Santa Messa nella Giornata nazionale per la vita (6 febb. 2022)

Nella Cattedrale di Crema, domenica 6 febbraio 2022 il vescovo Daniele ha presieduto la santa Messa in occasione della 44a Giornata nazionale per la vita. Riportiamo di seguito la sua omelia.

È abbastanza evidente, guardando l’insieme dei vangeli, che i contemporanei di Gesù lo conoscevano soprattutto come un «maestro», un rabbi, la cui parola aveva grande forza di attrazione – e non ci stupisce di sentire che «la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio» (Lc 5,1): l’abbiamo letto nella prima riga del vangelo appena ascoltato.
Per altro verso, Gesù era conosciuto come autore di «segni prodigiosi», di miracoli: che consistevano soprattutto in guarigioni ed esorcismi, che sono di gran lunga la maggior parte dei miracoli riferiti dai vangeli.
Però gli evangelisti ci hanno riportato anche alcuni altri segni di Gesù che avvengono in situazioni di mancanza, di scarsità; e che hanno tutti a che fare con la necessità umana fondamentale di nutrirsi, di mangiare e bere, per vivere. Sono i segni dell’acqua cambiata in vino, a Cana di Galilea; dei pani e dei pesci con i quali Gesù sfama una grande folla (e questo è raccontato diverse volte, nei vangeli); e poi quello che abbiamo ascoltato oggi, la pesca miracolosa, raccontata qui, nel vangelo di Luca (5,1-11), e anche nell’ultimo capitolo del vangelo di Giovanni.
Pesca «miracolosa», che dovremmo piuttosto chiamare la pesca sovrabbondante: perché proprio l’abbondanza è ciò che caratterizza questo segno, come pure quelli del vino di Cana e della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Un’abbondanza persino «inutile», perché poi sorprende il fatto che, alla fine dell’episodio, Pietro e i suoi soci di pesca, Giacomo e Giovanni, lasciano tutto, barche e reti e ogni attrezzatura, e seguono Gesù. Proprio quando hanno fatto, potremmo dire, la pesca della loro vita, chiudono l’azienda!
L’acqua cambiata in vino, il pane moltiplicato, la pesca sovrabbondante sono segni, come dice esplicitamente il vangelo di Giovanni (cf. 2,11 ecc.). Segni, precisamente, della vita in abbondanza, che Dio desidera per tutti gli uomini, e che dona proprio attraverso Gesù.
Ed è chiaro subito che questa abbondanza non è di ordine materiale: tant’è vero che i pescatori, l’abbiamo detto, lasciano perdere la pesca che hanno fatto, e si mettono a seguire Gesù. Intuiscono che c’è un’abbondanza di altro ordine, che viene loro promessa.
Si tratta, potremmo dire, dell’abbondanza di senso, di verità, di ‘valore’ della vita.

Mi ha colpito molto ascoltare la testimonianza resa durante il festival di Sanremo dall’attrice Maria Chiara Giannetta, quando ha fatto salire sul palco quattro persone cieche o ipovedenti, che sono state i suoi ‘maestri’ per la parte che ha interpretato in una serie televisiva, quella appunto di una persona priva di vista. Mi ha colpito il senso di «pienezza di vita», che trapelava da queste persone, prive di uno dei sensi più importanti per noi; ci aiutano a capire che ci può essere «abbondanza di vita» anche quando si è nella mancanza, e in una mancanza non da poco.
Forse, è proprio perché siamo nell’abbondanza, che tante volte facciamo fatica a percepire con verità il dono e la promessa di una vita «piena». Siamo pieni di tante cose; siamo pieni di tante informazioni; siamo pieni di tanti impegni… E può darsi che, in questo modo, non ci rendiamo più conto che la pienezza di vita sta da un’altra parte: sta appunto in ciò che le dà senso, che manifesta la sua origine (che noi credenti identifichiamo con l’amore fedele di Dio) e il suo compimento ultimo (che la parola di Paolo, nella seconda lettura, ci fa riconoscere in Gesù Cristo morto e risorto).
Per questo, abbiamo bisogno di contemplare la pienezza di vita proprio a partire da lì, dove essa ci sembra «mancante», più fragile e debole: come nella ragazza cieca che dice al pubblico di Sanremo: «Non perdiamoci di vista!»; proprio come nelle situazioni della vita nascente, della vita malata, della vita di chi non è più «produttivo», di chi è vecchio, di chi è solo e teme di affrontare in solitudine la malattia e l’avvicinarsi della morte…
Imparando a custodire la vita soprattutto in queste situazioni – è l’invito che risuona nel messaggio dei vescovi italiani per questa 44ª Giornata nazionale per la vita, che celebriamo oggi – riusciremmo sicuramente a percepire meglio quell’abbondanza di vita che Dio desidera e promette a tutte le creature; e, da credenti in Cristo, riusciremmo a capire meglio che il vangelo è fatto appunto per annunciare e rendere possibile questa pienezza.

Citando un’omelia di papa Francesco, il Messaggio dei Vescovi per questa Giornata formula questo invito, che riprendo per me e per tutti noi:

“Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato… è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene.”

Celebrando questa nostra Eucaristia della domenica, riconosciamo ancora una volta la promessa di vita piena, in abbondanza, che Dio rinnova per noi nel suo Figlio Gesù. Chiediamo la grazia di riconoscere questa promessa soprattutto lì dove la vita è più fragile e più bisognosa di cura e attenzione: impegnandoci a custodirla, anche noi, come i primi discepoli di Gesù, sapremo riconoscere il suo dono sovrabbondante, e potremo esserne testimoni in mezzo agli altri, nella vita di ogni giorno.