sono situazioni nelle quali siamo tentati di pensare che tutto sia in perdita, situazioni nelle quali «non c’è più niente da fare», e l’unica cosa che rimane, forse, è sperare in tempi migliori, perché dal presente non possiamo ricavare niente.
È molto probabile che un pensiero di questo genere sia venuto in mente anche a quei discepoli di Gesù, uomini e donne, che sono stati testimoni della sua fine, umanamente forse degna di compassione ma, per il resto, ingloriosa, avvilente.
Gesù non è stato solo vittima di una condanna ingiusta: è stato respinto, abbandonato, tradito, rinnegato… Le parole del «Canto del servo del Signore», che abbiamo ascoltato nella prima lettura, descrivono benissimo il disastro della sua fine: «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima» (Is 53, 3).
Ecco, quest’ultima frase è perfetta per capire in che contesto Gesù è morto: «Era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima». E chi qualche stima aveva pure mantenuto per il profeta venuto da Nazaret, non ha avuto la forza o la possibilità di opporsi in modo efficace; tutto quel che ha potuto fare è stato rimanere lì, vicino alla croce, o darsi da fare per procurare una sepoltura minimamente dignitosa a questo condannato.
Una situazione in pura perdita, dicevo. Che poi, certo, i discepoli di Gesù hanno potuto capire meglio alla luce di ciò che hanno sperimentato dopo, grazie all’esperienza dell’incontro con Gesù vivente al di là della sua morte. Sì, lì, sul Golgotha, c’è stata la sconfitta: ma poi Dio ha preso le parti di quest’uomo condannato e crocifisso, e risuscitandolo da morte ha mostrato che Gesù era dalla parte giusta, e proprio quel Dio che sembrava averlo dimenticato, ora lo rendeva vittorioso…

La nostra fede ci aiuta a meditare tutto questo, ma anche a fare un passo in più: un passo che riconosciamo compiuto in modo particolare nel vangelo di Giovanni, di cui abbiamo ascoltato il racconto di passione.
E il passo è questo: riconoscere che la passione, conclusa con la morte ignominiosa sulla croce, non è un «prima» da dimenticare, di fronte al «poi» della risurrezione, ma è essa stessa parte della «gloria» nella quale Dio fa entrare il suo Figlio fatto obbediente fino alla morte.
Lo sguardo del quarto evangelista sulla passione di Gesù (ma in realtà, in qualche misura, lo si trova anche negli altri evangelisti) ha proprio questa caratteristica: sa vedere la «gloria» del Figlio di Dio già presente in ciò che umanamente sembra appunto solo un male, solo «perdita»…
In questo modo, tanti particolari, che possono sembrare trascurabili, o addirittura inutili, si illuminano di una luce nuova. Perché – per prendere solo un esempio – quel colpo di lancia, che si accanisce inutilmente sul corpo di Gesù già morto (cf. Gv 19, 31-37)? Perché questo sfregio ulteriore, questo gesto che sembra di crudeltà gratuita, superflua? Torna ancora l’idea che sia pura perdita, una cosa insensata, vana.
Ma lo sguardo della fede vede qui ancora un volta il dono, la grazia che scaturisce in abbondanza; vede – come poi dirà più esplicitamente la meditazione della fede cristiana – la Chiesa che nasce dal Cristo, vede i «fiumi di acqua viva» dello Spirito, che sgorgano dal Signore crocifisso…
Ciò che nella Passione del Figlio di Dio noi, nella luce dello Spirito, possiamo vedere con la chiarezza della fede, ci è dato di scorgerlo anche in altre situazioni. A volte è proprio solo lo sguardo umano che non riesce a penetrare oltre l’immediato; altre volte, la grazia di Dio fa brillare qualche luce in ciò che sembra soltanto oscurità. Credo che sia anche l’esperienza dell’emergenza sanitaria che abbiamo vissuto nelle settimane scorse, e che ancora stiamo vivendo, con le altre emergenze che ne derivano – economica, sociale, lavorativa… Anche lì, in ciò che forse consideriamo solo un grande e inutile male, abbiamo potuto scorgere scintille di compassione, di carità autentica, di preoccupazione per l’altro… insomma, di quella carità, di quell’amore, in virtù del quale Cristo ci ha amato, e ha dato se stesso per noi (cf. Gal 2, 20).
Nessuna situazione, posta nelle mani di Dio, è mai in pura perdita, in pura negatività. La passione d’amore del Signore è riscatto offerto a tutti e a tutto, senza che nulla sia escluso. Nulla andrà perduto, di ciò che il Padre ha affidato al suo Figlio (cf. Gv 6. 39 s.). Tutto Egli porta con sé, sul legno della Croce, perché tutto torni al Padre e sia glorificato in Lui.