Presentazione del Signore al tempio – Giornata della Vita consacrata

Chiesa parrocchiale di Ombriano, 1 febbraio 2020

Quattro o cinque anni fa un amico prete, più giovane di me – era stato anche mio studente in Seminario – mi ha fatto notare ciò che non avevo mai osservato, ossia che in nessun punto il vangelo di Luca parla di Simeone come di un «anziano».

Anna, la profetessa, sì, «aveva ottantaquattro anni» (Lc 2, 37): età rispettabilissima oggi, ma addirittura veneranda, al tempo di Gesù. Di Simeone, invece, è detto che era un uomo «giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore» (vv. 25-26): ma niente, di per sé, costringe a pensare che fosse anziano, addirittura un «vegliardo», come dicono le parole del Messale che hanno introdotto la celebrazione di questa sera.
Forse è per via delle parole del suo cantico, di questo suo dire: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza…» (vv. 29-30)? Ma non c’è bisogno di essere anziani, per dire questo: e, di fatto, la liturgia della Chiesa ci fa pregare con queste parole ogni sera, prima di addormentarci; ci fa ripetere che i nostri occhi hanno visto la salvezza di Dio, sia che abbiamo ottant’anni o anche più, o che ne abbiamo sessanta o quaranta o venti…
Certamente Luca vuole presentare le due figure di Simeone e di Anna come complementari, ma appunto complementari nelle loro differenze. Sono un uomo e una donna; il primo si reca al tempio, mentre l’altra «non se ne allontanava mai»; perché non pensare anche a una differenza di età – un uomo forse nel pieno della sua maturità, una donna certamente molto avanti negli anni? Dalle loro differenze, e certamente anche da ciò che li unisce, possiamo ricavare qualcosa per entrare nell’evento che celebriamo questa sera e, in particolare, per riconoscere il dono della vita consacrata, che la Chiesa celebra in modo speciale in questa festa della Presentazione del Signore al tempio.

Sono uniti, Simeone e Anna, anzitutto dall’atteggiamento dell’attesa: Simone «aspettava la consolazione di Israele», Anna «parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme». Simeone e Anna sono interpreti di un atteggiamento di attesa, di apertura, che è fondamentale per comprendere il dono della vita consacrata.
Perché se ci si dona a Dio, offrendo a lui noi stessi, la nostra libertà, i nostri beni, il nostro corpo… non è – lo sappiamo bene – per disprezzo nei confronti di tutte queste cose; si tratta, invece, della consapevolezza che tutte queste cose non ci bastano, si tratta del fatto che c’è in noi un’attesa, un’apertura, che ha bisogno anche di altro, soprattutto di altro: di quell’Altro di cui sant’Agostino ha potuto dire: «Ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te» (Conf. I, 1, 1).
Valgono per tutti, naturalmente, queste parole: ma nella Chiesa e nel mondo c’è bisogno che quest’attesa, questo desiderio, diventino visibili: e a monte delle tante forme che la vita consacrata ha assunto nei secoli, è parte del vostro carisma essere il segno vivente di questa attesa, dell’apertura del cuore di ciascuno, e della creazione tutta, all’avvento di Dio. 

Sono uniti, Anna e Simeone, anche dalla certezza che l’attesa non è vana, che il desiderio di una pienezza non rimane in noi soltanto come una possibilità remota. Nel tempio, luogo che manifesta la presenza di Dio al suo popolo, Simeone e Anna possono toccare con mano, e addirittura prendere tra le braccia, colui che risponde alla loro attesa. Simeone e Anna sono testimoni del fatto che Dio tiene aperto il nostro desiderio, chiama ad alimentare l’attesa, ma ci offre anche il pegno del suo amore fedele, del compimento delle sue promesse. L’atteso di Israele e delle genti è qui, ha un volto, un nome, ed è quello di Gesù. Che il Figlio di Dio ci sia dato, che la redenzione di Israele e la luce delle genti sia presente, è sufficiente, ci basta. 
Gli occhi di Simeone e Anna «hanno visto la salvezza». Anche in questo vorrei cogliere un tratto essenziale della vita consacrata. Nell’atto stesso in cui ciascuno e ciascuna di voi, in un passato più o meno lontano, ha detto il suo «sì» a Dio e ha posto la propria vita nelle sue mani, ha detto anche, davanti alla Chiesa e al mondo: «I miei occhi hanno visto la salvezza», hanno visto la luce che Dio da sempre ha preparato per tutti i popoli, hanno visto e toccato con mano l’atteso di Israele.
L’avete detto nel giorno della vostra professione, quando eravate ancora giovani; continuate a dirlo adesso, nella diversità delle età – per molti e molte certamente avanzata – con la stessa fiducia, con la stessa sicurezza: abbiamo visto la tua salvezza, o Dio, abbiamo abbracciato il tuo Figlio, abbiamo anche potuto parlare di Lui a tanti… e questo è l’essenziale.

Arrivo a un’ultima sottolineatura, che parte dal verbo usato da Simeone all’inizio del suo cantico, il verbo tradotto con l’espressione: «Ora… tu lasci andare il tuo servo»; il vangelo lo usa anche nel senso di «lasciare libero», libero da obbligazioni, da debiti, da impegni. Potremmo anche tradurlo: «Ora tu, Signore, perdoni e liberi il tuo servo, e lo fai vivere nella pace…».
La grazia della vita consacrata consiste anche nella possibilità di offrire noi stessi a Dio perché abbiamo scoperto – per dono dello Spirito, certo – che legarsi a lui, donarsi a lui senza riserve, è fonte di libertà e di pace. Non che questo avvenga sempre in modo pacifico, certo: sappiamo bene che il Signore è «segno di contraddizione», sappiamo che la spada ha attraversato e attraversa anche la nostra vita, tanto più che in noi (diversamente da Maria) c’è anche la resistenza all’azione di Dio…
Eppure, se siamo qui, questa sera, a rendere grazie a Dio, a benedirlo e lodarlo, è perché abbiamo fatto esperienza di come egli libera e salva, di come ha dato e dà agilità e scioltezza alla nostra vita e ha reso spediti i nostri passi per farci testimoni del suo amore fedele.
Davvero, con Simeone e Anna, possiamo rendere lode a Dio, perché legandoci a Sé nella consacrazione ha «sciolto» tante altre cose che ci rendevano impacciati e goffi, ha aperto i nostri occhi alla contemplazione della sua salvezza, manifestata in Cristo, ha reso le nostre bocche, e tutta la nostra vita, strumento per parlare anche ad altri di quella salvezza che Dio ha preparato per tutti i popoli.

Il Signore ci faccia la grazia, se lo vuole, di vedere altre donne e uomini capaci di comprendere la ricchezza del suo dono e di accogliere la sua chiamata; ma ci dia, in ogni caso, la sua pace, perché i nostri occhi hanno visto la sua salvezza, hanno contemplato la vera luce, si sono saziati della sua presenza e del suo amore fedele.