OMELIA PER IL MANDATO AI CATECHISTI. 11 ottobre 2017

Questo nostro momento di preghiera e di mandato si tiene nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria del santo papa Giovanni XXIII: il «papa buono», come è passato nella memoria della Chiesa; soprattutto, il papa del concilio Vaticano II. Nato nel 1881 a Sotto il Monte, in provincia e diocesi di Bergamo, a una cinquantina di km da qui, Angelo Giuseppe Roncalli era patriarca di Venezia quando, nell’ottobre del 1958, fu eletto papa e prese appunto il nome di Giovanni; il suo pontificato fu piuttosto breve, meno di cinque anni, perché Dio lo chiamò a sé il 3 giugno 1963; papa Francesco lo ha proclamato santo nel 2014.
Il giorno della sua commemorazione liturgica è stato fissato all’11 ottobre, come oggi, perché questa è la data dell’inizio del concilio Vaticano II: un avvenimento che fu proprio la grande intuizione di Giovanni XXIII, e che un altro grande papa, e cioè s. Giovanni Paolo II (canonizzato nello stesso giorno di Giovanni XXIII), ha definito «l’evento più importante della storia della Chiesa nel XX secolo». Di fatto, il concilio che si svolse dal 1962 al 1965 (Giovanni XXIII, quindi, lo poté soltanto convocare e incominciare: sarà completato sotto il suo successore, il beato Paolo VI) ha segnato il volto della Chiesa che noi conosciamo; sono passati poco più di cinquant’anni dalla sua conclusione, eppure quel concilio ha ancora molto da insegnare, ha ancora molte ricchezze da valorizzare, molti frutti che devono ancora germogliare.
La mattina dell’11 ottobre del 1962, agli oltre duemila vescovi di tutto il mondo, radunati nella Basilica di S. Pietro a Roma, papa Giovanni XXIII rivolse un discorso bello e importante, che incominciava con le parole: Gaudet Mater Ecclesia, cioè: «La Madre Chiesa gioisce, si rallegra»; così, già cinquantacinque anni fa, il papa di allora anticipava il tema di quella «gioia del vangelo» che il suo successore di oggi, Francesco, richiama a tutta la Chiesa, a tutti noi, come il dono e la responsabilità più grande e bella che abbiamo.
Solo una Chiesa contenta e lieta per il Vangelo di Gesù Cristo, solo dei cristiani che sanno riconoscere e accogliere questa gioia, possono dare una bella testimonianza di Gesù e dell’amore di Dio rivelato in lui, possono essere veri catechisti.
Papa Giovanni aveva paura di quelli che chiamò i «profeti di sventura», quelli che nella Chiesa e nel mondo – allora come oggi – vedevano solo buio e cose negative; lui, invece, vedeva la luce di Gesù Cristo, credeva nella gioia del Vangelo e desiderava che essa potesse risplendere davanti a tutti gli uomini.
Per questo, in quel discorso che fece l’11 ottobre 1962, papa Giovanni disse ai vescovi un’altra cosa importante (che ridico con parole un po’ mie): noi, diceva, siamo tranquilli e sicuri sulla ricchezza e bellezza del Vangelo, su ciò in cui crediamo; su questo, non abbiamo motivo di andare in ansia. Ciò che invece ci deve rendere in un certo senso ansiosi, ciò che ci deve tenere desti e attenti, è la questione: come fare a far percepire questa ricchezza e bellezza del Vangelo agli uomini e donne di oggi?
L’abbiamo sentito anche dalle parole di papa Francesco: «Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di questo annuncio» (EG 165); ma abbiamo bisogno di essere creativi, di trovare le vie migliori perché Cristo sia conosciuto e amato. Bisogna, dice il papa con una frase che sarebbe molto piaciuta a Giovanni XXIII, «saper “cambiare”, adattarsi, per rendere il messaggio più vicino, benché sia sempre lo stesso, perché Dio non cambia, ma rende nuove tutte le cose in Lui».
Questa è la sfida che abbiamo sempre davanti: stare saldi nel Signore Gesù, stare sicuri e tranquilli nel Vangelo, nella buona notizia dell’amore di Dio, che Egli ci ha portato; e quindi anche conoscerlo, questo Vangelo, conoscere il Signore Gesù e vivere ben ancorati nella sua amicizia; ma avere anche quella sana inquietudine, quel desiderio che non ci tranquillizza mai, di fare il possibile per trasmetterlo agli altri, per far loro conoscere il Signore e il suo Vangelo.
Ed è lo Spirito – lo Spirito che Gesù promette ai discepoli, come abbiamo sentito nel Vangelo – che fa questo: è lo Spirito che ci mantiene saldamente inseriti in Cristo e fedeli al suo Vangelo non solo a parole, ma con tutta la nostra vita; e lo stesso Spirito ci dà la «fantasia», la creatività giusta, che ci permette di far arrivare il Vangelo a tutti quelli che Dio ci dà come compagni di strada nel nostro ministero di catechiste e catechisti.
 
La sera di quell’11 ottobre di cinquantacinque anni fa, san Giovanni XXIII fece anche uno straordinario discorso ai fedeli che si erano radunati in piazza san Pietro: fu poi chiamato il «discorso della luna», perché a un certo punto, indicando la luna che appariva tra le nubi, sopra il colonnato del Bernini, disse che anche la luna era venuta a vedere lo spettacolo di questo popolo che si era radunato in piazza.
E in quel discorso papa Giovanni chiese ai presenti, quando sarebbero arrivati a casa, di fare una carezza ai bambini, dicendo loro: è la carezza del papa; e di dire una parola di conforto ai malati, anche questa come segno della sua premura e attenzione.
 
Richiamo queste parole per invitarvi a guardare in particolare ai bambini e ai ragazzi che incontrerete in questo anno di catechismo con lo stesso affetto, con la stessa premura: attraverso di voi, attraverso il vostro amore per loro, imparino non solo a conoscere il Signore Gesù e il suo vangelo, a seguirlo con gioia e con impegno, ma anche sentano la sua tenerezza e incontrino il suo sguardo di amore, che li chiama alla pienezza della vita.