Ammissione di A. Berselli tra i candidati all’Ordine sacro – Omelia del vescovo Daniele

Giovedì 22 ottobre 2020, in Cattedrale a Crema, il seminarista Andrea Berselli, della parrocchia di S. Carlo B. in Crema, dell’Unità pastorale Crema Nuova – S. Carlo – S. Maria dei Mosi, è stato ammesso tra i candidati all’Ordine sacro. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo Daniele.

L’anestesia è importante, specialmente quando finiamo sotto i ferri del chirurgo, o quando un dolore fisico diventa insopportabile; e oggi abbiamo tanti modi e tecniche sofisticate, per farvi ricorso, quando ce n’è bisogno. A volte, però – e forse un po’ troppo spesso – rischiamo di fare dell’anestesia una specie di ideale o, se vogliamo, di ‘stile’ di vita. Succede ogni volta che cerchiamo di allontanare da noi ciò che ci disturba, ci tormenta, ci dà pensieri o preoccupazioni. È comprensibile; ma poi l’ideale, ammesso che possiamo chiamarlo così, di una vita anestetizzata ci fa scantonare anche rispetto alle passioni, ai desideri grandi e forti, ai progetti di vita impegnativi ed esaltanti: per scegliere vie più comode, più rassicuranti, senza troppe sorprese, cercando di scansare gli incidenti di percorso…
Gesù non cerca una vita anestetizzata, comoda, ovattata: brucia di passione, perché sa di essere «venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Il fuoco che gli brucia dentro non gli permette di evitare neppure gli aspetti meno piacevoli di ciò che gli sta davanti: «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!» (v. 50). Il battesimo rievoca la prova temibile, richiama le «grandi acque» della tribolazione, dalle quali si è travolti e nelle quali si rischia di affogare. Sarebbe sensato tirarsi indietro, accontentarsi, tutt’al più, di bagnarsi un po’ i piedi sulla spiaggia.
Gesù brucia di una passione, che è l’amore del Padre e il desiderio di compiere la sua opera, perché il suo regno si realizzi in questo mondo e l’amore di Dio possa essere conosciuto a accolto da tutti; e Gesù sa che nessuna grande passione, nessun grande desiderio è realizzabile, se non si accetta il rischio di passare attraverso le «grandi acque» della sofferenza, di vivere dunque la passione anche in quell’altro senso, quello appunto della sofferenza e della prova.
E Gesù sa che una vita che non si lasci attraversare da questa passione, che non corra questo rischio, è una vita vana, triste: come quella di quell’uomo ricco (un giovane, secondo Matteo: cf. 19,20), che non ebbe il coraggio di accettare la sua proposta, di abbandonare tutto, per seguire Gesù e unirsi al suo grande desiderio, per lasciarsi infiammare dalla sua passione.
Per questo, indubbiamente, Gesù divide: se fosse un uomo anestetizzato, privo di passione, incolore e insapore, nessuno gli farebbe molto caso. Ma egli è «segno di contraddizione»: l’evangelista Luca lo sottolinea fin dall’inizio del suo vangelo (cf. 2,34), e lo dirà fino alla fine, presentandoci, nell’ora suprema della Pasqua (che è appunto ciò che Gesù desidera, il battesimo verso il quale si protende), il conflitto tra i due malfattori crocifissi alla sua destra e alla sua sinistra, tra chi fino all’ultimo gli chiude il suo cuore e chi, invece, confessa il suo peccato e si affida alla sua misericordia (cf. 23,39-43).

Caro Andrea, la scelta di cui dai pubblica testimonianza questa sera, impegnandoti davanti alla nostra Chiesa di Crema a portare a compimento la tua preparazione verso il ministero presbiterale, ci dice che hai scelto la via di Gesù; che non ti vuoi accontentare di una vita «a scartamento ridotto», ma desideri partecipare alla passione di amore del Signore Gesù, al fuoco che brucia nel suo cuore, senza lasciarti intimorire dall’impegno che questa scelta comporta.
La tua scelta, questa sera, parla a tutti, e a tutti ricorda che non si può essere discepoli di Gesù e suoi amici, accontentandosi di un piccolo cabotaggio, di tenere la nostra barchetta vicina alla riva che dà sicurezza e non pone troppi problemi. San Giovanni Paolo II, di cui facciamo oggi memoria, aveva consegnato alla Chiesa, al termine del Giubileo del 2000, il comando del Signore a Pietro: duc in altum, «prendi il largo e getta le reti per la pesca» (Lc 5,4; cf. s. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 1).
Si può prendere il largo in tanti modi, in tante situazioni e contesti di vita, secondo la varietà delle chiamate che lo Spirito suscita nella sua Chiesa. Noi ti siamo grati perché ce lo ricordi accogliendo la chiamata di Dio per il ministero presbiterale; e ti assicuriamo in modo particolare, questa sera, il nostro sostegno di preghiera e di amicizia, perché tu possa portare a compimento la tua formazione e arrivare così a servire Dio e i fratelli nel ministero che ti sarà affidato.
Ti auguriamo, soprattutto, di lasciarti sempre attraversare dal fuoco della passione che sta al cuore di Gesù, vivendo questo tempo di formazione in grande comunione con Lui, cercando di conoscerLo sempre meglio e di amarLo sempre più. Ti auguro che questi siano gli anni nei quali, secondo le parole di Paolo agli Efesini, tu potrai sempre più lasciare che «il Cristo abiti per mezzo della fede nel tuo cuore, e così, radicato e fondato nella carità, tu possa comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché tu sia ricolmo di tutta la pienezza di Dio» (cf. Ef 3,17-19).
Così scoprirai – ma certamente già lo intuisci – che se il Signore divide, separa, è perché poi la comunione sia più profonda e più vera. Lo diciamo con fiducia anche ai tuoi genitori e a tutta la tua famiglia, che ringraziamo di cuore perché ti accompagnano e ti sostengono nella tua scelta; ma lo diciamo anche ai tanti che ti conoscono e ti vogliono bene e che forse, in questi anni di formazione, non potranno vederti e incontrarti come prima. Le separazioni che crea il Signore Gesù, quando sono vissute nella fede, in consonanza con la sua dedizione a Dio e ai fratelli, sono separazioni feconde: il loro risultato è una comunione più autentica e duratura di qualsiasi comunione che noi possiamo costruire con i nostri poveri mezzi.
Anche a questo riguardo, l’anestesia, che tutto cioè continui placidamente, senza scosse, senza problemi, senza fatiche… ci sembra lì per lì preferibile: ma è un’anestesia che assomiglia molto all’anticamera della morte. Lasciamoci ravvivare dalla passione di amore di Gesù, lasciamo che il suo fuoco accenda anche la nostra vita e la battezzi, la immerga totalmente, cioè, nell’«amore di Cristo, che supera ogni conoscenza» (Ef 3, 19).