Veglia pasquale: Omelia del vescovo Daniele

Durante la Veglia pasquale celebrata in Cattedrale a porte chiuse, la sera di sabato 11 aprile 2020, sono state proclamate tutte e sette le letture bibliche dell’Antico Testamento, seguite poi dall’Epistola di Paolo ai Romani e dal Vangelo pasquale di Matteo. Riportiamo qui di seguito l’omelia del vescovo Daniele.

 

Ho voluto in qualche modo approfittare, quest’anno, delle alcune riduzioni che ci sono nella celebrazione della grande veglia della notte di Pasqua – non abbiamo fatto, ad esempio, l’accensione del fuoco nuovo, e anche la liturgia battesimale consisterà solo nella rinnovazione delle promesse battesimali… – per proporre al nostro ascolto tutte e sette le letture dell’Antico Testamento indicate dalla liturgia.
Di solito facciamo una scelta – come, del resto, permettono di fare le stesse indicazioni della liturgia. Ma è bello, almeno qualche volta, prendersi il tempo di un ascolto completo, e lasciarsi in qualche modo cullare dalle parole di queste antiche storie piene di meraviglie: sono, di fatto, il racconto dei mirabilia Dei, delle «grandi opere» che Dio ha compiuto; e sono anche la storia della difficile, sofferta risposta alle opere di Dio da parte del suo popolo, Israele, e da parte di tutta l’umanità.
Spesso si dice che noi, oggi, non abbiamo più «grandi narrazioni», orizzonti dentro i quali comprendere la nostra storia, e comprendere anche e soprattutto i suoi passaggi più difficili e dolorosi, com’è certamente anche quello che stiamo vivendo ormai da più di un mese e mezzo, a seguito dell’emergenza sanitaria e di tutte le sue conseguenze. Ebbene: per noi cristiani la «grande narrazione» è proprio quella che viene riproposta nella Veglia che stiamo celebrando; questo è l’orizzonte all’interno del quale possiamo tentare di capire il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro.
Di che cosa ci parla, questo lungo racconto? Potremmo dire che ci parla di una cosa sola: e cioè della Pasqua, e più precisamente della Pasqua di Gesù Cristo. Perché nel Signore Gesù, morto e risorto, vivente per Dio, ogni cosa è ricapitolata; e tutte le antiche storie di cui abbiamo ascoltato il racconto sono, secondo la tradizione cristiana, i «tipi», cioè le anticipazioni – o, potremmo anche dire, le profezie – della Pasqua del Signore.
Ci parlano di questo, perché la Pasqua del Signore è il desiderio che Dio da sempre ha per tutta l’umanità, per tutta la sua creazione. Già il passaggio fondamentale della creazione – Dio che chiama all’esistenza le cose che ancora non sono, e dalle tenebre fa brillare la luce – orienta alla Pasqua. Ciò che Dio da sempre intende, nell’opera delle sue mani, nella chiamata rivolta ai padri, nel passaggio del mare, nelle storie spesso dolorose del suo popolo, nelle promesse dei profeti… è sempre la Pasqua: è il passaggio, cioè, alla vita, alla gioia, alla salvezza…
È anche, possiamo dire – e anzi è prima di tutto – il passaggio verso Dio, riassunto efficacemente nell’espressione di Paolo, ascoltata nell’epistola, secondo la quale Cristo, risorto dai morti, «vive per Dio» (cf. Rm 6, 10). Nel Cristo morto e risorto si realizza in pienezza ciò che Dio cerca in ogni sua creatura, e in particolare nell’uomo, quella creatura che egli ha voluto capace di una risposta di piena libertà: appunto questo «vivere per Dio», dove il «per» ha molti significati.
Vive per Dio chi si lascia raggiungere dal suo amore, dal suo perdono, dall’abbondanza della sua misericordia. Vive per Dio chi intuisce (il più delle volte senza chissà quali competenze teologiche) il senso del suo progetto di amore per gli uomini, e vi coopera con la risposta della sua libertà. Vive per Dio chi cerca di superare il male con il bene, di rispondere all’odio e alla violenza con il perdono e la mitezza, chi si adopera per la giustizia e la pace, chi sa affrontare anche la tribolazione e persino la morte continuando ad affidarsi senza riserve a Lui anche quando sembra lontano e assente… Vive per Dio chi sa che non ci può essere distanza tra questo essere «per Lui» ed essere «per l’altro», per il fratello.
Vive per Dio, insomma, Gesù Cristo: in tutta la sua esistenza, egli ha mostrato di essere colui che in pienezza vive per Dio, per quel Dio che egli chiama il «Padre suo». Nella sua Pasqua, Gesù ha portato a compimento il suo «vivere per Dio»: lo ha confermato anche di fronte al rifiuto degli uomini, e lo ha sigillato sul legno della croce, trasformando il patibolo in un dono d’amore proprio a favore di quelli che lo hanno respinto.
La fede pasquale ci mostra, nel suo «vivere per Dio», il senso di tutta la storia, e il senso del destino di ognuno di noi. La notte pasquale è la notte battesimale della Chiesa: perché nel nostro battesimo siamo stati inseriti in Cristo, perché anche noi potessimo, in lui e per il dono del suo Spirito, «vivere per Dio». Perché potessimo farlo sempre, nella gioia come nel dolore, nella pienezza delle nostre capacità e risorse come pure nella tribolazione e nella fatica, siamo stati inseriti anche noi nella Pasqua del Signore Gesù: e così anche noi possiamo entrare con lui nel grande passaggio pasquale, che dice il senso della nostra vita e della storia del mondo.
Capiamo meglio, celebrando la Pasqua di quest’anno, che essa non è semplicemente un «lieto fine» che ci permette di lasciarci alle spalle tutto il dolore e le fatiche che ci sono in noi e fuori di noi. «Vivere per Dio», in Cristo morto e risorto, è il dono e il compito di tutta la nostra vita. Il «passaggio pasquale» attraversa tutta la nostra esistenza, dal Battesimo fino a quando ci sarà chiesto l’ultimo passaggio, l’ultimo transito nel quale lasciarci definitivamente afferrare da Dio per entrare nella sua vita.
Chiediamo la grazia di portare sempre in noi la Pasqua del Signore; chiediamo che la grande storia di salvezza che insieme abbiamo meditato e che celebriamo in questa notte santissima continui nella vita nostra e del mondo, e che tutti riconoscano la chiamata pasquale della loro vita: Cristo «infatti morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù» (Rm 6, 10 s.).