Messa per la Rep. Democratica del Congo – Omelia del vescovo Daniele

Domenica 7 marzo 2021, nella Cattedrale di Crema, il vescovo Daniele ha presieduto la santa Messa, nella quale ha voluto pregare in modo particolare per la Repubblica Democratica del Congo e per tutta l’Africa, a poche settimane dall’uccisione, avvenute il 22 febbraio, dell’ambasciatore italiano in RDC, Luca Attanasio, del carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci, e del loro autista congolese, Mustapha Milambo.

 

Introduzione alla celebrazione

Carissime sorelle e fratelli,
viviamo ancora una volta tempi molto difficili, e la nostra fede – che ci spinge a cercare Dio e incontrarlo in particolare in questo tempo di Quaresima e nella Messa domenicale – si misura con interrogativi e domande alle quali è difficile dare risposta.
La pandemia, con tutte le sue conseguenze, pesa ancora su di noi: portiamo nel cuore la sofferenza dei malati, la fatica e l’impegno di chi se ne prende cura, il senso di pesantezza che grava sulla nostra società, le difficoltà della scuola e del mondo del lavoro, delle persone con più fragilità…
Al tempo stesso, non vogliamo chiudere i nostri sguardi su problemi e drammi che avvengono anche a migliaia di chilometri da noi, e che però ci toccano da vicino. In questa domenica, ho voluto ricordare nella preghiera la morte violenta dell’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, del carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci, e del loro autista congolese, Mustapha Milambo, uccisi nell’est del paese lo scorso 22 febbraio.
Nel nostro territorio vivono molti fratelli e sorelle provenienti da quel paese, grande e bello, ma dove i comandamenti di Dio – che riascolteremo nella prima lettura – sono sistematicamente calpestati.
Ho pensato che insieme con loro potevamo, questa sera, pregare per chi ha perso la vita (non solo i tre che ho ricordato per nome, ma le migliaia di vittime anonime) e per questo paese e per tutta l’Africa, perché in virtù dell’amore del Signore, che celebriamo in questa Eucaristia, possa conoscere giorni di pace nella giustizia e nella riconciliazione.
Ringrazio p. Arnold Mukoso, originario della Repubblica Democratica del Congo, membro della comunità dei Missionari dello Spirito Santo che è a Santa Maria della Croce, e tutta la comunità congolese per la loro presenza e per l’animazione di questa celebrazione. Grazie anche a p. Gigi Maccalli, che ci testimonia con la sua stessa presenza e con la sua vicenda il travaglio di un’altra zona dell’Africa, quella del Sahel.
Ascolteremo ora una breve presentazione della complicata situazione che vive la Repubblica Democratica del Congo: subito dopo, il canto dell’Atto penitenziale ci permetterà di chiedere perdono a Dio, dicendogli: «Dio sorgente di bontà, perdona i miei peccati.  Ti offriamo il cuore, veniamo da Te, perdona tutti i nostri peccati.  Tu Pastore degli uomini, Tu Agnello di Dio, perdona tutti i nostri peccati».

 

Omelia

La mia riflessione, questa sera, sarà estremamente breve: anche perché vi vogliamo proporre, prima della benedizione conclusiva della celebrazione, l’ascolto di una testimonianza che ci arriva direttamente dalla Repubblica Democratica del Congo.
Nel contesto di questa nostra celebrazione, attenta a ciò che avviene in questo paese, ma anche nel Sahel che ha visto il rapimento e la lunga prigionia di p. Gigi, e vede molti altri atti di violenza e sopraffazione; attenti anche al pellegrinaggio di pace che papa Francesco sta portando a termine in Irak… in questo contesto, il gesto energico, per non dire addirittura «violento», che Gesù compie con i venditori e mercanti del tempio di Gerusalemme, che cosa può suggerirci?
Direi così: ci suggerisce la vigilanza continua, perché la nostra fede non si riduca a un insieme di abitudini, di riti, di gesti e pratiche, in sé non cattive, ma che non ci conducono al cuore di ciò che Dio ci dona e, al tempo stesso, ci chiede di vivere.
Ciò che facevano i mercanti del tempio non era cattivo: rendevano servizio all’attività del tempio stesso, dove bisognava portare per i sacrifici non animali qualsiasi, ma «certificati»; dove non si potevano usare monete qualsiasi per fare l’offerta, ma solo la moneta del tempio…
Tutto questo, però, aveva creato una specie di «sistema religioso» che finiva per coprire la volontà di Dio, e ciò che il tempio stesso significava: essere, cioè, il segno della presenza di Dio che dona salvezza e vita, e chiama quindi l’uomo a vivere, a sua volta, come portatore di vita e salvezza per tutti.
È la stessa logica dei comandamenti, che abbiamo ascoltato nella prima lettura: comandamenti che ricordano anzitutto ciò che Dio ha fatto per il suo popolo, la sua azione liberatrice («Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile»: Es 20, 2); e propongono quindi un modo di comportarsi che sia riflesso di ciò che Dio ha fatto.
Vivere i comandamenti significa appunto dare testimonianza al Dio che vuole la libertà e la vita dei suoi figli: significa comportarsi in sintonia con Dio, perché ciò che egli vuole per tutti diventi anche l’opera delle nostre mani: perché anche noi, insomma, diventiamo portatori di libertà e di vita, e impariamo a dissociarci da comportamenti e scelte che sono causa di morte per noi e per altri.
E sia questo il dono che chiediamo per noi, come cammino di conversione che ci è dato di vivere in questo tempo di grazia, che è la Quaresima.