Omelia della Messa di ringraziamento per la Beatificazione di p. Alfredo Cremonesi

Parrocchia di Ripalta Guerina, 20 ottobre 2019

Introduzione alla celebrazione

Con sentimenti di riconoscenza per il S. Padre Francesco, do lettura delle parole con le quali oggi, dopo la preghiera dell’Angelus, ha ricordato la beatificazione di p. Alfredo Cremonesi:

«Cari fratelli e sorelle,
ieri, a Crema, è stato proclamato Beato il martire Don Alfredo Cremonesi, sacerdote missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere. Ucciso in Birmania nel 1953, fu infaticabile apostolo di pace e zelante testimone del Vangelo, sino all’effusione del sangue. Il suo esempio ci spinga ad essere operatori di fraternità e missionari coraggiosi in ogni ambiente; la sua intercessione sostenga quanti faticano oggi per seminare il Vangelo nel mondo. Facciamo tutti insieme un applauso al Beato Alfredo!».

In tutta la Chiesa si celebra oggi la Giornata Missionaria mondiale. Il Signore Gesù, morto e risorto, presente in mezzo a noi, rinnova per tutti l’invito a non tenere per sé il dono del Vangelo: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo», è la parola che sempre la Chiesa e tutti i cristiani sono chiamati ad ascoltare e praticare. Oggi noi siamo aiutati a rinnovare questa missione grazie alla testimonianza di un figlio di questa terra, di questa parrocchia, padre Alfredo Cremonesi, che la Chiesa tutta ha voluto onorare, riconoscendone il martirio e iscrivendolo tra i santi e i beati. Siamo qui a ringraziare Dio per questo: ben consapevoli che il ringraziamento diventa per noi anche impegno a lasciarci istruire dal modello di vita del beato Alfredo, per fare anche noi almeno qualche passo in più sulla strada della piena dedizione a Dio e ai fratelli, che egli ha compiuto.
Rinnovo il mio saluto a tutti voi, parrocchiani di Ripalta Guerina, con il vostro parroco don Elio, e naturalmente anche alla comunità civile con il Sig. Sindaco. Saluto tutti i fedeli presenti; saluto e ringrazio ancora una volta per la loro gradita presenza mons. Isaac Danu, vescovo di Taungngu, in Myanmar, con i sacerdoti che lo accompagnano; il vescovo Rosolino Bianchetti, p. Ferruccio Brambillasca superiore generale del Pontificio Istituto Missioni Estere con il suo vicario, p. Fabio Motta; p. Gian Battista Zanchi e gli altri missionari: in loro vediamo anche i tanti missionari e missionarie originari della nostra terra, per i quali vogliamo pregare oggi in modo speciale.
E la nostra preghiera, per intercessione del beato Alfredo, circondi di affetto p. Gigi Maccalli, e ottenga da Dio per lui la liberazione che aspettiamo da tanto tempo.

 

Omelia

Ho voluto scegliere, per questa Messa di ringraziamento, nel giorno della Giornata Missionaria mondiale, i testi liturgici e le letture bibliche suggerite per la «Messa per l’Evangelizzazione dei popoli» (Is 2, 1-5; Salmo 95; Ef 3, 2-13; Lc 24, 44-53).

Lo spirito di questi testi e preghiere è orientato prima di tutto, come abbiamo detto nell’orazione subito dopo il Gloria, a «risvegliare il cuore dei fedeli» – e cioè di ciascuno di noi – perché avvertiamo «l’urgenza della chiamata missionaria e da tutti i popoli della terra si formi una sola famiglia e sorga un’umanità nuova» nel nostro Signore Gesù Cristo. Ciò che abbiamo chiesto e chiediamo a Dio è, in altre parole, di aprire i nostri pensieri, i nostri sguardi, i nostri desideri, alle dimensioni dei desideri e delle attese di Dio stesso. Sono quei desideri e attese che già otto secoli prima di Cristo accendevano lo sguardo del profeta Isaia (cf. I lettura), gli facevano contemplare con gli occhi della fede il pellegrinaggio dei popoli verso la città santa e il suo tempio, e desiderare il giorno in cui una nazione non avrebbe più alzato la spada contro un’altra nazione, in cui i popoli non avrebbero imparato più «l’arte della guerra».
Si illudeva, il profeta, dicendo con queste parole che ci sembrano ancora molto lontane dall’essersi realizzate? O si illudeva Paolo, quando scriveva agli Efesini (cf. II lettura) che «le genti (cioè tutti i popoli) sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità (ossia ciò che Dio aveva promesso al popolo di Israele), a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo»?
L’arte della guerra, come purtroppo sappiamo, continua a essere ampiamente imparata e praticata; e il vangelo sembra aver raggiunto solo una parte minoritaria dell’umanità; per di più, quei popoli che l’hanno ricevuto da secoli, anzi da millenni, come quelli della nostra Europa, sembra che lo abbiano dimenticato o addirittura rinnegato…
Si direbbe che le speranze profetiche e degli apostoli non si realizzino mai, rimangano eternamente incompiute… Ma era così già all’indomani del venerdì santo, in quei primi giorni nei quali i discepoli di Gesù si dicevano: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele» (Lc 24, 21), a realizzare i progetti e i desideri di Dio e invece, ecco, lo hanno messo in croce… Poi avviene l’incontro con il Risorto: sulla via di Emmaus, prima, dove Gesù viene riconosciuto per la parola che fa ardere il cuore e per il segno del pane spezzato (cf. Lc 24, 13-35); e poi subito dopo, nel cenacolo, dove Gesù risorto appare in mezzo agli Undici e ad altri discepoli, si mostra loro vivente, presente tra di essi, e dice le parole che abbiamo ascoltato nel Vangelo, e che sono proprio le ultime parole di Gesù nel Vangelo di Luca.
Sono parole che dicono: non aspettatevi che l’annuncio del vangelo avvenga come una marcia trionfale, secondo criteri di successo umano. L’annuncio del vangelo sarà efficace solo percorrendo la strada che è stata percorsa anzitutto da Gesù stesso, la via pasquale della croce, del dono di sé che non si risparmia, perché non cerca il successo secondo le categorie del mondo, ma fa i conti soltanto sulla «potenza dall’alto», sullo Spirito, le cui vie sono imprevedibili agli occhi terreni.
Anche Paolo, mandato da Dio ad «annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo», è ben consapevole che la sua missione non è una passeggiata. Per questo dice ai suoi cristiani: «Vi prego… di non perdervi d’animo a causa delle mie tribolazioni per voi: sono gloria vostra» (Ef 3, 13). Questo versetto non fa parte della lettura com’è indicata nel Lezionario: ma ho voluto aggiungerlo, perché ci aiuta a leggere anche la testimonianza del beato Alfredo Cremonesi. La sua vita di missionario è stata segnata da molte tribolazioni, culminate nello scontro con la violenza e l’odio alla fede, che ha messo fine drammaticamente alla sua vita.
In una sua lettera, aveva scritto che «non si va in Paradiso in carrozza»; potremmo dire che non si vive la missione come una facile passeggiata, se questa missione significa partecipare al cammino del Figlio di Dio, Gesù Cristo, mandato dal Padre a testimoniare a tutti l’amore che salva.
Stamattina il Papa, nell’omelia per la Messa della Giornata missionaria, ha ricordato che «il cristiano è uno che non sta mai fermo», è sempre in uscita; è – aggiungo io – un po’ come il «moto perpetuo» che si diceva fosse anche il beato Alfredo tra i suoi villaggi e la sua gente.
«Risvegliare il nostro cuore» per la missione vuol dire fare nostro almeno un po’ questo dinamismo: non per affaccendarci invano, ma per essere partecipi del desiderio di Dio che ogni uomo e donna, ogni popolo e nazione, conosca la sua salvezza.
Torniamo a un punto a me molto caro: se ci lasciamo abitare dalla passione per il Vangelo, allora il problema non sarà più il Myanmar o l’Africa o il Guatemala o Crema o Ripalta Guerina: ma sarà solo il «problema» di sentire che «ciò che abbiamo visto e udito della Parola della vita» (cf. 1Gv 1, 1 ss.) non lo teniamo solo per noi, vogliamo che sia condiviso anche da altri.
Sempre più, in questi ultimi decenni (ma la cosa è evidente già anche nella vicenda del beato Alfredo), anche per via delle molte fatiche e difficoltà della missione, di cui è dolorosa testimonianza anche la tribolazione che ha colpito p. Gigi Maccalli, è chiaro che non abbiamo interessi da difendere, posti di potere da conservare, privilegio dietro cui trincerarci. Ci interessa solo Gesù Cristo, e l’amore di Dio per l’uomo, rivelato appunto in Cristo.

Analogamente a ciò che diciamo spesso ai cresimati, mi auguro che la beatificazione di p. Alfredo Cremonesi non sia tanto la «fine» del pur lungo e impegnativo procedimento, che è sfociato nella celebrazione di ieri; vorrei che fosse invece come un nuovo inizio, un rinnovato slancio missionario, anzitutto qui, nella nostra terra, ma poi anche – perché no? – una fioritura di nuove vocazioni missionarie, di preti, consacrati e consacrate e laici.
Lo chiediamo, per intercessione del beato Alfredo, perché ci sia data la grazia di vivere il nostro Battesimo come ragione per un impegno bello, gioioso, creativo, di annuncio e testimonianza cristiana, personale e di comunità, per le nostre parrocchie, le associazioni e i movimenti.

Ce lo conceda il Signore; e tu beato Alfredo, prega per noi.