OMELIA NELLA SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI

Solennità di Tutti i Santi – Cattedrale, 1 novembre 2017
 
«Santo» per eccellenza, secondo la Bibbia, è Dio: e la sua santità esprime prima di tutto la sua diversità dal mondo e dall’uomo. La santità di Dio lo separa da ciò che è «profano»; e anche le cose o le persone che hanno a che fare con Dio (ad esempio nel culto) sono «messe a parte», isolate dal resto.
Ma poi, nella Bibbia stessa, ci si accorge che Dio, e la sua santità, non sono esattamente come gli uomini tendono a immaginarsela. Ci si accorge che la santità di Dio, che dovrebbe tenerlo lontano dall’uomo e dal mondo, invece lo avvicina; ci si accorge che la sua santità non si manifesta solo e principalmente nella trascendenza di un Dio lontano e «intoccabile»: perché il «Dio santo» si fa conoscere come il Dio che fa grazia, il Dio che libera e salva, che perdona e redime. Nel profeta Osea si legge questa frase bellissima, secondo cui il «Dio santo» si rivela proprio nel perdono, che scaturisce da un amore pieno di compassione e tenerezza (cf. Os 11, 9).
E si scopre, in ascolto della Parola di Dio, che una santità così può essere proposta anche all’uomo: la santità di Dio si lascia «interpretare» anche dalla vita dell’uomo. È la vita del popolo di Israele che, prima di tutti, dovrebbe manifestare questa santità: «Siate santi, perché io sono santo», dice Dio al suo popolo (cf. Lv 19, 2); vivete la vostra esistenza come il riflesso della santità liberante, piena di compassione e di amore, che avete conosciuto in me; siate così, in mezzo agli altri popoli, il segno vivente della mia santità.
Ma la risposta piena a questo invito arriverà solo con Gesù: e non a caso i primi cristiani chiamavano Gesù «il santo di Dio» (cf. Gv 6, 69; At 3,14), con un titolo che secondo alcuni studiosi potrebbe essere il più antico, usato dai cristiani per dire qualcosa del mistero di Gesù. Perché è proprio in lui, in tutte le sue parole e nei suoi gesti, fino al culmine del suo mistero pasquale, che la santità di Dio si manifesta appunto come santità che non tiene a distanza, ma prende casa nella vita degli uomini; come santità che non spaventa, ma diventa proposta di vita; come santità che non separa, ma crea vincoli di comunione.
Si ripete allora, per la comunità dei discepoli di Gesù, l’invito già fatto da Dio a Israele: «A immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta» (1Pt 1,15); diventate santi, potremmo dire, perché Dio, in Cristo, vi ha resi santi – e appunto questo titolo di «santi» viene dato abitualmente ai cristiani nelle prima comunità (cf. ad es. 1Cor 1,2); non hanno bisogno di essere canonizzati dopo la morte, perché la «santità» è ciò che hanno (che abbiamo) già ricevuto da Dio in dono.
Ma i doni di Dio sono sempre anche un compito: il compito, appunto, di vivere la santità: che vuol dire precisamente incarnare nella nostra «condotta», nel nostro modo di vivere quotidiano, tutto ciò che il dono di Dio in Cristo ha fatto e fa per noi. Ancora una volta, insomma, non si tratta della santità come di qualcosa di lontano, di separato, di «diverso», se non per il modo di vivere, per una vita conformata in tutto e per tutto al Santo per eccellenza, il nostro Signore Gesù.
 
La festa che celebriamo oggi ci ricorda che tutto questo è possibile: e non è un’eccezione, non è una cosa per pochi eletti che poi mettiamo sui piedistalli, rischiando di allontanarli ancora una volta da noi. Il libro dell’Apocalisse, che dà un giudizio molto severo sul male che c’è nel mondo, vede però «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua» (Ap 7,9), di uomini e donne «che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello» (7,14): moltitudine immensa di donne e uomini nei quali la santità di Dio, manifestata e donata in Gesù Cristo, ha plasmato la loro esistenza e si è fatta visibile e presente nella vita e storia dell’umanità.
Di qualcuno di essi ci si è accorti, e la Chiesa ce li propone come amici e modelli; ma la grande maggioranza di loro la conosce solo Dio, perché la loro santità è stata spesso nascosta, anonima. È però giusto che oggi li ricordiamo e li celebriamo, anche perché questo ricordo ci aiuta a non considerare la santità come una proposta irraggiungibile; ci aiuta a riconoscere il dono di Dio, che ci ha redenti in Cristo e santificati con il suo Spirito, e a rispondere a questo dono cercando di vivere la vita evangelica, la vita secondo le beatitudini, la vita conforme a quella del Santo di Dio, il nostro Signore Gesù Cristo.