OMELIA DEL VESCOVO PER LA VEGLIA COI GIOVANI A INIZIO QUARESIMA

Madignano (CR), 17 febbraio 2018

1. «Chi fa la verità viene verso la luce» (Gv 3, 21): parto da questa frase per raccogliere qualcosa dei molti segni e delle parole che hanno riempito questa nostra veglia, che si celebra quasi all’inizio della Quaresima.
«Venire verso la luce», o meglio «venire alla luce», o anche «dare alla luce», sono due espressioni che si usano per indicare la nascita: dare alla luce un figlio, oppure «venire alla luce», nel senso appunto di «nascere».

Abbiamo sentito molto parlare di nascita e di rinascita, in particolare nel testo del vangelo che abbiamo ascoltato: si parla di Nicodemo, che va da Gesù di notte, ma il suo andare da Gesù è un andare progressivamente verso la luce; è un nascere, ed è precisamente ciò che Gesù gli dice, più di una volta: «Se uno non nasce dall’alto, non può vedere il Regno di Dio» (cf. 3, 5.7).

Nicodemo replica con un’obiezione («ma come può uno rinascere quando è vecchio?…»: cf. v. 4) che sembra un po’ sciocca. Il problema non è questo, evidentemente, non è questa obiezione fin troppo banale; il problema, se mai, è che Nicodemo forse è già «vecchio dentro»: una cosa che non succede solo a chi è vecchio anagraficamente, perché può succedere anche ai giovani; e quando succede, «nascere» o «rinascere» può diventare davvero un problema…

Ma Gesù insiste: «Se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (v. 5). Vorrei allora dire, come prima cosa, questo: nascere è il compito di tutta la nostra vita. Si può obiettare: non basta allora nascere una volta per tutte, quando nostra madre ci ha messo al mondo, ci ha dato alla luce? No, non basta: nascere è il compito di tutta la nostra vita. E in qualche modo noi siamo continuamente sfidati a questo compito, che è il compito di diventare ciò che siamo. Ciò che siamo non è una realtà data una volta per tutte: il nostro essere uomini e donne, il nostro essere anche dei credenti e così via, è qualcosa che continuamente è chiamato a realizzarsi, continuamente siamo chiamati a nascere, fino all’ultimo.

Non è una caso che la tradizione cristiana chiami «giorno della nascita» il giorno della morte dei cristiani: dies natalis, appunto. Per quanto riguarda Gesù, lo si dice anche del giorno in cui è venuto al mondo, e che noi festeggiamo il 25 dicembre; ma per quanto riguarda tutti i credenti, il dies natalis, la nascita ultima e vera, è proprio quella della nostra morte.
Perché in quel giorno arriviamo ad essere – più precisamente, speriamo con tutte le nostre forze di arrivare ad essere – con verità ciò che siamo chiamati ad essere.
Ma continuamente siamo chiamati a nascere e a rinascere alla nostra umanità, alla nostra realtà, alla nostra fede… a tutto ciò che ci costituisce come persone e come comunità.

2. Nascere, e rinascere, è una cosa difficile. È stato difficile – più o meno – per le nostre mamme, metterci al mondo; è stato certamente difficile anche per noi, senza dubbio.
Questa fatica, però, accompagna tutto il compito continuo di nascere. Non dobbiamo spaventarci: certamente, in questo compito, nella chiamata a nascere continuamente alla verità di noi stessi, ci sono anche tante cose belle, liete, gioiose, che ci è dato di sperimentare. Sicuramente, però, ci sono anche molte fatiche, molte sofferenze e tribolazioni e difficoltà.

La seconda testimonianza che abbiamo ascoltato durante la veglia ce lo diceva: uno arriva a cogliere bene il senso della fede proprio quando si scontra con sofferenze e fatiche e problemi. Certo, ripeto, c’è senz’altro la gioia della fede vissuta in tanti momenti belli che certamente ciascuno di noi ha sperimentato e porta nel cuore.

Dobbiamo essere consapevoli, in ogni modo, che il compito di nascere non si realizza veramente se non si fanno i conti con le fatiche e le sofferenze, con la lotta che dobbiamo compiere anche su noi stessi, perché questo nascere si realizzi.
Ecco perché al credente il compito di nascere, la chiamata a nascere alla verità piena di se stessi, viene indicato anzitutto come un dono. Come dice Gesù a Nicodemo, è lo Spirito che lo può realizzare in te: affidati dunque alla sua potenza, credi a Dio e alla sua potenza di farti davvero nascere, di farti arrivare alla verità di ciò che sei chiamato ad essere. Non è soltanto e in primo luogo un compito tuo. Certo, ci dovrai mettere il tuo, ma puoi anzitutto credere a questo: Dio ti fa nascere, Dio ti conduce alla tua verità e puoi chiedere a Lui, puoi fidarti di Lui, perché si compia in te questa nascita.

3. La terza e ultima cosa che vorrei dire è questa. Esiste una chiave risolutiva, una «formula» migliore di tutte, perché questo nascere si realizzi in noi? Non ci sono scorciatoie, certamente. Però c’è una via, ed è quella che, paradossalmente, ci viene indicata dalla croce.
È paradossale, perché la croce è il luogo in cui la vita è persa, ci viene strappata. Eppure, il cuore della nostra fede ci dice questo: Gesù nasce alla verità piena di ciò che Egli è proprio sulla croce, ossia proprio nel momento in cui Egli dona la vita.
E uno dice: no, nascere significa ricevere la vita. È anche questo, senz’altro; ma la croce ci dice che la verità piena, autentica, del nascere la scopri quando impari a dare la vita.

Quand’è che Gesù raggiunge la pienezza del suo essere figlio di Dio? Quando uno nasce, viene accolto e guardato come un figlio… Quando Gesù arriva alla pienezza della sua condizione di figlio di Dio? Certo, fin dall’inizio egli è questo; ma la pienezza di tutto questo è la Pasqua, quella Pasqua verso la quale ci stiamo incamminando.
È nella Pasqua che Dio dice definitivamente a Gesù: «Tu sei il mio Figlio diletto, oggi ti ho generato» (cf. At 13, 33). La Pasqua, cioè, è il giorno della nascita definitiva del Figlio di Dio. Perché? Perché Egli ha dato la sua vita. Non l’ha tenuta per sé, non ha cercato di difenderla e di proteggerla a tutti costi, ma l’ha donata nell’amore.
E proprio perché l’ha donata, l’ha data totalmente, Egli è potuto nascere con verità.

Ci siamo un po’ interrogati, quest’anno, e forse lo faremo ancora, sul tema della felicità; e ciascuno di noi probabilmente si porta nel cuore la domanda: come posso essere felice?
Vi invito a trasformare la domanda in quest’altra: come posso rendere felice qualcuno, attraverso il dono di me stesso? Forse questa è la vera domanda che ci dobbiamo fare, a proposito della felicità. Come posso essere la fonte della felicità di qualcuno – che potrà essere la donna che conoscerò e amerò, o l’uomo che conoscerò e amerò, o potrà essere magari una comunità, una Chiesa per la quale decido di consacrare la mia vita…

La domanda rimane questa: come posso nascere a me stesso, e quindi raggiungere la vera felicità, accogliendo la sfida che Gesù mi mette davanti, e cioè scoprire che dando la vita per chi si ama (cf. Gv 15, 13), si nasce veramente e si è veramente felici.

Proviamo dunque a vivere la Quaresima in questo modo: ricordandoci che siamo chiamati ad una nascita, e che ogni tappa della vita che viviamo, anche della nostra vita cristiana, è un crescere verso questa nascita;
accettiamo anche la fatica, l’impegno, che questo compito di nascere comporta, e quindi affidiamoci a Dio, perché non sia soltanto qualcosa che dobbiamo fare da soli, affaticandoci, ma sia qualcosa che riceviamo anzitutto da Dio, come dono;
e proviamo a chiedere al Signore, mentre ci incamminiamo verso la Pasqua, di fare nostra questa sua provocazione: vuoi nascere veramente? Impara a dare la vita, perché è così che nascerai sul serio, è così che troverai la felicità.