Omelia per il funerale di don Mario Piantelli

È stato celebrato nella Cattedrale di Crema, venerdì 10 dicembre 2021, il funerale di don Mario Annibale Piantelli, cappellano dell’Unità pastorale di san Bartolomeo e san Giacomo in Crema, per venticinque anni direttore e poi presidente del ‘Cuore di Crema’, morto nel pomeriggio dell’8 dicembre 2021. Riportiamo di seguito l’omelia del vescovo.

La fragilità del nostro corpo si era manifestata in don Mario diverse volte, prima di quest’ultima prova che ha posto fine troppo presto, secondo il nostro giudizio, alla sua vita terrena di uomo, di cristiano e di prete. Don Mario mi aveva parlato dei suoi problemi di salute fin dal primo incontro personale che ho avuto con lui, nel settembre di quattro anni fa: eppure, provato in tanti modi nella salute fisica, non dava l’impressione di un uomo ripiegato su di sé.
Desiderava vivere, certo – questa è l’impressione che ho avuto, anche incontrandolo in questi ultimi mesi e settimane – non, però, per un attaccamento egoistico alla vita ma, piuttosto, per testimoniare che Dio, il Dio di Gesù Cristo, il Dio che ha sempre meglio scoperto come Dio di grazia e di misericordia, di perdono e di benevolenza, il Dio al quale ha dedicato la sua esistenza, scoprendosi da lui amato e chiamato, ecco questo Dio è il Dio della vita, è il Dio che nel suo Figlio è venuto a dare a tutti vita, e vita in abbondanza.
Per nessuno di noi, credo, è facile riconoscere con verità il volto di questo Dio, del Dio in cui crediamo, il Dio della vita e della gioia piena, quando concretamente dobbiamo fare i conti con le nostre vicissitudini personali, specie se cariche di sofferenza, e con quelle della storia di cui siamo parte.
Non è stato facile per il popolo scelto da Dio, il popolo di Israele: un popolo al quale Dio rivolge una specie di rimprovero, all’interno però di un oracolo di salvezza: «Dice il Signore, tuo redentore, il Santo d’Israele: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare. Se avessi prestato attenzione ai miei comandi…”» (Is 48,17-18).
I «comandi» di Dio non sono soltanto le sue prescrizioni: fa’ questo, non fare quest’altro… Comando di Dio è tutta la sua Parola, nella quale si dispiega il suo progetto di vita e di salvezza per l’uomo e per il mondo. E capita, appunto, di non prestare sufficiente attenzione a questa Parola, anche se questa assume toni diversi, perché Dio prova a modularla in tutti i modi, perché noi la accogliamo.
Ma accade, anche a noi, di essere come quei ragazzini che Gesù deve avere osservato con interesse e benevolenza, vedendoli giocare nei paesi della Galilea, mentre imitavano i gesti dei grandi: «Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!» (Mt 11,17). I ragazzini giocano nelle piazze, giocano al matrimonio con i suoi canti festosi, giocano imitando il funerale con i suoi lamenti… Ma, come succede, ci sono alcuni che non vogliono stare al gioco, che non sono d’accordo, e nessuna cosa gli va mai bene…
È ciò che sperimenta Dio con il suo popolo, e più in generale con l’umanità: non sappiamo stare al gioco di Dio, qualunque forma assuma; facciamo fatica a essere attenti a lui, alla sua Parola, per comprendere nella complessità e oscurità delle cose il suo disegno di salvezza.
Ci proviamo, certo: e penso che don Mario non avesse scelto a caso, al momento della sua ordinazione presbiterale, quarantaquattro anni fa, proprio la «Parola» come suo riferimento – mentre i suoi due compagni di ordinazione avevano scelto la luce e la croce.
C’era, evidentemente, in don Mario il desiderio di fare attenzione a quella Parola: di mettersi in ascolto per entrare sempre meglio nella comprensione credente del mistero di Dio e della sua volontà per gli uomini; di poterla così sempre meglio testimoniare e annunciare, come faceva anche con la cura della predicazione e, in generale, preparando con attenzione i suoi interventi e le sue prese di posizione, comprese quelle nelle quali manifestava la sua indipendenza di giudizio, la sua libertà di parlare e di dire il suo punto di vista, anche andando controcorrente e accettando il rischio di non essere capito o seguito dagli altri.
L’attenzione alla Parola ha aiutato don Mario a trasmettere la volontà di vita e di salvezza di Dio per l’uomo a tutte le persone che il suo ministero gli ha fatto incontrare, a cominciare dalle parrocchie dove è stato come vicario parrocchiale, o come parroco o amministratore parrocchiale e, da ultimo, come cappellano dell’Unità pastorale di san Bartolomeo e san Giacomo.
Mi sembra di aver capito che i problemi di salute, in particolare l’infarto subito nel 1992, hanno contribuito in modo decisivo a orientare la sua attenzione e il suo ministero di prete verso persone e situazioni più bisognose di accogliere l’annuncio del Dio della vita, della gioia, della liberazione.
Di qui i venticinque anni vissuti come direttore e presidente del «Cuore di Crema», dove ha potuto mettere in atto quel desiderio di servire la volontà di salvezza di Dio come un progetto di «umanizzazione» dell’uomo, per restituire l’uomo a se stesso, autentica immagine di Dio alla misura di Cristo; di qui, anche, il suo servizio al gruppo Handy della parrocchia di san Giacomo, con le sue vacanze di condivisione e le sue altre attività.
In tutte le realtà nelle quali ha svolto il suo ministero, don Mario ha saputo mettere insieme – a quanto ho potuto capire e sentire di lui – una grande libertà di spirito, che gli permetteva anche di andare controcorrente, di essere a volte piuttosto spigoloso, con un forte senso dell’amicizia e dell’importanza della relazione con le persone. Sapeva, insomma, farsi volere bene, perché credeva nell’amicizia e la praticava; è stato uomo di comunione, con le persone, nelle comunità, con questa sua Chiesa.

Mi è stato detto che don Mario si riconosceva bene nel testo di una canzone del cantante e rapper pugliese Caparezza, che si intitola Cammina solo. È facile trovarla, e quindi non sto a leggervi il testo, anche perché non ha molto senso leggere il testo di qualcosa che è nato per il canto.
Cito solo qualche frase, che mi sembra più significativa per rileggere la vita di don Mario, ora che lo affidiamo al Dio nel quale ha creduto e al quale si è donato, servendolo nei suoi fratelli e sorelle: «detesto combattere, che vuoi farci?»; sì, convinto nelle sue idee, ma non amante nella conflittualità; disposto quindi anche a camminare solo («se non rispondono al tuo appello, cammina solo», dice il verso finale, che dà anche il titolo alla canzone), benché io lo abbia sempre sentito come uomo e prete di comunione.
«Non è per vincere che vivo, ma per ardere»: anche questo verso di Caparezza mi sembra rispecchiarsi bene in don Mario: che certamente è stato temprato anche nella fiamma della sofferenza fisica; e che ora, davanti al Dio della misericordia e del perdono, al Dio della vita e della risurrezione dei morti, potrà capire meglio il senso del cammino tribolato, che gli è stato chiesto di percorrere.
«Credo in Cristo perché l’ho visto / Credo al rischio dell’incomprensione / credo nelle persone / nella consolazione / nella mia devozione, / in ogni azione pacifica…», dice ancora la canzone che piaceva a don Mario.
Sono sicuro che don Mario ha visto il Signore Gesù: non in qualche visione speciale, ma nella sua Chiesa, nei suoi fratelli e sorelle nella fede (oltre che, s’intende, nella sua famiglia terrena), negli uomini e donne che ha incontrato, specialmente in quelli più provati e fragili.
Ora, aprendo gli occhi alla vita che rimane per sempre, possa contemplare ancora il suo Signore, e sentirsi dire da lui: vieni, «servo buono e fedele… prendi parte alla gioia del tuo Signore» (cf. Mt 25,21.23).