Omelia per la Solennità di San Giuseppe

Cattedrale di Crema, 19 marzo 2019

Nel corso della celebrazione sono stati ricordati il secondo anniversario dell’Ordinazione episcopale del vescovo Daniele, gli 80 anni di ordinazione presbiterale di don Bernardo Fusar Poli, i 50 anni di ordinazione di don Franco Bianchi, don Giacomo Carniti, don Benedetto Tommaseo, don Lorenzo Vailati e don Giorgio Zucchelli, e i 10 anni di ordinazione di don Paolo Rocca.

Introduzione alla celebrazione

Può darsi, come giustamente è stato detto, che questa data del 19 marzo non sia l’ideale, per festeggiare insieme gli anniversari di ordinazione, perché in diverse parrocchie si celebra in questo stesso orario la Solennità di S. Giuseppe, Sposo della Vergine e si festeggiano i papà: e forse, in futuro, sarà opportuno fare scelte diverse. In ogni caso, e senza che l’abbiamo cercata, questa data si è rivelata, quest’anno, propizia per condividere come Chiesa diocesana una grande gioia, che si aggiunge alla riconoscenza per gli anniversari di ordinazione sacerdotale di alcuni nostri sacerdoti.

Proprio oggi, infatti, è stata annunciata pubblicamente la conclusione positiva della causa di beatificazione di p. Alfredo Cremonesi: il suo martirio è stato ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa, e papa Francesco ha autorizzato la Congregazione per le Cause dei santi a promulgare il decreto che riconosce questo martirio. Da oggi, insomma, abbiamo la certezza di ciò che sentivamo nel cuore, e cioè la verità di quel martirio, la pienezza cristiana di quella vita che, incominciata a Ripalta Guerina nel 1902, si era drammaticamente conclusa a Donoku, in Birmania, il 7 febbraio 1953; da oggi siamo certi che il nostro non era solo un sentimento vago, ma è una verità condivisa e approvata, nella fede, dalla Chiesa tutta.

Avremo ancora qualche mese di tempo per prepararci alla celebrazione della beatificazione, che contiamo di vivere nel corso del prossimo mese di ottobre: un ottobre missionario, quello di quest’anno, che il papa ha voluto ‘straordinario’; e proprio la beatificazione di p. Alfredo potrà dare a questo mese un contributo importante, e non soltanto per la nostra diocesi. Da oggi, intanto, ringraziamo Dio per questo dono; e ringraziamo il Papa, che proprio in questo giorno ha voluto mettere l’ultimo sigillo al cammino di quindici anni della causa di beatificazione di p. Alfredo.

E ci stringiamo con gioia e riconoscenza, anche se da lontano, a don Bernardo Fusar Poli, che ricorderà a giugno, a Dio piacendo, ben ottant’anni della sua ordinazione; e ringraziamo il Signore in modo speciale per i cinquant’anni di ordinazione di don Franco Bianchi, don Giacomo Carniti, don Benedetto Tommaseo, don Lorenzo Vailati e don Giorgio Zucchelli, e per i dieci anni di don Paolo Rocca. Grazie anche per la preghiera con la quale vorrete accompagnare il secondo anniversario della mia ordinazione episcopale e chiedere al Signore che io sia sempre più fedele al ministero al quale ha voluto chiamarmi.

E tutti insieme preghiamo Dio anche per il dono di nuove e sante vocazioni, in particolare, questa sera, al ministero presbiterale e alla missione.

 

Omelia

A noi credenti può capitare di trovarci, a volte, nella situazione di Maria e di Giuseppe (cf. Lc 2, 41-51): diamo per scontato che Gesù sia con noi, nel nostro gruppo, nella nostra carovana; magari non lo vediamo proprio chiaramente, e però siamo convinti che lui comunque ci sia, che la sua presenza non sia venuta meno… E poi, a un certo punto, nasce la domanda angosciata: ma dov’è finito? non lo troviamo più, non lo vediamo più… Lui, che aveva promesso di rimanere con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (cf. Mt 28, 20), all’improvviso ci sembra assente. Lo cerchiamo fra parenti e conoscenti, cioè nei nostri luoghi abituali, nelle situazioni consolidate della nostra vita di cristiani e di Chiesa, e siamo presi come da un senso di smarrimento. Abbiamo l’impressione che la nostra carovana ecclesiale sia sempre più sola ed esigua, in mezzo a un mondo che si muove in tutt’altra direzione, e che non appare molto preoccupato del fatto che Gesù ci sia o non ci sia.

Mi chiedo se questo senso di smarrimento non possa prendere anche quelli di noi che festeggiano un anniversario particolare di ordinazione. Cinquant’anni fa – non dico ottanta, quando il nostro carissimo don Bernardo, che ricordiamo qui con grande affetto, ricevette l’ordinazione presbiterale –, quando incominciavano a muovere i primi passi del ministero, ai nostri don Franco, don Giacomo, don Benedetto, don Lorenzo e don Giorgio, le cose forse sembravano, specialmente in questa terra cremasca, molto più solide e promettenti di oggi; sebbene poi non fossero anni semplici neppure quelli di mezzo secolo fa. Il senso di smarrimento può nascere anche dal fatto che, con il passare degli anni, si smorzano gli entusiasmi, si devono mettere in conto le delusioni, ci si rende conto che il ministero di un prete deve misurarsi con i propri limiti, e anche con tante fatiche, resistenze, persino opposizioni, che non possono mancare a chi ha accolto la chiamata del Signore. Non è neanche necessario che ne passino cinquanta, di anni, perché questo succeda: potrebbe capitare anche dopo soli dieci anni… Del resto, neppure basterebbero l’entusiasmo, la generosità, l’impegno che uno ci può mettere, se Gesù non ci fosse, se avesse disertato davvero la nostra comitiva.

Maria e Giuseppe, non trovando Gesù, si mettono a cercarlo: e già questa è un’indicazione preziosa. Intuiscono che la sua presenza non è qualcosa di scontato. Del resto, può capitare che Gesù in realtà sia già lì, ma che noi non ce ne accorgiamo; può capitare che ci dimentichiamo che il «luogo» nel quale Gesù deve stare, e che non diserta mai, è la comunione con il Padre; può capitare che egli sia vicino a noi, cammini con noi, ma i nostri occhi siano incapaci di riconoscerlo, come succederà ai due discepoli in cammino verso Emmaus (cf. Lc 24,13-35).
Può capitare che ci dimentichiamo la logica «pasquale» della presenza di Gesù a noi, alla nostra vita, alla Chiesa, al mondo, al nostro ministero… Quella logica pasquale che è suggerita, nel nostro racconto, dal fatto che l’episodio raccontato dal vangelo avviene in corrispondenza della Pasqua, e che Gesù viene finalmente trovato «dopo tre giorni»; ed è impossibile ascoltare questa indicazione di tempo senza pensare appunto ai tre giorni pasquali; e dunque senza pensare a come Gesù verrà ritrovato dopo lo smarrimento più grande che si possa dare, quello della passione e della croce.

Davanti a questo smarrimento, davanti a ogni smarrimento, siamo sempre rinviati alla fede: a quella fede che la liturgia di questa sera ci invita a contemplare in modo speciale in Giuseppe, ma il cui prototipo è Abramo, «nostro padre nella fede», perché ha saputo affidarsi, dice Paolo scrivendo ai Romani, al Dio «che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che non esistono» (Rm 4, 18). Occorre, appunto, la fede pasquale, che nel Crocifisso fa riconoscere il Vivente, capace di parlare al nostro cuore, di ridestare le nostre speranze, di rimetterci in cammino stando dentro con fiducia anche alla «normalità» della vita – quella normalità, che a volte può sembrarci anche piatta, banale, ma che Gesù stesso ha fatto sua per lunghi anni: «Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso» (Lc 2, 51).

Nella fede pasquale, che ci prepariamo a rinnovare in questo tempo di Quaresima, anche noi, preti e vescovo, ritroviamo le ragioni vere del nostro ministero: ritroviamo la perseveranza gioiosa, la speranza che non viene meno, la riconoscenza a Dio che, anche nei momenti più difficili e faticosi, ci permette di ritrovare sempre Gesù nella nostra vita, persino quando la sua parola sembra rimproverarci, più che offrirci consolazioni a buon mercato – come è accaduto per Giuseppe e Maria.

Gesù si lascia ritrovare anche nella testimonianza dei suoi santi: e, insieme con quella di san Giuseppe, che contempliamo nella sua fede silenziosa e solida, alla nostra Chiesa è dato ora di contemplare quella di padre Alfredo Cremonesi, nella sua vita donata fino all’effusione del sangue, per annunciare il Vangelo e incarnarlo nella solidarietà radicale con la sua gente. Anche in p. Alfredo è Gesù che si lascia ritrovare, perché non ci sentiamo mai smarriti ma, con fede, perseveriamo nella via che egli ha tracciato per noi, saldi nella speranza e operosi nella carità.