Veglia diocesana degli Oratori – Omelia del vescovo Daniele

Cattedrale di Crema, 17 gennaio 2020

Da una meditazione di M. L. King sulla parabola del buon Samaritano (in La forza di amare, ed. SEI, 1963) che ho letto molto tempo fa, riprendo liberamente tre caratteristiche dell’azione del Samaritano.

La prima: il Samaritano dà prova di un amore che sfida il rischio, il pericolo.
Lo sappiamo cosa avviene anche oggi, purtroppo, quando ci sono degli attentati: scoppia una bomba, arrivano i soccorritori e si danno da fare, e allora si fa scoppiare un’altra bomba… È terribile: e il Samaritano non aveva nessuna garanzia che gli stessi briganti potessero saltare fuori di nuovo, e riempire di botte anche lui. Forse anche per questo gli altri due, il sacerdote e il levita, hanno pensato che fosse più prudente tirar dritto per la loro strada, non attardarsi troppo.
L’amore può essere pericoloso, può far correre rischi non da poco. Ma questo non è stato un ostacolo, per il Samaritano.

La seconda caratteristica è che il Samaritano si lascia coinvolgere in prima persona. Non chiama la Croce rossa, non telefona al 118, non dice: è meglio che vada a cercare qualche aiuto, e poi torniamo qui in forze. No: il Samaritano ha messo di mezzo se stesso, ha interrotto il suo viaggio, si è lasciato implicare dal destino di un uomo che, prima di quel momento, gli era assolutamente estraneo ma che, solo per il fatto di giacere là, sulla strada, reclamava il suo aiuto.
E non solo il suo aiuto: reclamava la sua compassione, reclamava il sentire che la vittima dei briganti e il Samaritano sono partecipi di uno stesso destino, fratelli in umanità e nella fragilità dell’umano – e non mi meraviglierei se questo Samaritano si fosse sentito in pena anche per i briganti, per la loro invidia e cupidigia, che li porta alla malvagità; e anche per quel sacerdote e quel levita così poco compassionevoli, così preoccupati forse della loro dignità o anche della purezza richiesta dalla loro funzioni, da non solo non fermarsi a prestare soccorso, ma da passare addirittura dall’altra parte della strada…
Sì, penso che questo Samaritano abbia avuto compassione proprio di tutti.

E poi, terza caratteristica: l’esagerazione. Francamente, quest’uomo ha fatto troppo, per quel poveretto. Va bene, curagli le ferite, dagli qualcosa da mangiare e bere, e poi, via, una pacca sulla spalla e ciascuno per la sua strada… Invece no: gli dà un passaggio, lo carica sull’asinello (e probabilmente lui, il Samaritano, va a piedi), lo porta fino alla locanda, paga tutte le spese in anticipo e promette di pagare gli eventuali extra… C’era davvero bisogno di tutto questo? Si poteva fare anche con meno, no?

Non mi meraviglierebbe scoprire che, a proposito di padre Gigi Maccalli, qualcuno (non tra noi, certamente) sia stato tentato di pensare che almeno un po’, come si dice, se l’è andata a cercare. Il pericolo c’era e c’è tutto, in questa zona del Niger, tra il Burkina Faso e il Mali, dov’è la sua parrocchia di Bomoanga. Forse avrebbe potuto evitare di esporsi così direttamente, di coinvolgersi così in prima persona: forse avrebbe potuto svolgere la sua azione un po’ più da lontano, dando qualche indicazione, dirigendo da fuori la vita della parrocchia, non stando così in prima linea… E sì, forse ha esagerato nella sua disponibilità, nella sua compassione, nel suo donarsi alla sua gente. C’era davvero bisogno di fare tutto quel ha fatto?
Il Samaritano non ha temuto il pericolo, si è lasciato coinvolgere in prima persona, ha esagerato nella sua carità per quello sconosciuto trovato sul ciglio della strada; e neppure padre Gigi ha avuto paura, né si è tirato indietro, né ha giocato al risparmio, nel dono di se stesso – e da sedici mesi sta pagando il prezzo di tutto questo.

A questo punto è inevitabile la domanda, per noi, per ciascuno di noi, per la nostra Chiesa, per i nostri Oratori: riusciremo a non lasciarci intralciare dalle paure, dal desiderio di evitare i rischi, dalla tentazione di far fare agli altri, dal giocare al risparmio, perché temiamo di perderci?
Spero che queste domande ci inquietino un po’: e ci aiutino a guardare a Gesù Cristo, il buon Samaritano del mondo, che nonostante la paura e l’angoscia si è lasciato inchiodare sulla croce, che per noi ha dato addirittura se stesso, amandoci fino alla pienezza, mentre noi eravamo ancora peccatori e nemici (cf. Rm 5, 6-11). Guardiamo a quel che ha fatto Gesù, chiediamo la sua forza, per raccogliere poi il suo invito, anzi il suo comando: «Va’, e anche tu fa’ così».